di don Samuele Pinna
Il Credo del Popolo di Dio di Paolo VI “nasce” da un’idea del filosofo francese Jacques Maritain sostenuta dal teologo svizzero Charles Journet. A conclusione del Vaticano II, diversi auspicavano un documento pontificio, come si era soliti fare nell’antichità, dopo un Concilio ecumenico. Lo stesso Maritain comunica a Journet la necessità di una professione di fede completa e dettagliata che il Papa stesso avrebbe dovuto redigere, a motivo della tempesta culturale che si stava abbattendo sulla cristianità. Paolo VI, che per il centenario del martirio degli apostoli Pietro e Paolo aveva indetto un Anno della Fede, chiama a Roma Journet per un’udienza privata. Il Cardinale elvetico riprende allora l’intuizione di Maritain e chiede a Paolo VI «se per la fine dell’anno della fede, avesse in animo di pubblicare qualche grande documento, per orientare quelli che volevano rimanere nella Chiesa. Una “professione di fede di Paolo VI”». Montini risponde a Journet con una richiesta sorprendente e impegnativa: «volete voi fare uno schema di quello che pensate deve essere fatto?».
Il teologo svizzero – è il 18 dicembre 1967 – coinvolge, così, subito Maritain:
Allora, Jacques, come era possibile non pensare di chiedere subito il vostro aiuto? È la questione del tono da trovare, così come delle cose da dire, che è difficile da risolvere. Si dice che non servirebbe un nuovo Syllabus. Non è, dunque, sufficiente accontentarsi di una ripresa del Simbolo della fede. Potreste voi pensare un poco a queste cose e dirmi ciò che a voi sembra appropriato per illuminare le anime? Più sarete preciso, più questo mi sarà d’aiuto.
All’inizio di gennaio, durante un periodo trascorso a Parigi, Maritain redige un progetto di professio fidei. Lo termina l’11 gennaio 1968, e il 20 invia il testo a Journet che, nella sua lettera di risposta del 23 gennaio, si dice sbalordito di riconoscenza dinnanzi allo scritto dell’amico e, l’indomani, invia il testo tale e quale al Papa.
Se il progetto elaborato da Maritain era destinato, quale ausilio, al solo Journet, è l’iniziativa di quest’ultimo, non concordata, che permette al testo sine glossa di essere nelle mani di Paolo VI.
Maritain – mi spiegava in una lettera del 16 settembre 2012 il cardinal Georges Cottier, già Teologo della Casa Pontificia e maggior esperto e conoscitore della vita e del pensiero di Journet – aveva l’idea che il Papa doveva fare un’affermazione ferma della fede della Chiesa. Ha mandato un testo a Journet a titolo personale. Journet leggendo questo testo lo ha mandato a Paolo VI che lo ha fatto suo (con pochi ritocchi).
Journet non agisce soltanto per l’amicizia che lo lega a Maritain, bensì perché il testo da lui preparato gli appare davvero come la risposta sovrabbondante alle attese del momento. «Il miracolo – scrive in una lettera – è che tutti i punti difficili sono stati toccati e riposti in luce». Quali fossero i dati essenziali della fede che occorreva confessare davanti alla confusione teologica del tempo, lo stesso Journet lo aveva chiarito nel rapporto inviato a Roma il 21 settembre 1967, dove enumerava i punti in cui il Catechismo olandese gli sembrava essersi allontanato dalla dottrina della Chiesa.
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