Dall’Atlantico al Pacifico con Moana/Vaiana
L’avventura di questi ragazzi mi ha irresistibilmente riportato alla mente molti passaggi di Oceania, il film Disney di Ron Clements e John Musker del 2016: un’opera narrativa eccezionale, nella quale s’incontrano incredibili archetipi dell’inconscio collettivo (Maui assomiglia tremendamente a Prometeo!) e riverberano assonanze con le storie più grandi dell’avventura umana (il semidio greco e quello polinesiano ricordano a tratti la vicenda di Mosè e di molti profeti1L’abbandono dei genitori e l’elezione divina, la filantropia e il castigo, il riscatto e la gloria… Del resto temi “mosaici” come l’elezione da parte del mare, l’apertura delle acque (una “prefigurativa” all’inizio, e una sul finale, determinante per la lysis), perfino i richiami alla cesta mosaica (e all’arca della Genesi – cui la Pixar aveva dedicato per intero Wall-E…) riguardano la stessa Moana/Vaiana.. La stessa piccola protagonista è una meravigliosa crasi di sensi mistici…
Come ogni fiaba, il cui prototipo sta nello gnostico “Canto della perla”, anche Oceania può essere letto a più livelli. Mi hanno detto che un sacerdote l’ha usato anche durante un’omelia. Ho tremato di attrazione e di repulsione al contempo, quando l’ho saputo, immaginando quali sciocchezze avrebbe ascoltato l’assemblea se il sacerdote non avesse colto le giuste “passerelle esoteriche” del racconto. E infatti:
Fate come Vaiana/Moana: fregatevene del giudizio della gente, vivete la vostra vita secondo quello che avete nel cuore, anche a costo di andare contro le tradizioni del villaggio, cioè le convenzioni.
Non mi capacitavo che un sacerdote potesse non scorgere le altissime verità di fede adombrate in quell’opera, che come ogni grande narrazione è un’allegoria della vocazione e del destino, del rapporto con l’Assoluto e con un popolo… è vero pure che i testi della traduzione italiana (specie delle canzoni) non sono affatto d’aiuto, se nei nostri cinema Vaiana ha dovuto cantare:
[…] ma vorrei più di ogni cosa
avere la libertà
di fuggire via, di esplorare il mare:
non succede mai, nulla può cambiare…
Ma mi fermerò quando troverò
il posto adatto a me.
La Moana di Clements e Musker, in realtà, non ha di queste fregole, non cerca fughe ed è profondamente combattuta: la frase lancinante (adolescenziale ma anche vocazionale) “what is wrong with me?!”, su cui culmina la lunga scala di How far I’ll go (scala che coincide graficamente con la simbolica scalata mediante la quale la giovane si rassegnava a rinunciare alla propria vocazione), non trova alcun riscontro in italiano (in quasi tutte le lingue romanze che capisco e che ho controllato, invece, sì):
Da una parte è l’inevitabile croce di ogni traduzione, costretta a lasciar andare qualcosa di un testo per renderlo in un’altra lingua (ove però il testo potrebbe anche guadagnare qualcosa…); dall’altra l’incuria metrica che si riscontra in numerosi punti delle canzoni mi convince di un lavoro molto approssimativo e superficiale. Chi ha potuto tradurre le tre semplici sillabe “it calls me” con un assurdo “lui vuole me” invece che con l’ovvio “mi chiama” (Song of the ancestors) si dimostra incredibilmente poco pratico di testi… sarebbe ben strano che cogliesse segnali metatestuali.
La Tradizione e le tradizioni
Perché in realtà Moana/Vaiana non intende affatto “sfidare la tradizione” o “infrangere le regole”, “le convenzioni” e via dicendo: la bimba sta soltanto cercando il proprio posto nel mondo, e questo a metà tra l’Assoluto (l’Oceano) e la comunità (l’Isola) – chiare figure di Dio e della Chiesa. Proprio nella comunità si trovano le norme di sopravvivenza base, che però fisiologicamente risultano insufficienti e asfittiche quando un giovane si pone la domanda sul proprio destino: ogni “ricetta pronta” risulta allora insipida, e sebbene il giovane sia profondamente grato per tutto quello che ha ricevuto «arriva sempre un’età in cui i giovani trovano insipido il pane e il vino della propria casa» (Ignazio Silone, Vino e pane). Essi possono allora sostituirlo con «il pane e il vino delle osterie che si trovano nei crocicchi delle grandi strade», come suggerisce lo scrittore marsicano, il quale però prosegue: «Ma l’uomo non può vivere tutta la sua vita nelle osterie».
L’uomo di Silone – “comunista senza partito, cristiano senza chiesa” – vaga solitariamente sull’assoluto, come se Moana/Vaiana avesse un oceano da percorrere ma non una meta e non una casa verso cui fare ritorno. Ora invece Moana/Vaiana si imbarca sull’Oceano, che “la chiama”, proprio perché ha una meta – esattamente “oltre il grande Oceano” – e tale meta implica una ricaduta benefica per la propria isola. Silone non lo sapeva, e per questo riteneva inevitabile che i giovani si accontentassero del pane e del vino delle osterie – salato a forza il primo, annacquato un poco il secondo, costosi entrambi –, ma Moana/Vaiana ha una tradizione di cui diventa erede e, in forza della sua responsabilità, depositaria: questa tradizione non le viene dall’estro, ma dal suo popolo. La nonna – figura del profeta, liminare alla comunità ma custode della sua memoria – le raccomanda sì di ascoltare la voce del proprio cuore, ma anche quella del padre; e quando arriva il momento della rivelazione che scatena l’azione di Moana/Vaiana – prima che la vecchia le confidasse di essere testimone dell’elezione/unzione infantile-mosaica – ciò che la progenitrice le mostra non è “il proprio cuore”, ma la caverna con le navi. «Qui c’è la risposta alla domanda che continui a porti».
La risposta alla triplice domanda “chi sono? che cosa devo fare? cosa posso sperare?” non è mai una fuga, anche se essa può fisiologicamente comportarne una, apparente e/o momentanea: la risposta è nella corrispondenza tra le corde più intime del proprio cuore e il deposito più profondo del proprio popolo. Moana/Vaiana scopre le navi e capisce di non essere “strana”, capisce che la nonna non è pazza, intuisce che la storia del suo popolo è più antica e più nobile di quella che aveva appreso nelle danze rituali: in linguaggio gnostico, Moana/Vaiana scopre che quanto le era stato presentato come il “livello sacro” della storia del suo popolo era in realtà un livello “psichico”, meramente morale, ma che la realtà spirituale su cui quello stesso livello si fonda è ben altra.
Ora, quando una persona cerca la propria vocazione è naturale che sembri mettere in discussione “il sistema”: ciò è fisiologico per ogni comunità umana mentre non accade (o non dovrebbe accadere) esclusivamente per la Chiesa, «questo prato di anime sotto il cielo» (Francesco De Gregori, La storia), la quale vive di e per le vocazioni, essendo il suo fine la risoluzione dei destini ultimi degli uomini (ciò che in teologia chiamiamo “la salvezza eterna”). Quando invece quella persona ha trovato la propria vocazione, allora di quella stessa vocazione si ha un importante test di verità: se fa bene alla comunità, allora la ricerca è andata a buon fine e la vocazione era autentica. Diversamente, si è cercata appunto l’evasione, la fuga, l’irresponsabilità. E il non-rispondere non può immettersi in alcun dialogo. Segue un silenzio morto.
La Tradizione che Moana/Vaiana scopre ascoltando il proprio cuore e amando il proprio popolo è così profonda e antica che essa comprende e rivaluta tutte le tradizioni da lei apprese quando era solo una bambina isolana. Così ogni cristiano, crescendo, mette fisiologicamente in crisi (cioè chiama al giudizio) le pratiche religiose, che possono apparire vuote di significato e destituite di senso: quando poi la vita lo porta a fare esperienza di Dio – la propria traversata sull’Oceano – egli può tornare a quelle pratiche comprendendone tutta la vitale ricchezza, cioè il fatto che esse lo avevano preparato e disposto alla propria irripetibile e insostituibile esperienza personale, proprio perché da quella già da sempre provenivano.
Buon vento ai tre “giovani velieri”
Ecco cosa vuol dire “sensi mistici”. E questi giovani francesi mi sembrano aver preso con serietà estrema – con l’Oceano non si scherza: lo sanno e lo impareranno ancora meglio – quella che a tanti poteva sembrare una mera occasione di un grande viaggio internazionale (con annessi e connessi). Di Oceania si potrebbe dire ancora moltissimo – non ho parlato di Maui, figuriamoci! – ma questo non è il momento: aggiungo però una cosa che mi pare importante.
La risoluzione finale della vicenda si deve a un’altissima intuizione mistica di Moana/Vaiana, alla quale non l’aveva preparata né la tradizione essoterica del proprio popolo né quella esoterica trasmessale dalla nonna: l’identità fra Te-Fiti e Te-Ka, per affermare la quale la bimba invoca l’Oceano, il quale si spalanca come nell’Esodo perché stavolta sia “il Faraone”, cioè l’entità malvagia (o ritenuta tale) a raggiungere la rappresentante del popolo eletto – l’innocente –, e per un attimo è Moana/Vaiana a riverberare di una luce cristica – «l’agnello che redime il gregge» (Victimæ paschali laudes).
Ciò non avviene “a caso”, né per una brillante licenza poetica degli scrittori e dei registi del film: quando una persona giunge al culmine dell’esperienza religiosa trasmigra necessariamente da una prima alleanza, fatta di “prescrizioni e divieti”, a una nuova, nella quale Abele non ha più bisogno di essere difeso da Caino perché intende salvare il fratello assassino, e per questo il suo sangue «parla meglio» di quello del primo Abele (Eb 12,24). Questo Abele è Cristo, e se non è possibile che ciò sia affermato chiaramente in un film d’animazione ambientato in un’Oceania pre-colonizzazione, sono gli archetipi a rivelarlo: in Moana/Vaiana, Te-Ka e Te-Fiti si riconoscono agevolmente la vergine, la prostituta e la sposa sulle quali si regge la trama dell’Apocalisse (vero storyboard di ogni fiaba decente)… e che “il presbitero di Patmos” ha mutuato dalla parabola di Ez 16. La storia di tutti noi.
Per questo non trovo parole migliori, nell’augurare “buon vento” all’Exultet, all’Estran e al Kêr Maï, di quelle che concludono Oceania – le stesse che Moana/Vaiana intese quando scoprì il cuore del cuore del suo popolo.
E le atua o le sami tele e o mai
Ia ava’e le lu’itau e lelei
Tapenapena
di questo grande oceano davanti a noi
raccogliamo la bella sfida:
Restiamo pronti!
noi sappiamo chi siamo, chi siamo.
Qui su Breviarium seguiremo gli aggiornamenti che i giovani lupi di mare daranno, di volta in volta, quando sarà loro possibile. Hanno un sito e una pagina Facebook.
Note
↑1 | L’abbandono dei genitori e l’elezione divina, la filantropia e il castigo, il riscatto e la gloria… Del resto temi “mosaici” come l’elezione da parte del mare, l’apertura delle acque (una “prefigurativa” all’inizio, e una sul finale, determinante per la lysis), perfino i richiami alla cesta mosaica (e all’arca della Genesi – cui la Pixar aveva dedicato per intero Wall-E…) riguardano la stessa Moana/Vaiana. |
---|---|
↑2 | Testo e musica di Opetaia Foa’i e Lin-Manuel Miranda: le parti che non sono in inglese sono in samoano e in tokelau – risultano le più esplicitamente teologiche del film. |
Di’ cosa ne pensi