Omosessualità e clericalismo: per Francesco e per la Chiesa è l’ora della verità

Questo è il punto: l’omosessualità è una caratteristica ricorrente di certo clericalismo, ma non è condizione necessaria né sufficiente per una simile struttura di peccato. Parlando per immagini, l’omosessualismo sta al clericalismo di cui parliamo come i puntini rossi stanno al morbillo: quasi sempre i primi sono la spia del secondo, e tanto chi volesse curare il morbillo cancellando i puntini quanto chi pretendesse di dichiarare l’estraneità dell’uno agli altri finirebbero fuori strada.

Il 23 maggio 2018 Francesco ha incontrato i membri della Cei, che si erano riuniti a Roma nella plenaria di primavera. È stato il Papa a prendere l’argomento, tornando sul giro di vite voluto da Benedetto e confermato da lui: «Nel dubbio, meglio non far entrare gli omosessuali in seminario». Qual è il dubbio? Quello che si tratti di persone dalle “tendenze omosessuali profondamente radicate” (espressione quanto mai scivolosa, benché necessariamente)? Anche, ma perché un Vescovo dovrebbe porsi un simile dilemma? Il dubbio, per un Vescovo (specie se italiano) è se usare un mezzo che gli sta davanti per mantenere lo status quo delle parrocchie attive, senza dover relazionare ai Dicasteri della Curia Romana che la propria diocesi “è in calo”. Calo di vocazioni, calo di parrocchie attive, calo di funzioni e di relative offerte (da cui dipendono alcuni versamenti che si fanno a Roma). Quasi fosse un franchising. Ma del resto, se uno si è fatto prete per dare una copertura onorevole al proprio dissidio interiore (e magari per nutrire un vago estetismo religioso)… che problema può fargli il cinismo necessariamente promanante da siffatta impostazione?

Francesco ha ragione – a mio avviso – nell’accusare il clericalismo e non l’omosessualità, ovvero la malattia e non uno dei sintomi: il problema è che a questa diagnosi ideale deve far seguito una terapia compatibile con la “cartella clinica” del paziente, cioè della Chiesa stessa. E questa cartella clinica dice di una diffusione endemica del male, una diffusione tanto diffusa che questa mattina lo stesso Papa Francesco ne sembra adombrato. Il grande pubblico, con tutti i luoghi comuni sulla corruzione ecclesiastica, neppure immagina il grado di marcio che pervade questa Danimarca; gli stessi “cattolici impegnati”, quelli che s’informano e cercano di farsi un’opinione sui fatti di Chiesa, mi sembrano avere una percezione sottodimensionata del problema. Perfino Maurizio Crozza risulta inadeguato, nel suo acre paragonare i seminarî all’isola di Mykonos, nota per essere la Ibiza degli omosessuali: il clericalismo che rende i chierici autoreferenziali e pronti a sfuggire a ogni controllo – dalla base e dai vertici, perché così funziona una cordata – è presente nella Chiesa come il sospetto di una malattia venerea in una dark room.

Non a caso, nella sua Lettera al Popolo di Dio, Francesco ha recentemente invitato a ricorrere alle armi più spirituali della Chiesa: preghiera e digiuno. E molto opportunamente il Papa ha scandito una declinazione ternaria degli abusi del clericalismo: sessuali, di potere e di coscienza.

Accenno a un altro fatto che forse può aiutare a capire: un seminarista omosessuale viene trattenuto per anni in seminario, con molti ed evidenti problemi, ma alla fine viene ordinato. Torna nella sua diocesi, dalla struttura parecchio sovradimensionata rispetto all’organico, e diventa parroco. Poi entra in seminario un altro giovane omosessuale, ancora più problematico del primo, e come per un richiamo ricompare il giovane prete, che avvia una “amicizia particolare” col seminarista. Durante le vacanze estive – che l’antica saggezza ecclesiastica chiamava “la vendemmia del demonio” – il seminarista va a trascorrere del tempo nella parrocchia del giovane prete. Ciò che accade nella canonica è oggetto di mere illazioni, ma tutti hanno visto cosa accadeva in chiesa, ove il giovane seminarista sfogava le proprie nevrosi impartendo ordini alle pie donne della parrocchia, che restavano smarrite per via dei nuovi ordini e si rivolgevano al parroco onde ricevere lumi. «Fate quello che vi dice lui» fu la risposta riportata dalle ignare beghine, che davvero non meritano non solo di avere un parroco che viva nel peccato grave, ma neppure di essere trattate come manodopera a costo zero per lo sfogo delle frustrazioni di uomini cronicamente immaturi. Capisco bene, quindi, il senso della richiesta del Papa:

Al tempo stesso, la penitenza e la preghiera ci aiuteranno a sensibilizzare i nostri occhi e il nostro cuore dinanzi alla sofferenza degli altri e a vincere la bramosia di dominio e di possesso che tante volte diventa radice di questi mali. Che il digiuno e la preghiera aprano le nostre orecchie al dolore silenzioso dei bambini, dei giovani e dei disabili. Digiuno che ci procuri fame e sete di giustizia e ci spinga a camminare nella verità appoggiando tutte le mediazioni giudiziarie che siano necessarie. Un digiuno che ci scuota e ci porti a impegnarci nella verità e nella carità con tutti gli uomini di buona volontà e con la società in generale per lottare contro qualsiasi tipo di abuso sessuale, di potere e di coscienza.

Ora più che in altri momenti occorre che la preghiera della Chiesa arrivi al Papa: al Santo Padre si profila un’ora di prova più grande di altre, e al suo discernimento toccherà trovare metodi per attuare efficacemente le corrette disamine dei mali della Chiesa. Che sono i nostri mali.

Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

4 commenti

  1. Penso che i fatti siano più importanti delle parole, e che le persone di cui si è circondato il papa, o che ha difeso sino all’ insulto della giustizia e del rispetto per fedeli e vittime, siano fatti. Che le parole come ” clericalismo” siano la foglia di fico per nascondere il vero problema, che è l’ omosessualismo e l’ omoeresia. Penso che sia vero che il problema nasca prima di papa Bergoglio (relazione Oko ad es) ma che non sposti di una virgola la sua, di responsabilità. Penso che lei stia usando tutta la sua notevole intelligenza per fare un gioco, ancorché professionale, che mi sembra piuttosto ambiguo. E questo alla luce di fatti che conosce da tempo ma che mi sembra abbia tenuto, e tenga tutt’ ora, coperti. Per il “bene della Chiesa” ? Mi permetta di non essere d’ accordo con lei.

    • Gentilissima,
      grazie per il franco confronto.
      Concordo quanto ai fatti: valgono almeno quanto le parole, se non di più. Chiunque può vedere in qualunque momento che qui non si lesinano critiche – e ci guardi Iddio dai giudizi temerari – su alcune scelte del Santo Padre. Precisando che i suoi immediati predecessori non furono molto migliori di lui, almeno in questo. E certo non avevamo bisogno che venisse a ricordarcelo Viganò.
      Mi pare più seria la questione del “vero problema”, e proprio facendo leva su tutto quanto ho raccontato (nonché sul molto di più che ho taciuto) oso dissentire: il vero problema non è “l’omoeresia”. Essa esiste, certo, ma come corollario di un problema maggiore, e non basta che ci sia un sacerdote omosessuale perché si abbia a che fare con un “omoeretico”: affermare il contrario così, sic et simpliciter, rischierebbe di scatenare una caccia alla strega che risulterebbe perniciosa più del male che sarebbe inteso a debellare, oltre che completamente inutile.
      Conosco un giovane sacerdote rivelatosi omosessuale quando è scappato con l’amico: fino al giorno prima nessuno sospettava alcunché di simile, compresi i suoi superiori (e non parliamo di un soggetto ribelle e poco “docibile”). Come è esplosa “la bomba”? Prima quel sacerdote è stato lasciato solo – da Vescovo e clero – ad affrontare gravami ordinari e straordinari del suo contesto pastorale (quelli straordinari erano davvero notevoli); poi, una volta che sia fuggito, è stato ostracizzato per esplicito ordine del Vescovo. Questo è un bruttissimo caso di clericalismo che coinvolge un prete omosessuale… come vittima.
      Ne conosco anche altri, i quali di tanto in tanto debbono schivare gli adescatori che nello stagno della loro solitudine volentieri vanno a pescare: non tutti sono “omosessualisti”, anche se spesso si tratta di uomini irrisolti e pastori “umanamente inadeguati”. Per questo la santa Chiesa, in via prudenziale, ordina che non siano ammessi in seminario quanti fra loro hanno un orientamento omosessuale “fortemente radicato”… ma non indice una crociata contro gli omosessuali tout court. Non sarà inutile ribadire questo aspetto, dato il contesto culturale particolarmente sensibile a certo giustizialismo.
      E a proposito di giustizia… i fatti che conosco (e che è pesantissimo serbare) non li denuncio non per ignavia né per pusillanimità, ma perché come ho detto (forse però non sono stato abbastanza chiaro) sono già noti a tutti. Viganò si illude di poter innescare con la propria lettera chissà quale reazione a catena: nulla accadrà, e non solo perché moltissimi non sono nella sua condizione di prelato a fine carriera che nulla ha più da perdere, ma anche perché a quanto vedo ogni Vescovo d’Italia è, se non direttamente responsabile di una qualche procedura poco limpida, perlomeno testimone di procedure analoghe portate avanti da confratelli. Che magari sono loro buoni amici e probabilmente anche delle buone persone: le strutture di peccato sono tali perché in esse si impegolano anche persone veramente dabbene (certo, non per questo restano immuni da responsabilità…).
      Insomma, come mi disse uno di questi Vescovi anni fa: «Siamo tutti gente onesta… io però ho le scarpe sfondate».

  2. Tutti sanno e tutti tacciono. Ma è questo quello che farebbe Cristo, vero capo della Chiesa? E’ giusto tacere la verità, dato che significa accettarla ed essere quindi conniventi di atti illeciti? Rispetto poi a Cristo capo della Chiesa, ricordo che pochi giorni fa il Cardinale Burke diceva proprio questo, per esortare i fedeli a non disperare. Il Papa, diceva, non è che il Suo vicario in terra e può sbagliare, e faceva riferimento alla casistica elaborata da teologi controriformistici sulla possibilità di un Papa eretico e sulla sua deposizione. Ora, sappiamo come né san Bellarmino né Giovanni di san Tommaso in realtà ritenessero possibile una simile eventualità, e che basare una richiesta di deposizione del Papa sui loro casi di scuola non regge (anche se ci si può lecitamente chiedere perché esercitarsi in teorie ritenute puramente astratte). Comunque, il problema mi sembra il seguente: tutti sappiamo bene che la Chiesa ha avuto Papi peccatori che mai furono messi in discussione (Bonifacio VIII, almeno per il trattamento riservato al suo predecessore Celestino V; Alessandro VI, di cui non mette neppure in conto parlare; Leone X che, per restare in tema, era non solo omosessuale, ma aveva relazioni, etc.), Questi Papi tuttavia furono peccatori quanto a sé ma non misero mai in pericolo la dottrina (penso all’Exsurge Domine di Leone X tanto per fare un esempio). Oggi forse, e sottolineo il forse, perché magari mi sbaglio (e lo preferirei). assistiamo al fenomeno opposto. Se insomma il peccato in sé stesso non va temuto, perché è sempre possibile redimersene, e perché riguarda atti personali, elevare a sistema dottrine che su quello si basano (ad esempio, se la Chiesa depennasse il peccato di omosessualità o quello di adulterio nel caso di divorziati risposati, e chissà col tempo, pur di piacere al mondo, che cos’altro) temo sia un altro conto.
    Sbaglio?
    Grazie

    • Ora è tardi e non mi dilungo, ma vorrei ugualmente dire un paio di cose.
      Che la Exsurge, Domine sia un distillato di verità lo contraddice almeno la proposizione 33 della stessa, falsa fino al grottesco.
      Il punto non è che mai a un Papa sia scappata una virgola fuori posto… ce ne sono stati diversi a cui ne sono scappate alcune: il punto è che neanche il Papa è grande come la Chiesa, e sempre ogni documento magisteriale acquisisce vigore dalla ricezione ecclesiale. Il motore di quest’ultima è – per usare un concetto caro a certe teorie economiche – una “mano invisibile” che opera in tutti i credenti, ed è ciò che chiamiamo “senso soprannaturale della fede”. I credenti, senza neppure doversi sentire o mettere d’accordo, lasceranno cadere le disposizioni fallate e si attaccheranno a tutte le parole che bene servono la Parola come a una bombola d’ossigeno.
      In ultimo, la prima domanda: Cristo è sempre vivo e agente, non c’è bisogno di chiedersi “cosa farebbe se…”. “Se” cosa? Vivo e onnipotente, Cristo evidentemente fa quello che vuole. Cioè non “quello che gli pare”, perché la volontà divina è tutta orientata alla salvezza universale, non all’affermazione del proprio ego. Proprio perché Cristo è vivo e agente, le teorie sul “Papa eretico” non possono che essere puramente astratte, dal momento che lo Spirito del Risorto, «da quel buon educatore che è, ci lascia molto spazio, molta libertà, senza pienamente abbandonarci» (Joseph Ratzinger).

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