Oggi quel giovane e roccioso papà di Alfie Evans, Thomas, si è sveltamente recato nel cuore del cuore del Vaticano, a Santa Marta, per spiegare a Papa Francesco senza filtri mediatici la verità sul figlioletto: così facendo ha incassato, nell’ordine, parole di conforto e benedizioni sul momento; un forte richiamo in piazza san Pietro durante l’udienza del mercoledì (ancora una volta, il Santo Padre ha assimilato il caso Evans al caso Lambert) e l’incarico a mons. Francesco Cavina di tessere i rapporti tra la famiglia Evans e la Segreteria di Stato. Per qualche ora si pensava che ora la Curia arcivescovile di Liverpool, sorpresa in gravissima e tendenziosa falsa testimonianza in atto riservato alla Santa Sede, si sarebbe cosparsa il capo di cenere: niente affatto, anzi i vescovi inglesi si sono incredibilmente schierati in blocco con l’ospedale.
Domani doveva essere il giorno dell’inizio del secondo tentativo esplicito di uccidere Vincent Lambert: il primo, nel 2013, era stato condotto surrettiziamente; il secondo, ora, vorrebbe passare per una “decisione collegiale” che interrompa un “accanimento terapeutico” e che anzi corrisponda alla “volontà del paziente”. Domani però non accadrà alcunché di tutto questo, perché alle 9:30 avrà luogo presso il tribunale di Châlons en Champagne un’udienza di ricorso urgente.
In questo contesto vuole incidere, con un documento importante e autorevole, una selezione di 70 membri del personale medico e paramedico francese, afferenti a diverse specializzazioni: oggi sul Figaro costoro hanno pubblicamente denunciato «una eutanasia che non dice il proprio nome». Un importante J’accuse, in un Paese in cui le lobbies imperversano come in Gran Bretagna, ma dove le sentenze non sono ufficialmente incaricate di scolpire la legge.
Di seguito la traduzione del documento.
Noi, medici e professionisti specializzati nella cura di persone cerebrolese in stato vegetativo o iporelazionale (EVC-EPR), teniamo a esprimere – in fede e in coscienza – la nostra incomprensione e la nostra estrema inquietudine riguardo alla decisione di arresto di nutrizione e idratazione artificiali per il signor Vincent Lambert. Una trama di incertezze e un ordito di ipotesi, così pure come giudizi contraddittori sul livello di coscienza, sulle capacità di relazione e di deglutizione, e il pronostico fondano una sanzione drammatica, incomprensibile. Alcuni fra noi hanno un’esperienza che va da trenta a quarant’anni di cure e di riflessione su queste persone. La circolare del 3 maggio 2002, che ha marcato una tappa essenziale per l’organizzazione e la qualità della presa in carico delle persone EVC-EPR, costituisce un punto di riferimento sempre attuale.
La maggior parte fra noi non conosce personalmente il signor Vincent Lambert, se non per quello che di lui si dice nei media, in modo fazioso, quanto all’applicazione nei suoi riguardi della legge relativa ai diritti dei pazienti e al fine vita.
Alcuni tra noi hanno potuto visionare un breve video, scene girate nel giugno 2015, il quale permette di affermare che il signor Vincent Lambert è sì in stato iporelazionale, e cioè non è in coma, non richiede alcuna misura di rianimazione e ha capacità di deglutizione e vocalizzazione. Se ci è impossibile pronunciarci sull’esatto livello di coscienza e sulle sue capacità relazionali, per contro il signor Vincent Lambert ci sembrar avvicinabile ai pazienti afferenti alle nostre unità EVC-EPR, e a quelli che neppure hanno la tracheotomia. È evidente che non è in fin di vita. La sua sopravvivenza nelle condizioni e nel contesto che lo circondano – disintegrazione famigliare, procedure giuridiche interminabili, scatenamento mediatico, assenza di progetto di vita con abbandono di ogni rieducazione o uscita o momento in sedia a rotelle, isolamento sensoriale e relazionale nella sua camera, dov’è rinchiuso a chiave da quattro anni… – testimonia anzi ai nostri occhi la sua tenace pulsione di vita.
Come non tenere conto del fatto che il signor Lambert è sopravvissuto nel 2013 a trentuno giorni senza alimentazione e con un’idratazione ridotta al minimo, mentre per la nostra unanime esperienza questo fatto è incomprensibile con una volontà di morte? Quando non vogliono più vivere, questi pazienti muoiono in pochi giorni, a volte in poche ore. Questa sopravvivenza per trentuno giorni testimonia al contrario un’incontestabile pulsione di vita che avrebbe dovuto fondare da cinque anni a questa parte una nuova presa in carico imperniata su un progetto di vita e che non si riduca a cure da balia.
Le esperienze mediche, anche praticate da eminenti specialisti, riposano sempre su esami praticati in un tempo necessariamente limitato. Esse non sono adattate alla situazione di questi pazienti, dei quali bisogna conquistare la fiducia prima di poter ottenerne una qualunque manifestazione di presenza cosciente. Questa valutazione non può essere convalidata che da un’équipe pluridisciplinare, in condizioni di vita variegate, lungo un arco temporale sufficientemente lungo, di più settimane, in contatto con i membri presenti della famiglia. Questo è impossibile in un contesto di reclusione senza progetto di vita. Ora, la nostra esperienza incrociata di praticanti specializzati con questo tipo di pazienti ci porta a constatare che lo stato detto vegetativo cronico, nel senso di un paziente che non sarebbe capace di alcuna relazione, non esiste: tutti i pazienti diagnosticati vegetativi che sono passati nei nostri centri di cura hanno in realtà una coscienza minima che bisogna saper individuare e sfruttare in stretta sinergia con la famiglia. Presi in carico in ospedale o in strutture specializzate, questi pazienti fanno spesso progressi sbalorditivi che sorprendono sempre gli attendenti alle cure, e tutti si sono rivelati essere capaci di relazioni interpersonali con il loro entourage, più o meno elaborate ma sempre esistenti e verificate.
Noi ci interroghiamo sulle circostanze che hanno potuto condurre ad affermare che il signor Vincent Lambert avrebbe potuto manifestare, alla fine del 2012, una volontà certa e irrevocabile di morire, punto di partenza della riflessione e delle procedure collegiali intraprese dall’équipe che ce l’ha in carico. La nostra esperienza ci porta anche ad interrogarci sul fatto che una medesima équipe di cura garantisce contemporaneamente cure a pazienti in fin di vita e a pazienti cerebrolesi: vi sono, qui e lì, due logiche antinomiche che non possono coabitare.
Su queste basi:
- Noi denunciamo le condizioni di vita imposte al signor Vincent Lambert: allettamento permanente, assenza di momenti in carrozzella adeguata, assenza di uscite, reclusione a chiave nella sua stanza, assenza di programma rieducativo di manutenzione, assenza di rieducazione della deglutizione, limitazione delle visite, tutte misure che si oppongono al mantenimento di una vita sociale e affettiva, primordiale per queste persone. Tali condizioni, tanto incomprensibili quanto inammissibili, assomigliano a un’incarcerazione prolungata, indegna del suo stato, della sua persona, dei suoi prossimi. Esse ci appaiono contrarie ad ogni etica e deontologia mediche.
- Non riusciamo a comprendere che in nessun momento di questa terribile storia e davanti a una decisione tanto grave sia stato sollecitato il parere di una squadra esperta. Grave perché non ha altra finalità se non quella di provocare la morte di un uomo che non è in fin di vita e il cui stato di handicap pare stabilizzato, e ciò perfino con una procedura collegiale. Né l’équipe medica che ha in carico il signor Vincent Lambert, all’inizio di questa situazione, né le diverse istanze di Giustizia – quali si vogliano, per quante ne siano state sollecitate – hanno fatto una simile considerazione, che pure è di buonsenso e comune, tra colleghi.
- Auspichiamo che il signor Vincent Lambert, il quale non è in fin di vita, benefici di una presa in carico conforme allo spirito della circolare del 3 maggio 2002. Per questo, egli dev’essere trasferito in un’unità dinamica dedicata ai pazienti EVC-EPR, che gli proponga un progetto di vita di qualità con inclusione dei suoi prossimi.
Laddove sentiamo dire “accanimento terapeutico”, noi non vediamo che abbandono terapeutico e maltrattamento di persona vulnerabile; e chiediamo la ripresa delle cure fisiche e relazionali.
Laddove sentiamo dire “volontà del paziente”, apprendiamo che il nostro collega che ha preso tale drammatica decisione non formula altro che ipotesi.
Laddove sentiamo dire “staccare la spina”, noi non vediamo alcun filo, alcuna macchina da disconnettere all’infuori della flebo della nutrizione enterica per via di gastrostomia, che in simili pazienti costituisce una cura di base. Però vediamo capacità di deglutizione volontaria e domandiamo che venga intrapresa una rieducazione appropriata.
Laddove sentiamo dire “sospensione dei trattamenti” noi non vediamo che deliberata provocazione della morte, un’eutanasia che non dice il proprio nome; e chiediamo invece un vero progetto di vita: ripresa della cinesiterapia dopo trattamento delle atrofie ai tendini che si sono necessariamente venute a trovare, in più di quattro anni di sospensione di tali cure, giro in carrozzina, uscita all’aria aperta.
Laddove sentiamo “procedura collegiale” noi non vediamo che una posa partigiana, ideologica, disconnessa dalla realtà di una situazione di handicap severa, stabile, che giustifica cure e trattamenti adatti in vista del benessere della persona; e noi chiediamo che il signor Vincent Lambert sia alfine trasferito in un’unità EVC-EPR che pratichi cure attive e globali nel quadro di un progetto di vita e non di morte annunciata e programmata.
Laddove sentiamo la voce di alcuni dei nostri colleghi rallegrarsi alla tesi dell’accanimento terapeutico, noi alziamo la nostra, forte di numerosi anni di esperienza, perché il nostro silenzio non diventi complice della morte provocata di uno dei nostri pazienti. Chi può osare di emettere un giudizio sul valore di una vita? Non è al contrario il dovere e l’onore di una società umana, quello di prendersi cura dei più vulnerabili tra i suoi?
La lista completa dei firmatari:
Hélène Alessandri, psicologa; Luce Bardagi, medico; Djamel Ben Smail, PUPH; Cécile Bernier, ergoterapeuta; Anne Boissel, conferenziera; Marie-Hélène Boucand, medico; Patricia Bourgogne, medico; Joseph Bou Lahdou, medico; Françoise Canny-Vernier, medico; Hélène Carriere-Piquard, medico; Mathilde Chevignard, operatore; Emmanuel Chevrillon, medico; Pauline Coignard, medico; Florence Colle, medico; Floriane Cornu, cinesiterapeuta; Hélène Curalluci, medico; François Danze, neurologo; Danielle Darriet, neurologo; Xavier Debelleix, medico; Jacques Delecluse, medico; Monique Delwaulle, encadrante; Philippe Denormandie, chirurgien; Jean-Pascal Devailly, medico; Xavier Ducrocq, neurologo; Marc Dutkiewicz, neuro-psychanalyste; Nadine Ellahi, secrétaire médicale; Michel Enjalbert, medico; Alain Faye, chirurgien; Catherine Fischer, neurologo; Louis Fromange, medico; Jean-Yves Gabet, neurologo; Laure Gatin, chirurgien; Christine Greselin, aiuto-infermiera; Lysiane Hatchikian, psicologa; Alain Hirschauer, chef de service; Marie-Hélène Jean, orthophoniste; Bernard Jeanblanc, medico; Catherine Kiefer, medico; Isabelle Laffont, PUPH; Françoise Lagabrielle, psichiatra; Hervé Lautraite, medico; Sonia Lavanant, medico; Bernard Lange, neurologo; Jean-Luc Le Guiet, medico; Marc Lestienne, medico; Emma Lozay, ergoterapeuta; Pascale Lublin-Morel, medico; Marie-Paule Mansour, infermiera; Jérôme Martin-Moussier, medico; Daniel Mellier, professeur émérite; Samir Mesbahy, dottore; Sabrina Monet, aiuto-infermiera; Dominique Norblin, cadre de rééducation; Dominique Papelard, medico; Frédéric Pellas, medico; Philippe Petit, medico; David Plantier, medico; Bruno Pollez, medico; Bénédicte Pontier, medico; Perrine Quentin, medico; Chantal Regnier, geriatra; Edwige Richer, neurologo; Dalila Solal, medico; Brigitte Soudrie, operatore ospedaliero; Hélène Staquet, neurochirurgo; François Tasseau, medico; Jean-Luc Truelle, professeur; Hélène Turpin, orthophoniste; Hervé Vespignani, neurologo; Yves-André Vimont, medico; Jean-Bernard Witas, medico.
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