Quei #prolife degli Elfi di Tolkien si consumano d’amore

Morgoth’s Ring, copertina dell’edizione paperback. Nessuno dei volumi successivi al II di The History of Middle-Earth è tradotto in Italiano

I Giorni dei Figli

È in Laws and Costums among the Eldar, pubblicato in Morgoth’s Ring1X Volume di The History of Middle-Earth. Il testo Laws and Costums esiste in due varianti lievemente differenti di cui la seconda – Laws B – è pubblicata per intero con note per segnalare le differenze testuali della prima, Laws A., che emerge la concezione elfica dell’origine della persona, tra le righe di una dissertazione sul matrimonio di una tale ispirazione che meriterebbe di venir dispiegata e analizzata in ogni sua frase, così come nei rapporti d’interconnessione con gli altri testi del medesimo periodo, analisi che naturalmente esula gli scopi di quest’articolo. Qui ci limitiamo ad accennare brevemente il contesto entro cui queste chiare indicazioni vengono vergate.

Esso appartiene e in molti sensi apre al grande ripensamento della sua mitologia posteriore alla pubblicazione di Il Signore degli Anelli nei tardi anni ’50 e, come spesso accade con l’opera tolkieniana, sorge come una riflessione conseguente ad un problema aperto da una revisione, nel caso (forse già in buona parte esistente per la fine del 1958) della storia di Finwë e Míriel, i genitori del possente Fëanor, l’artefice dei Silmaril. La tragedia è nota in buona parte anche ai lettori di Il Silmarillion pubblicato, ma la portata della vicenda e la complessità della concezione ad essa soggiacente è senza dubbio in gran parte sconosciuta. Míriel, la sposa del Re della stirpe dei Noldor, esanime per quanto il primogenito ne aveva esaurite le forze corporali e spirituali nella gravidanza e nel parto, abbandona amaramente il proprio corpo, così come il figlio neonato e lo sposo, a cercar quiete nei luoghi in cui gli Elfi dipartiti attendono la Fine. Pur se il ritorno da morte è consentito agli Elfi giacché essi sono destinati a vivere finché il Mondo dura, ella non desidera abitare di nuovo il suo corpo per quanto a fondo è stata prostrata. Finwë dunque, primo e solo tra gli Eldar, gli Elfi che avevano accettato l’invito dei Valar – le Potenze poste da Eru, l’Uno, a governo del Mondo, Angeli al suo cospetto prima del Tempo – a dimorare in Aman, nella beatitudine dell’Occidente scopre una vedovanza che appare definitiva. Infelice, egli chiede ai Valar conto della sua sorte, ché nessuna legge fissata nella creazione degli Elfi aveva previsto una simile ferita. Le Potenze decretano allora che sia lecito che un vivente degli Elfi si unisca in nuove nozze solo se, perito lo sposo o la sposa, entrambi accordino il loro consenso alla separazione, di modo che mai il secondo ritorni e il primo non abbia due sposi viventi: queste seconde nozze saranno irrevocabili. Confermata Míriel la sua rinuncia alla vita corporale, Finwë si risposa e in seconde nozze la sua nuova sposa gli dona altri figli. Tra costoro e il primogenito Fëanor sorgerà infine una grande inimicizia, che sarà decisiva nel provocare l’immane travaglio del loro popolo.

Occorreva riassumere la premessa per capire a che pro Tolkien s’interrompesse improvvisamente per passare dal suo mito ad una vera e propria trattazione tra ontologia, etnologia ed onomastica. La sua storia stava sfidando sé stessa o, meglio, lo stesso autore in quei presupposti che aveva dato per acquisiti, ma che ora erano insufficienti a sopportarne tutte le implicazioni, ad affrontare tutte le domande da cui i suoi protagonisti dovevano essere tormentati. Un popolo creato naturaliter longevo quanto il Mondo – imperituro in spirito e corpo – come poteva spiegarsi che un fatto naturale come la gravidanza e la nascita portasse al decesso “incruento” della madre?
Qual è dunque il rapporto tra corpo e spirito nella vita di un’umanità così concepita?
In che modo può essere corrotta, in che senso possono essere soggetti alla morte?

Se l’ultima domanda era sempre stata al cuore della mitologia, è solo qui che essa trova uno sviluppo all’altezza della sua vertiginosa postulazione. È questa in breve la sollecitazione per Tolkien ad interrogarsi sulle leggi che regolano l’istituto matrimoniale in un popolo, gli Elfi e gli Eldar istruiti dai Valar in particolare, per cui la legge naturale è intuita, recepita e costituita con tanta immediatezza quanta la si potrebbe immaginare (o quanto mai alcuno l’ha immaginata, secondo chi scrive). Un caso, per così dire, di sperimentazione letteraria che induce alla formulazione di un teoria metafisica. Ed è in questa discussione che si rende esplicito il momento sorgivo della persona e della personalità. Tralasciando per i motivi detti a principio la magnifica descrizione dei riti nuziali tra gli Eldar, va invece precisato che nessuna cerimonia si rendeva strettamente necessaria e che, a condizione che entrambi fossero in celibato, liberamente consenzienti e che invocassero l’uno per l’altra benedizioni nel nome di Eru, era il solo

atto di unione corporale a realizzare il matrimonio, dopodiché il legame indissolubile era completo.2MR 212. Nel Laws A, Tolkien nota che, non esigendosi nemmeno un testimone, gli stessi Beren e Lúthien non potevano essere impediti a sposarsi secondo la legge, ma che solo la volontà di Beren di onorare il giuramento fatto al padre di lei poneva un vincolo sulla loro unione..

È bene ricordare che la scala temporale è abissalmente diversa e richiede un cambio di paradigma. Nella condizione ideale (cioè “naturale”), uno degli Eldar si sposerà poco tempo dopo aver raggiunto la piena maturità puberale (attorno 50esimo degli anni mortali) ed anche prima di essere considerato adulto a tutti gli effetti (il che capita attorno al 100esimo anno), così come l’unione viene preceduta da almeno un anno di fidanzamento. Secondo il testo però, visti i molti secoli di asperità, guerre e servaggio all’Ombra di Morgoth, tra i Noldor non era infrequente che lo sponsale si limitasse all’essenziale; ed anche prima dell’Esilio nelle Terre Mortali gli Eldar potevano sposarsi in età più tarda e perfino non trovare corrispondenza del proprio amore.

Ma in qualsiasi età si sposassero, i loro figli venivano alla luce entro un breve* spazio di anni successivo alle nozze. Poiché per quanto concerne la generazione, tra gli Eldar facoltà e volontà sono indistinguibili. Senza dubbio conserverebbero per molte età il potere di generare, se volontà e desiderio non venissero soddisfatti. Ma con l’esercizio della facoltà, il desiderio presto si placa e la mente si volge ad altre cose. L’unione amorosa è di certo per loro fonte di grandi diletto e gioia e i “giorni dei figli”, così come loro li chiamano, nella loro memoria rimangono i più lieti in vita; ma in corpo e mente possiedono molte altre facoltà al cui adempimento la loro natura li preme.3MR 213.


*Breve per come gli Eldar calcolavano il tempo. Secondo il computo mortale si manteneva spesso un lungo intervallo tra le nozze e il primo figli nato e persino più lungo tra un figlio e il successivo.

Il tempo del giovane amore nuziale è detto “days of children”, “giorni dei figli”, un appunto molto significativo. La felicità matrimoniale per gli Eldar non è solo rappresentata dal compimento della genitorialità, ma vi si identifica pienamente (nei primi tempi e non verrà mai più superata). Infatti, per gli Eldar vi è una sostanziale identità tra concetto e linguaggio, l’atto di dare il nome è un giudizio, un atto conoscitivo che ne coglie e comunica il significato autentico4Si veda, per approfondire, Verlyn Flieger 2007, Schegge di luce. Logos e linguaggio nel mondo di Tolkien, Marietti 1820.. Quello che Tolkien qui ci dice è che per gli Eldar il significato stesso di questo tempo, del loro proprio tempo, è dare al mondo i propri figli. È questa diretta espressione della loro natura, per cui il desiderio dell’unione amorosa, il desiderio sessuale, è totalmente dominato dalla volontà di generare. Facoltà (“power”) e volontà (“will”) coincidono secondo la loro natura5Qualche pagina prima l’aveva già anticipato circa la scelta della sposa, precisando che “per natura sono continenti e costanti”, di rado sopraffatti da desideri smodati, così come rari i racconti in cui si ricordano membri del loro popolo contaminati dalla lussuria, per quanto a fondo corrotti e pregni di malizia. Nelle note Tolkien fa anche presente che qualora uno degli Eldar abbia mai pensato a prendere una sposa con la forza  contro la sua volontà, un rapporto violento così imposto avrebbe decretato la di lei immediata dipartita, perché in quello stesso momento ella avrebbe rigettato la vita corporale, rendendo così la violenza comunque infruttuosa. Per quanto non ci sia memoria tra gli Eldar di atti perpetrati fino all’esito, Maeglin durante la Caduta di Gondolin tentò di rapire Idril, sposa di Tuor e questi lo scaraventò dalle mura.. È evidente che l’atto unitivo per gli Eldar è inscindibile dal valore generativo, cioè “l’esercizio della facoltà” che lo definisce. Ci si attenderebbe allora che per esseri ed intelletti così coesi in corpo e spirito, facoltà e volontà così coincidenti per natura, ogni unione corporale rispondesse pienamente al desiderio e portasse perciò alla generazione. In un caso almeno invece, come sembra indicare la nota (*), l’atto non sembra assolvere a tale esercizio, ovvero la prima, l’unione corporale con cui il matrimonio viene suggellato, come essa si presentasse quale il momento che rende feconda quella specifica unione matrimoniale, il primo atto sessuale come principio di un tempo di generazione, che duri finché persiste il desiderio6Come se il desiderio stesso avesse origine o fosse destato nella prima unione. Per quanto mi riesca di ricordare, non mi pare che sia mai stato evidenziato prima questo elemento..

Jenny Dolfen, Finwë and Míriel walking on the shore of Lake Cuiviénen.

La citazione che abbiamo estrapolato sopra infatti conclude il secondo dei due paragrafi del saggio che discutono della generazione, possibile per gli Eldar solo in seno al matrimonio: qui Tolkien utilizza sia il termine d’origine neolatina “generation” che l’infinito sostantivato “begetting” di matrice germanica. Circa “generation”, Tolkien l’intende come la capacità di generare (l’arco di tempo, lo stato e la dinamica continuativi), mentre con “begetting” si riferisce più propriamente all’atto generativo. In particolare begetting” assume la valenza del concepimento, distinto da “bearing” (la gravidanza) e “birth” (la nascita), come evidente nel periodo di apertura del primo di questi paragrafi:

Quanto alla generazione [begetting] e la gestazione [bearing] dei figli: un anno intercorre tra la generazione [begetting] e la nascita [birth] di un bimbo elfico, così che le date di entrambe sono la medesima o pressappoco, ed è il giorno della generazione [begetting] a venir ricordato anno dopo anno.

Al di là di ogni possibile dubbio, gli Eldar riconoscono al concepimento l’origine della persona, tanto da meritare il festeggiamento più della nascita. Il periodo sembra addirittura fornire una spiegazione sul perché un osservatore ignaro della tradizione elfica potrebbe al contrario pensare che gli Eldar festeggino la nascita (così come nel più celebre costume Hobbit), a fugare in anticipo la possibile confusione. Tra gli Eldar ci si sarebbe sì potuto augurare nel giorno della nascita «Merya nostare!» (la formula con cui gli studiosi dei linguaggi inventati di Tolkien hanno standardizzato la resa in Quenya, Alto-Elfico, di «Buon/Felice compleanno!»), con ciò però volendo ricordare che in quel giorno il proprio caro è stato concepito. Che la vita prenatale per gli Elfi fosse un periodo tanto prezioso quanto qualsiasi altro dell’infanzia è ribadito più avanti, quando il trattato affronta il rapporto tra l’indissolubilità del matrimonio dopo lo svanire del desiderio sessuale, per cui non era insolito che due sposi che da tempo avessero superato i “giorni dei figli”, dimorassero distanti anche per lunghi periodi pur rimanendo uniti. Al contrario,

… a chiunque degli Eldar parrebbe un fatto penoso che una coppia sposata si separasse nell’attesa di un figlio, o fino all’ultimo dei primi anni della sua infanzia. Per questa ragione gli Eldar preferiscono generare figli solo in tempo di felicità e pace, se possono.

La cura è nell’ordine per il nascituro e così per l’infante. Ma una tale devozione per la generazione, non dovrebbe avere come effetto la procreazione di numerosi figli in ogni famiglia? E perché invece, tende a chiedersi il lettore, in tanti secoli e millenni, gli Eldar, anche quelli liberi dall’Ombra, non generano se non nella giovinezza e nella prima maturità, salvo casi rari, e perché allora pochi figli (di rado più di quattro)?

Note

Note
1 X Volume di The History of Middle-Earth. Il testo Laws and Costums esiste in due varianti lievemente differenti di cui la seconda – Laws B – è pubblicata per intero con note per segnalare le differenze testuali della prima, Laws A.
2 MR 212. Nel Laws A, Tolkien nota che, non esigendosi nemmeno un testimone, gli stessi Beren e Lúthien non potevano essere impediti a sposarsi secondo la legge, ma che solo la volontà di Beren di onorare il giuramento fatto al padre di lei poneva un vincolo sulla loro unione.
3 MR 213.
4 Si veda, per approfondire, Verlyn Flieger 2007, Schegge di luce. Logos e linguaggio nel mondo di Tolkien, Marietti 1820.
5 Qualche pagina prima l’aveva già anticipato circa la scelta della sposa, precisando che “per natura sono continenti e costanti”, di rado sopraffatti da desideri smodati, così come rari i racconti in cui si ricordano membri del loro popolo contaminati dalla lussuria, per quanto a fondo corrotti e pregni di malizia. Nelle note Tolkien fa anche presente che qualora uno degli Eldar abbia mai pensato a prendere una sposa con la forza  contro la sua volontà, un rapporto violento così imposto avrebbe decretato la di lei immediata dipartita, perché in quello stesso momento ella avrebbe rigettato la vita corporale, rendendo così la violenza comunque infruttuosa. Per quanto non ci sia memoria tra gli Eldar di atti perpetrati fino all’esito, Maeglin durante la Caduta di Gondolin tentò di rapire Idril, sposa di Tuor e questi lo scaraventò dalle mura.
6 Come se il desiderio stesso avesse origine o fosse destato nella prima unione. Per quanto mi riesca di ricordare, non mi pare che sia mai stato evidenziato prima questo elemento.

2 commenti

  1. Articolo veramente illuminante, che invita a conoscere più a fondo (e con maggior sottigliezza) l’opera di Tolkien…complimenti!

    • Grazie Elena, il primo scopo è sempre quello di approfondire la compagnia che ci fa l’autore con le sue storie, specialmente quando, mossi da pur nobili scopi, siamo tentati di trattarlo con distrazione, come se dare attenzioni a temi fondamentali come quelli di alcune battaglie ci portasse ad essere meno attenti alle parole che c’ispirano, pur di usarle a nostro vantaggio. In realtà è proprio il contrario, solo quando le facciamo nostre ci affiancano nelle nostre battaglia.

      Tolkien andrebbe considerato davvero nella totalità – o nella maggior completezza possibile – della sua opera (senza timore di esagerare quanto Dante, Shakespeare, Goethe, Dostoevskij, Hugo…), in Italia è più difficile che altrove, ma proprio per questo è quanto mai importante ricordare che le Storie degli Hobbit non sono che un frammento, seppure il più brillante, dell’epica che ha raccontato per quasi 60 anni.

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