Invece di confrontare la ricorrenza di Lc 1 con tutte le altre ricorrenze del tema degli angeli nell’opera lucana (la prima cosa che farebbe un qualunque ricercatore onesto), Biglino confronta la sola parola “Gavriel” con l’omologa ricorrente nel testo del libro di Daniele (a proposito, anche “Daniel” è un nome teoforico…): e non sta a tediare il povero lettore con la spiegazione di quanto sia controversa la datazione del suddetto libro (redatto in tre lingue e almeno tre tempi, tutti posteriori all’età della deportazione in cui si ambientano i fatti narrati); non si attiene al normale principio ermeneutico che sconsiglia di spiegare una cosa oscura tramite una più oscura (e sennò come si fa il gioco delle tre carte?). No, Biglino spiega che nel libro di Daniele “Gavriel” viene presentato come “ish”, cioè come “uomo (maschio)”: a questo punto perché tediare il povero lettore con la pacata spiegazione del fatto che anche Luca (come un po’ tutti) usa, lo accennavamo, il sostantivo equivalente “anér” per indicare gli angeli? …eppure l’Evangelista non dubita minimamente che essi siano creature incorporee. Ma perché appesantire la scrittura del fumetto, specie quando le tavole erotiche si stanno avvicinando e le dita del lettore già fremono di libidine? Gabriele è un uomo, e anche virile, considerando la qualità del nome e dei verbi (sempre in Daniele, eh…), i quali indicano sforzo e lavoro. Poi tutt’a un tratto Biglino cambia carta e va sulla pagina lucana: lì sorvola sul moto di Gabriele, che viene descritto con verbi nient’affatto caratterizzati da fisicità, e sceglie di indugiare invece sul saluto di Lc 1, 28: «Χαῖρε, κεχαριτωμένη» [«Chaîre kecharitōménē»], che ricorrendo alla già illustrata linguistica orba di semantica viene tradotto con un audace “ciao, bella” (ma Biglino sa di dover conservare un contegno e scrive “tu che ti sei fatta graziosa, gradevole, piacente”). Sì, perché – c’illumina il Nostro –
Conoscendo le preferenze e i gusti estetici dei cosiddetti “angeli” biblici, non ci si deve stupire: in un altro capitolo di questo lavoro, ho evidenziato come le donne dovessero porre particolare attenzione in presenza di quegli individui che parevano essere sessualmente molto eccitabili.
Mauro Biglino, Antico e Nuovo Testamento, libri senza Dio, p. 140
Certo: non siamo sicuri che Gesù sia un personaggio storico, ma che gli angeli fossero dei mandrilli è cosa evidente a chiunque abbia gli occhi in testa! Comunque il meglio deve ancora venire: Maria dovrebbe gioire perché
lei risulterebbe essere la prescelta per l’operazione di fecondazione che doveva portare alla nascita di un personaggio speciale: uno dei tanti figli degli Elohim scelti per missioni di particolare significato e importanza.
Ibidem
E questa è la tesi. Ora ci vogliono le pezze d’appoggio. Biglino le spiattella sul tavolo con scioltezza: i “Papiri Bodomer” sono una di quelle cose che pochissimi conoscono, e dunque si portano sempre bene in contesti in cui il numero delle persone impreparate è superato solo da quello di quanti non devono farsi scoprire tali. Difatti va avanti senza precisare da quale opera estragga la citazione (perché i Papiri Bodomer sono un supporto, non un contenuto: un po’ come dire “si vede chiaramente in un dvd…”, senza dire cosa ci sia masterizzato, nel dvd in questione) si limita a indicare la (relativa) antichità dei testi (sono comunque parecchio più recenti di tutti i Vangeli canonici) e lascia sottintendere che in quei testi riemersi dalle sabbie del deserto possa finalmente rivelarsi la verità vera di cosa accadde quella sera. Tanto ci vuole poco, il lettore non vede l’ora di godersi la scena erotica: basterà fargli vedere una tendina che si muove al vento. E neanche quella Biglino mostra, perché la scena narrata è quella della scoperta di Giuseppe (fra l’altro, anche “Yosef” è un nome teoforico…), dunque un momento di forte tensione:
Ella pianse amaramente, dicendo: «Io sono pura e non conosco uomo». Giuseppe le domandò: «D’onde viene dunque ciò che è nel tuo ventre?». Ella rispose: «Vive il Signore, mio Dio, questo che è in me non so d’onde sia!». Giuseppe ebbe molta paura. Si appartò da lei riflettendo che cosa dovesse fare di lei. Giuseppe pensava: «Se nasconderò il suo errore, mi troverò a combattere con la legge del Signore; la denunzierei ai figli di Israele, ma temo che quello che è in lei provenga da un angelo, e in questo caso mi troverei ad aver consegnato a giudizio di morte un sangue innocente.
E Biglino cita una nota del grande filologo Luigi Moraldi:
Era una tradizione assai comune nel tardo Giudaismo che fatti del genere fossero avvenuti fin dalle prime generazioni umane: vedi Giubilei 5,1 ss; 1 Enoch 6,1 ss; 7,5 ss; 10,12; 89,3, e ancora il testo trovato a Qumran: 1 Q Gen Ap ai capitoli II ss.
Ovvio, altrimenti in Gen 6 non si parlerebbe dei “giganti” dei tempi antichi: ma questo lo ignora solo chi la Bibbia non l’ha mai letta di continuo per i primi sei capitoli – e sono questi, di solito, i passanti che si fermano a giocare alle tre carte con Biglino. Difatti il Nostro commenta in un modo stupefacente:
Annoto e sottolineo che Giuseppe prendeva in seria considerazione che la gravidanza di Maria avesse origini molto concrete.
Ivi, 141
Questa è bella: Giuseppe era certo del fatto che ci fosse stato un rapporto sessuale alla base della gravidanza di Maria – i Vangeli lo definiscono giusto, mica tonto! – e difatti il timore che davvero ci fosse un’ipotetica origine non naturale alla gravidanza gli veniva precisamente dal fatto che in quel caso avrebbe fatto mettere a morte un’innocente. Non lo sfiora neanche l’idea che Alien, comprensibilmente irritato, gli avrebbe come minimo spappolato il cervello. Chissà come mai…
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Ma le “prove” di Biglino non sono finite, e così come se “i Papiri Bodomer” non fossero sufficienti eccolo che tira fuori il Liber de infantia Salvatoris, o Natività di Maria e di Gesù. E il lettore di Biglino non apprende che quel testo è stato scritto precisamente con l’intento di illustrare ed esaltare la divinità di Gesù e la dignità di Maria, ma solo (senza contesto è un “solo” riduttivo, certo) che Giuseppe, da bravo marito meridionale, aveva lasciato la sposa in casa con un ninfeo di guardia, dovendo assentarsi. Al ritorno del carpentiere si scatena il dramma:
Quelle vergini che erano con lei gli risposero: «Noi sappiamo che nessun uomo l’ha mai toccata. Sappiamo che in lei l’integrità e la verginità sono state custodite con immacolata perseveranza. Infatti restò sempre in preghiera con Dio. Ogni giorno riceveva il cibo dalle mani di un angelo. Se vuoi ti manifestiamo il nostro pensiero: nessuno la può aver messa incinta se non un angelo di Dio». Rispose Giuseppe: «Perché volete che io creda quanto voi mi dite, e cioè che l’abbia ingravidata un angelo di Dio? È vero, anche questo può accadere. Ma un angelo di Dio santifica la persona che ingravida, a costei non resta corruzione alcuna, nessuna contaminazione… è l’espressione della parola divina. E se qualcuno si fosse finto, in modo credibile, un angelo per ingannarla?
Trattenete il respiro per il commento di Biglino, che addirittura si commuove:
Devo dire che la parte finale è meravigliosa: si può essere più umanamente concreti di così? Chi lo avrebbe mai detto!?
Ivi, 144
L’“esegeta” sembra non essere sfiorato dal sospetto che il testo risponda con dottrina ortodossa alla domanda di un ipotetico lettore proprio mentre l’anticipa: “E se fosse stata ingannata?” è infatti domanda naturale in chiunque ascolta il racconto canonico dell’annunciazione, mentre “È l’espressione della parola divina” è la risposta ortodossa del credente cristiano (peraltro già con un piccolo embrione di Logostheologie). Ma forse così non viene bene, il gioco delle tre carte.
E che diremmo, allora, se andassimo avanti nelle pagine di quello stesso scritto apocrifo e arrivassimo al picaresco referto ginecologico dell’ostetrica Zachele (un altro nome teoforico! Senza dubbio era un’aliena anche lei!), che avrebbe visitato Maria a Betlemme proprio dopo il parto?
Avendo Maria permesso di essere visitata a lungo [non è che le ha dato un’occhiatina fugace, eh, N.d.R.], l’ostetrica a gran voce esclamò: «O Signore, gran Dio, abbi pietà! Poiché non si è ancora mai udito né visto né sospettato che le mammelle siano piene di latte e il nato maschietto dimostri che sua madre è vergine. Nel nascituro non vi fu alcuna contaminazione di sangue, nessun dolore apparve nella partoriente. Ha concepito vergine, vergine ha partorito e, dopo aver partorito, rimase vergine».
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E se vorrete andrete da voi a leggervi il seguito, quando Zachele narra a Giuseppe nel dettaglio come mentre visitasse la Vergine tutti gli elementi del cosmo si fossero arrestati d’incanto (pare Fermarono i cieli di Sant’Alfonso!): questo passaggio l’ho citato non solo perché mostra l’evidente intenzione dossologica del testo, ma anche perché risponde alla questione della contaminazione sollevata poco prima da Giuseppe (ovvero dall’immaginario interlocutore dell’autore). Non c’è alcuna contaminazione, l’imene della madre è intatto e il bambino non è neppure sporco di sangue.
Questo passaggio sarebbe davvero prezioso, dal punto di vista della storia del dogma: permetterebbe infatti di osservare che nel Sitz im-Leben del testo le angosce docetiste erano già tanto indebolite da non temere lo spettro di un corpo evanescente del Salvatore. Certo, ne potremmo parlare se stessimo studiando cose serie, invece stiamo solo confutando una valanga di grottesche assurdità.
Paperelle al Luna Park, come dicevo tempo fa: puoi abbatterle tutte ma tutte si rialzano, è solo un trastullo per spillare denaro ai passanti. E sarebbe forse ingeneroso trasportare tout court su Biglino la similitudine: mentre al tiro a segno qualche abilità si sviluppa, in questo caso invece si produce contestualmente anche un inquinamento delle capacità critiche, un annebbiamento del senso storico e (last but don’t least) uno smorzamento delle virtù teologali.
Di’ cosa ne pensi