Il richiamo all’apologia di Adolf Eichmann & Co. è fin troppo evidente, eppure la sentenza della High Court britannica, nel suo ostinato e impersonale riferirsi a “la nostra legge” ricorda più che altro il sobillato borbottio della folla dei giudei nella Johannespassion: «Noi abbiamo una legge, e secondo questa legge deve morire, perché si è fatto figlio di Dio»
Anche quel bravo ragazzaccio di Thomas Evans (e gli chiedo scusa se oso pronunciare e scrivere il suo nome – io) ha più volte dichiarato: «Alfie è figlio di Dio». Crocifiggerlo dunque è il minimo che si possa fare, come insegnano perfino le Scritture: anche noi «abbiamo una legge». E mentre piangiamo su di lui faremmo bene a sentire rivolto a noi l’ammonimento di Cristo alle c.d. “pie donne”:
Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: «Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato». Allora cominceranno a dire ai monti: «Cadete su di noi!», e alle colline: «Copriteci!».
Perché, se si tratta così il legno verde, che avverrà del legno secco?Lc 23, 28-31
Già: ancora prima di arrivare «al trono dell’Altissimo», chi di noi può illudersi di vivere tranquillo in una società che non considera «il dovere e l’onore di una società umana, quello di prendersi cura dei più vulnerabili fra i suoi»? Domani toccherà a Mr. Justice ammalarsi e diventare improduttivo, e allora lo faranno fuori come egli oggi ordina di far fuori Alfie, “vita futile”. Già stasera, forse, toccherà a chiunque altro cadere sotto la mannaia del “best interest”, e nessuno sarà veramente al sicuro. Cominciamo oggi, quindi, e sempre più saremo tentati di benedire le sterili – in fondo la nostra società necrofila lo sta facendo da svariati decenni, a quanto pare con successo crescente.
Pensavo infine all’altro brano di Bach, il parallelo nella Matthäuspassion, dove la figliolanza divina non viene addotta come causa della condanna, bensì è impiegata per deridere il Messia nella sua regale impotenza: «Ha aiutato gli altri e non può aiutare sé stesso. È il re d’Israele? Allora scenda adesso dalla croce, e noi gli crederemo. Ha confidato in Dio, e ora lo liberi lui, se lo vuole. Perché egli ha detto: «Io sono figlio di Dio».
Ma se gli eredi della folla sobillata (in qualche modo noi) sono peggiorati solo nell’ignavia, quelli dei capi sobillatori invece sono peggiorati anche nella fede, assomigliando sempre di più al “grande Inquisitore” dei Fratelli Karamazov. Non sarà un caso che parlando di lui e di quelli a cui egli si è unito Aljoša dicesse, al plurale:
Essi non hanno né tanta intelligenza, né misteri o segreti di sorta… Forse soltanto l’ateismo, ecco tutto il loro segreto. Il tuo inquisitore non crede in Dio, ecco tutto il suo segreto!
Sono atei, sì, questi giudici, questi medici, questi infermieri, questi ministri, questi passacarte… è atea la Regina, perfettamente nel suo ruolo di pontefice di una caricatura di Chiesa… Ma a che giova stilare l’elenco degli indegni? Forse ci saremo anche noi: le uniche persone che sicuramente non vi compariranno sono Alfie e i suoi (benedetti) genitori. Torniamo però alle formidabili parole dell’Inquisitore, quelle “ragionevoli” e “buone” con cui nel nome di Dio Cristo viene condannato:
Troppo, troppo apprezzeranno quel che significa sottomettersi una volta per sempre! E finché gli uomini non capiranno questo, saranno infelici. Ma chi piú di tutti, dimmi, ha favorito questa incomprensione? Chi ha diviso il gregge e l’ha disperso per vie sconosciute? Ma il gregge tornerà a raccogliersi, tornerà a sottomettersi, e questa volta per sempre. Allora noi daremo loro la tranquilla, umile felicità degli esseri deboli, quali essi furono creati. Oh, noi li persuaderemo infine a non inorgoglirsi, ché Tu li innalzasti e in tal modo insegnasti loro a inorgoglirsi: proveremo loro che sono deboli, che sono soltanto dei poveri bimbi, ma che la felicità infantile è la piú dolce di tutte. Essi diverranno mansueti, guarderanno a noi e a noi si stringeranno, nella paura, come i pulcini alla chioccia. Ci ammireranno e avranno paura di noi, e saranno fieri che noi siamo cosí potenti e cosí intelligenti da aver potuto pacificare un cosí tumultuoso e innumere gregge. Temeranno la nostra collera, i loro spiriti si faranno timidi, i loro occhi lacrimosi, come quelli dei bambini e delle donne, ma altrettanto facilmente passeranno, a un nostro cenno, all’allegrezza, ed al riso, alla gioia luminosa ed alle felici canzoni infantili. Certo li obbligheremo a lavorare, ma nelle ore libere dal lavoro organizzeremo la loro vita come un giuoco infantile con canti e cori e danze innocenti. Oh, noi consentiremo loro anche il peccato, perché sono deboli e inetti, ed essi ci ameranno come bambini, perché permetteremo loro di peccare. Diremo che ogni peccato, se commesso col nostro consenso, sarà riscattato, che permettiamo loro di peccare perché li amiamo e che, in quanto al castigo per tali peccati, lo prenderemo su di noi. Cosí faremo, ed essi ci adoreranno come benefattori che si saranno gravati coi loro peccati dinanzi a Dio. E per noi non avranno segreti. Permetteremo o vieteremo loro di vivere con le proprie mogli ed amanti, di avere o di non avere figli, – sempre giudicando in base alla loro ubbidienza, – ed essi s’inchineranno con allegrezza e con gioia. Tutti, tutti i piú tormentosi segreti della loro coscienza, li porteranno a noi, e noi risolveremo ogni caso, ed essi avranno nella nostra decisione una fede gioiosa, perché li libererà dal grave fastidio e dal terribile tormento odierno di dovere personalmente e liberamente decidere. E tutti saranno felici, milioni di esseri, salvo un centinaio di migliaia di condottieri. Giacché noi soli, noi che custodiremo il segreto, noi soli saremo infelici. Ci saranno miliardi di pargoli felici e centomila martiri che avranno preso su di sé la maledizione di discernere il bene dal male. Essi morranno in pace, in pace si spegneranno nel nome Tuo e oltre la tomba non troveranno che la morte. Ma noi conserveremo il segreto e li lusingheremo, per la loro felicità, con una ricompensa celeste ed eterna. Infatti, quand’anche in quell’altro mondo ci fosse qualcosa, non sarebbe certo per esseri simili. Si dice e si profetizza che Tu verrai e vincerai di nuovo, che verrai coi Tuoi eletti, superbi e possenti, ma noi diremo che essi hanno salvato solamente se stessi, mentre noi abbiamo salvato tutti. Si dice che la meretrice seduta sulla bestia, con la coppa del mistero nelle mani, sarà svergognata, che i deboli torneranno a rivoltarsi, strapperanno la sua porpora e denuderanno il suo corpo “impuro”. Ma io allora mi alzerò e Ti additerò i mille milioni di bimbi felici, che non conobbero il peccato. E noi, che ci siamo caricati dei loro peccati, per la felicità loro, noi sorgeremo dinanzi a Te e diremo: «Giudicaci, se puoi e se osi». Sappi che io non Ti temo. Sappi che anch’io fui nel deserto, che anch’io mi nutrivo di cavallette e di radici, che anch’io benedicevo la libertà di cui Tu letificasti gli uomini, che anch’io mi ero preparato ad entrare nel numero dei Tuoi eletti, nel numero dei potenti e dei forti, con la brama di “completare il numero”. Ma mi ricredetti e non volli servire la causa della follia. Tornai indietro e mi unii alla schiera di quelli che hanno corretto l’opera Tua. Lasciai gli orgogliosi e tornai agli umili per la felicità di questi umili. Ciò che Ti dico si compirà e sorgerà il regno nostro. Ti ripeto che domani stesso Tu vedrai questo docile gregge gettarsi al primo mio cenno ad attizzare i carboni ardenti del rogo sul quale Ti brucerò per essere venuto a disturbarci. Perché se qualcuno piú di tutti ha meritato il nostro rogo, sei Tu. Domani Ti arderò. Dixi.
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