«Come sta l’uomo col cappello?» – è la questione che amava porre, ogni volta che lo si incrociava, una delle nostre più eminenti eminenze. L’uomo col cappello, Jean Mercier, se n’è andato giovedì 19 luglio sollevando un’ultima volta il proprio copricapo, come faceva sempre, con quello humour, quell’eleganza e quell’originalità un tantino british che gli permetteva altrettanto bene e di vagare in calzini per i corridoi della redazione è di sfilare in tenuta chic sotto gli affreschi del Vaticano.
Davanti al suo Creatore, che egli ha amato e cercato – non ne dubitiamo – Jean avanza con una semplicità degna di Elisabetta II, regina che nella sua fantasia egli tanto ammirava. Il suo viso, eroso da tre anni e mezzo di lotta contro un cancro che lo aveva provato in cruentemente, sorride in modo particolarmente sornione, gli occhi già inondati di luce divina. «Lei parla con Dio?», aveva chiesto ex abrupto al candidato Macron, venuto a incontrare la nostra redazione. La domanda, posta che Jean era già molto malato, aveva colpito il futuro presidente trapassando l’armatura del comunicatore.
Parlare a Dio. A 54 anni, il giornalista cristiano realizza nell’ora presente il proprio più bel reportage, avendo acquistato il proprio biglietto al prezzo di una vera via crucis. Per interrogare i santi, Jean avrebbe parlato tutte le lingue. Quelle che possedeva già: l’ebraico biblico, il greco antico, il tedesco, l’inglese, l’italiano, lo spagnolo… e le altre, che avrebbe appreso alla bisogna. Probabilmente l’hanno già integrato nelle corali angeliche, chissà che si dice lassù in alto: se nel programma della stagione divina ci sono Steiner, Tallis e naturalmente Händel… non c’è neppure bisogno di fargli un’audizione: li conosce a memoria, come conosce pure le arie di Offenbach, molto apprezzate in paradiso. Non canta più con la moglie Chantal, ma non dubitiamo che ormai canti per lei e per Mehdi, loro figlio.
Marito coinvolto, padre amorevole e devoto, giornalista rispettato e influente, mentore di numerosi giovani colleghi della stampa cattolica, caposervizio religioso e poi caporedattore aggiunto a La Vie, vaticanista puntuto, saggista brillante e caustico, intellettuale poliglotta, narratore di successo, collega generoso, esigente e gioioso, amico fedele, personalità tanto forte quanto sensibile, Jean era tutto questo e tante altre cose ancora… Era passato tramite una grande scuola di commercio e ne rideva ancora, lui, teologo fatto e finito. Ma dopotutto è così che aveva mosso i primi passi nella professione: modestamente, vendendo all’estero diritti di traduzione per Bayard Presse. Era ufficialmente entrato nella nostra redazione nel gennaio 1999, dopo aver messo il proprio talento al servizio di differenti titoli della nostra impresa, Malesherbes Publications: la rivista Ecritures. L’Actualité religieuse dans le monde (oggi Le Monde des religions) e naturalmente La Vie.
Alla ricerca della verità, alla ricerca di unità, Jean aveva compiuto il cammino dal cattolicesimo ricevuto al protestantesimo liberale. Poi era tornato verso il cattolicesimo, abbracciandolo anima e corpo senza nulla negare o dimenticare. Non è cosa da tutti essere insieme uno degli specialisti di anglicanesimo, un esperto di tutte le scuole del protestantesimo e un conoscitore così ficcante dei segreti del cattolicesimo. Ma non è questo l’essenziale. L’essenziale è il rigore intellettuale, un rigore senza concessioni anche quando era a tu per tu con sé stesso: quel rigore che fa i migliori giornalisti, quelli che osano dispiacere talvolta anche ai loro colleghi, ai loro capi o ai loro lettori. L’autore di queste righe, che dovette talvolta temperare o temporeggiare, ne sa qualcosa. Jean era al contempo impegnato e integro. Ma era anche molto umile, al punto da poter riscrivere interamente un testo gettandosi alle spalle l’amor proprio o i suoi stati d’animo, per rispondere alla critica. E fu così che calandosi a ritroso nel pontificato di Benedetto XVI Jean ha potuto comprenderlo meglio di molti altri, e ne è rimasto uno dei migliori interpreti quando gli opportunisti ne presero le distanze.
L’altro filo è il sacerdozio, una delle grandi questioni della sua vita. Jean aveva seguito fino a un livello molto progredito gli studi per diventare pastore. Nel 1994 pubblicava Donne per il regno di Dio (Albin Michel), mentre la Chiesa anglicana aveva appena accettato l’ordinazione femminile. Per primo, si era interessato per La Vie ai preti anglicani sposati, integrati nella Chiesa cattolica per volontà del cardinal Ratzinger. Il suo Celibato dei preti. La disciplina della Chiesa deve cambiare? (DDB 2014) ha talvolta turbato per il suo implacabile rigore, ma la sua minuziosa inchiesta si è imposta come autorità sull’argomento. Il successo pubblico sarebbe arrivato, ampiamente meritato, quando l’autore sarebbe passato dallo studio universitario al racconto filosofico e al gioiellino di umorismo e di spiritualità – proprio mentre la malattia lo dilaniava. Dopo la comparsa di Il signor parroco ha dato di matto (Quasar, 2016 – [San Paolo, 2017]), Jean Mercier è stato considerato da molti preti e vescovi in Francia, a Roma o altrove, come colui che meglio li comprendeva… e ne conosceva così tanti – per non dire tutti.
Jean era, lo si è compreso, un grande cattolico, nutrito dai sacramenti. È da cristiano che ha attraversato la malattia che lo spogliava, poi il fine-vita, poi la morte. Che le nostre preghiere, se lo possiamo, lo accompagnino tanto quanto le sue – possiamo esserne certi – vegliano ormai su di noi, forse in forma di cantici cantati gioiosamente. Siamo certi che egli porta nel suo cuore le letture del suo ultimo giorno terreno. Anzitutto quella di Isaia: «Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, / […] / perché la tua rugiada è rugiada luminosa» [Is 26,19]. E ancora di più il Vangelo secondo Matteo, e quel passaggio che amava tanto particolarmente: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime» [Mt 11,28-29].
Di’ cosa ne pensi