Ogni volta che abbiamo parlato del lavoro di Mauro Biglino ci siamo imbattuti in un singolare concetto di “esegesi”: da un lato infatti si rivendica la pura aderenza al testo biblico, dall’altro si coartano nelle pagine scritturistiche le serie di X-Files e i romanzi di Sitchin senza alcuna evidenza a suffragio; da una parte si pretende di prescindere da ogni “sovrastruttura” teologica (perché l’assurda petizione di principio di Biglino è appunto che la Bibbia non parli di Dio) e dall’altra si fanno anacronistiche inferenze di categorie filosofico-teologiche posteriori su testi antichi.
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Sembrano parole astruse ma il concetto è molto semplice: che direbbe un meccanico se qualcuno negasse che quelle delle antiche macine erano (e sono) veramente delle ruote… solo perché non possono essere agganciate ai mozzi di un avantreno di automobile o perché non prevedono supporto per i freni? Ecco, formalmente Biglino compie di continuo simili abusi: perlopiù semantici, cioè basati sullo slittamento del significato di certe parole nel tempo, e sbalordisce platee di persone digiune o quasi di categorie bibliche esibendo codesti giochi di prestigio.
Poiché in Antico e Nuovo Testamento, Libri senza Dio, il Nostro si è dilettato di applicare il suo “metodo” anche sui libri della Nuova Alleanza, prendiamo ora ad esempio il caso dell’Annunciazione, così come è raccontata nel capitolo 1 del Vangelo secondo Luca. Si tratta di un esempio molto eloquente perché vi si evince non solo, una volta fra le altre, l’esilarante procedura dell’“esegeta” Mauro Biglino, ma vi si apprende con una chiarezza cristallina la disinvoltura con cui il Nostro usa i testi moderni, oltre a quelli antichi. Una cosa alla volta.
Il punto di partenza si dà a pagina 137 del libro in questione, ove si legge, verbatim:
Volendo concedere che Giosuè/Gesù sia realmente esistito – cosa di cui non abbiamo documentazione storica – ci rifacciamo quindi a dati di partenza che possono essere ipoteticamente i seguenti:
- Yahweh è realmente esistito come individuo in carne e ossa;
- data la durata della vita degli Elohim biblici, potrebbe addirittura ancora esistere;
- Yahweh aveva (ha ancora?) l’obiettivo costante di assegnare quella terra ai suoi;
- Maria è stata visitata da un Gavriel, termine che in ebraico indica il potere di un “El” (singolare di Elohim) e per estensione uno che esercita il potere per conto di un “El” (ricordo che un Gavriel fa visita a Daniele per comunicargli le decisioni prese nel consiglio dei Vigilanti e un Gavriel si presenta al profeta Maometto);
- dopo la “visita” di quell’individuo, Maria è rimasta incinta senza conoscere altro uomo (almeno prima di concepire e partorire altri fratelli di Giosuè/Gesù, come chiaramente detto nei Vangeli).
Dunque: la pericope presenta un ricco assortimento dei cavalli di battaglia di Biglino, che messi tutti così vicini producono un particolare effetto farsesco. Anzitutto la premessa “non è certo che Gesù sia storicamente esistito”: ormai più di quarant’anni fa, nel 1976, Vittorio Messori scrisse 288 pagine di indagine storica (tradotta in 22 lingue a oggi) sull’uomo di Nazaret. E ci perdoni Messori per l’accostamento.
Se non è certo che Gesù sia esistito, lo è invece (ma Biglino usa il suo furbo “ipoteticamente”, salvo poi procedere come se avesse in mano dati certi e prove incontrovertibili) che sia esistito YHWH – malamente traslitterato in Yahweh dall’“ebraista”… –, ed essendo YHWH uno degli Elohîm, ossia uno El, si tratta di “un individuo in carne ed ossa” che comunemente definiremmo “un extraterrestre” (che c’è di più logico?).
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Essendo anche l’esistenza di YHWH un’ipotesi, non ne siamo proprio certi… in compenso siamo certi che gli Elohîm, e dunque anche YHWH, vivessero molto a lungo – e abbiamo ragione di sospettare che forse questi sia tuttora vivo. Chiunque abbia due rudimenti di logica formale o anche solo di insiemistica si rende conto dell’assurdità: come a dire “non siamo certi che esistano le scimmie, ma per contro sappiamo che le scimmie sono mammiferi e che una particolare scimmia è certamente stata viva e potrebbe esserlo tuttora”.
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Il terzo punto è completamente fuori contesto, nel Nuovo Testamento, ma sembra che Biglino non riesca a cantare la sua canzone saltando qualche strofa. Il capolavoro arriva a proposito di Gabriele, il quale in forza dell’etimologia del suo nome passa da referente nominale di un individuo (sorvoliamo al momento sulla sua natura) a referente generico di una serie di individui. A parte che in ebraico lo yod indica il possessivo di prima persona singolare, e quindi il nome “Gabriele” significa “La mia potenza è Dio”, e non un generico “potenza di Dio” (o di El, se si preferisce); ma ci si rende conto del fatto che una simile forzatura è analoga all’ipotesi – per esempio – che in forza del significato della parola “Zar” (che deriva da “Cæsar”) Nicola II abbia varcato il Rubicone scatenando la guerra civile del 49-45 a.C.? Anzi, in modo ancora più estremo (perché “Zar” è comunque un titolo che parte da un individuo eponimo, mentre “Gabriele” è il nome di un individuo che Biglino rende insensatamente astratto e generico): poiché “Clarissa” significa “la brillante” dovremmo inferire che la Signora Dalloway concepita dalla mente di Virginia Woolf (e qui dovremmo biglinamente chiamarla “una Clarissa”) sia in realtà una monaca del second’ordine francescano. Un totale nonsense.
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Verrebbe il sospetto che Biglino conti di prosperare sull’analfabetismo biblico delle persone, visto che appena si ripropone formalmente il procedimento in un contesto extrabiblico balza palese agli occhi la forzatura. Restando invece nel panorama biblico, sarebbe invece divertente applicare il giochino su tutti i nomi teoforici delle Scritture – cioè quelli che contengono la parola “El” (o “Ia/Io”) –, e quindi non solo Michele, Gabriele e Raffaele (sorvoliamo sugli altri arcangeli), ma anche Samuele, Fanuele, Gamaliele, Giovanni (“Yokanaan” in ebraico), Giosia e lo stesso Gesù (o “Giosuè”, come con futile vezzo a Biglino piace tergiversare). Basta così poco per fantasticare di esseri sovrumani? Beh, se Giosia fosse stato un potente extraterrestre non sarebbe finito così male come finì, né il collo del Battista si sarebbe tagliato sotto una lama di vile metallo terrestre. La Bibbia assomiglierebbe molto a quei fumetti che Biglino vende (eh, sì…), ma molto poco a ciò che in effetti è – e difatti sarebbe così noiosa e banale da dover necessariamente venire ravvivata a forza di astronavi e raggi levitanti. No, Biglino non lo dice (qui) ma in realtà si fa stampella del fatto che Gabriele venga detto “angelo”, e che “angelo” sia la traduzione greca dell’ebraico “malak”… le tre carte si muovono veloci sul banchetto del Nostro e alla fine l’incauto passante si sente dire che Gabriele è semplicemente un “messaggero”, perché “malak” significa etimologicamente “messaggero”. Certo, la linguistica si compone di etimologia e di semantica, ma questo non bisogna ricordarlo al passante che viene imbambolato dalle tre carte: “formidabile” significa etimologicamente “terrificante”, ma chi oggi non lo usa anzitutto e perlopiù per dire “fantastico”? Biglino è quello che va a prendere una frase in cui una persona ha detto “formidabile!” e spiega ai passanti che quella persona intendeva “terrificante!”. In forza dell’etimologia e in barba alla semantica.
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La prova del nove, sugli angeli, la fa raccattando tutti i testi in cui si parla di una qualche corporeità di quegli individui, e ripropone la già ricordata inferenza di categorie filosofico/teologiche posteriori in testi anteriori. In pratica dice, prendendo i testi in cui si evocano i movimenti e le azioni materiali degli angeli: ecco, vedete che si tratta di individui in carne ed ossa? Non dunque degli spiriti puri, degli intelletti assoluti inventati dalla teologia! E via di seguito con la nota canzone. Cosa è costretto a tacere, Biglino? Almeno tre cose:
- Che la figura dell’angelo nasce nella cultura giudaica per osmosi con quella babilonese, e che dunque la corrispettiva “angelologia” è una raffinazione del concetto di “angelo” che avviene dal VI secolo a.C. in poi: tale processo ha una forte spinta in epoca intertestamentaria ed è ancora oggetto di vivide discussioni ecclesiali in seno alla comunità giudaica del I secolo d.C. Lo stesso concetto di “spirito” non è privo di sostanziali equivocità perfino nella sola cultura ellenistica (si pensi allo scontro tra stoici e platonici, in merito): tale prospettiva si riflette addirittura nell’elaborazione teologica paleocristiana in riferimento alla sostanza divina… giusto per dare un’idea di cosa accadde prima. È ovvio che si trovino fior di testi in cui gli angeli sono descritti nel pieno di azioni materiali.
- Che – per contro – ci sono fior fior di testi, anche nella Bibbia, che indugiano con dettaglio perfino irritante (per il lettore non avvertito) su tali questioni: esempio lampante è sparso in tutto il breve romanzo di Tobia, ove l’autore usa grande attenzione a sottolineare l’incorporeità di Raffaele.
- Che “angelo” non è l’unica parola che identifica queste figure: si pensi per esempio al fatto che gli “angeli del sepolcro” sono detti “un ragazzo” da Marco (16, 5) e “uomini” da Luca (22, 43); lo stesso Luca, negli Atti, parla di altri “due uomini” (1, 10), e sarebbe sciocco pensare che Luca – magari “in quanto medico” (e dunque istruito, e dunque scettico…) – non creda all’esistenza degli angeli. In realtà già nel capitolo 24 (4) del Vangelo si accennava a “visioni di angeli”, e prima lo stesso evangelista era stato il solo ad accennare al dettaglio dell’angelo del conforto nel Getsemani (22, 43). E che dire del bellissimo racconto di At 12, ove un angelo è così immateriale da penetrare in una prigione e così materiale da liberarne Pietro?
Di queste (e altre) cose però Biglino non può parlare: non è così che si fa il gioco delle tre carte. Vediamo dunque come si fa…
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