I miei amici sanno quanto io abbia amato Monsieur le curé fait sa crise: anzitutto mia moglie, che mi aveva visto trangugiarlo tutto d’un fiato il pomeriggio della Pasqua del 2017, ridendo sulle lacrime versate il minuto precedente e smorzando le risate nei singhiozzi. Un “racconto filosofico”, lo definirono, cioè un esempio di un genere al contempo modesto e molto ambizioso: non ha stazza da feuilleton, non ha i blasoni del trattato di morale, eppure se viene ben condotto da capo a piedi risulta un libro di cui Virginia Woolf avrebbe detto, come del proprio Mrs. Dalloway, “in cui c’è tutto: la vita e la morte”.
E c’erano la vita e la morte, nelle pagine di Jean Mercier, perché vita e morte si affrontavano anche dentro di lui, e «in un prodigioso duello»: lo straordinario successo di quel libro, che fece riscoprire il cristianesimo e il sacerdozio a molti cristiani e ad altrettanti sacerdoti smorti, aveva permesso anche a lui di accedere a cure che sembravano prospettargli qualche orizzonte non infausto in cui poter ancora abbracciare l’amata moglie e il carissimo figlio. Queste cose me le ha raccontate egli stesso, perché immediatamente quel giorno, terminata la lettura, avvertii l’esigenza di parlare con l’autore di pagine tanto meravigliose: e lui mi aprì il cuore raccontandomi di sé e chiedendomi di me. Come se non avesse di meglio da fare nella vita, come se non avesse scadenze più urgenti, con un cancro che lo rodeva.
Ci siamo scritti più volte nei mesi successivi, commentando alcuni fatti di attualità ecclesiale e il suo bellissimo libro sul celibato sacerdotale: aveva una nitida e umile percezione del servigio reso alla Chiesa di Cristo con quel testo. Come può permettersi di fare chi davvero parla e lotta con Dio ogni giorno, Jean sperava che quel merito gli valesse una grazia riguardo alla sua malattia. E tuttavia ricordava che «la grazia di Dio vale più della vita» (Sal 62,4), e che davvero solo quella grazia “ci basta” (cf. 2Cor 11,9).
La settimana scorsa più volte ho pensato a lui, ma per i mille futili motivi che ci distraggono dall’abbracciare le persone importanti della nostra vita non gli ho scritto. Ieri sera ho visto che i suoi amici davano la notizia della sua dipartita. E un misto di sensazioni agrodolci m’ha invaso, come quando ci viene portato via qualcosa di caro e al contempo ringraziamo perché lo sappiamo finalmente non solo “in pace” (quando un cancro termina dev’essere proprio bello), ma davvero al sicuro.
Il y a l'affaire. Aujourd'hui restera surtout le jour où notre ami Jean nous a quittés. Merci pour ton amitié et veille sur nous depuis ton nouvel observatoire. pic.twitter.com/RUnkE9zm9I
— Erwan Le Morhedec (@koztoujours) July 19, 2018
"J'offre mes souffrances et ma mort pour l'Eglise en général et les prêtres en particulier. Priez pour moi, pour que ma confiance reste belle …"
Merci Jean Mercier RIP pic.twitter.com/zvEl0vkuFs— @bbé Dominique Fabien Rimaz (@DonDomFabien) July 20, 2018
Jean Mercier était un journaliste courageux, une intelligence fine, un esprit élevé, un chrétien qui faisait aimer l'Eglise. Grande tristesse, compensée par l'Espérance qui était la sienne, qui est la nôtre. Pensées pour ses amis de @LaVieHebdo . https://t.co/NyJeYeaE07
— Guillaume Tabard (@GTabard) July 20, 2018
Agostino ci aveva insegnato (almeno a me, ma anche a Jean, se un po’ del suo cuore l’ho capito) che «quaggiù lo cantiamo, sì, l’Alleluia pasquale, anche se preoccupati, per poterlo un giorno cantare senza più preoccupazioni»:
E voglio riportare qui il saluto del suo direttore a La Vie, che meglio di me racconta quale delizia d’uomo abbiamo perso, in hac lacrymarum valle, mentre Jean ha conservato la fede, ha combattuto la sua buona battaglia, ha terminato la corsa.
di Jean-Pierre Denis1Direttore di Redazione de La Vie
Caporedattore aggiunto per il servizio religioso a La Vie, il nostro amico e collaboratore Jean Mercier ci ha lasciati giovedì 19 luglio.
Note
↑1 | Direttore di Redazione de La Vie |
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