Quest’eccezione prevista dal Decretum, oltre a dare vita alle decine di trattati ecclesiologici che cercarono di trovare una soluzione al problema enunciato ma non risolto da Graziano sulla questione del “papa eretico”, pose le premesse per le rivendicazioni del conciliarismo che, volendo ridurre (o cancellare, secondo le frange più estremiste) la supremazia del potere papale, vide nel canone “Si Papa” il grimaldello per scardinare l’intero ordinamento della Chiesa, sostenendo che il Papa, in caso di eresia, avrebbe dovuto essere giudicato dal Concilio dei vescovi, che in questo modo si sarebbe elevato a somma autorità nella Chiesa. La tesi per cui il Papa avrebbe dovuto essere condannato solo in caso di eresia dal Concilio imperfetto (i soli Vescovi) era stata elaborata dal cosiddetto conciliarismo mitigato, che ammorbidiva la tesi del conciliarismo radicale secondo la quale il Concilio era sempre superiore al Papa. Il conciliarismo, come è noto, fu condannato dai Concili di Firenze e Trento e definitivamente archiviato dal Vaticano I. Come scrisse il cardinale Parente nel suo Dizionario di teologia dommatica per laici, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 82-84, alla voce Conciliarismo:
Il Papa può errare e persino cadere in eresia, dovrà in tal caso essere corretto ed anche deposto. […] Quest’errore fu condannato dal Concilio di Trento e ricevette il colpo di grazia dal Vaticano I.
A partire da XV secolo cominciarono a sorgere seri dubbi sulla autenticità del canone “Si Papa”. Il già citato Albert Pigge nel suo Hierarchiæ Ecclesiaticæ Assertio (pubblicato a Colonia nel 1538) espresse seri dubbi sull’autenticità del canone “Si Papa”, spiegando che esso era stato inserito dal cardinale Deusdedit (XI secolo) nella sua collezione canonica Fragmenta libri de priviligiis Ecclesiæ Romanæ, passando poi nella raccolta di canoni, anch’essa denominata Decretum, di Ivo di Chartres, dove Graziano lo trovò.
Monsignor Vittorio Mondello ne “La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice” (1965, pp. 163-194) spiega che l’ipotesi del “papa eretico” trasse la sua origine proprio dal canone “Si Papa”. Egli espone la fondata teoria che tale decreto potesse essere spurio e fosse stato erroneamente attribuito a San Bonifacio, essendo in realtà redatto dal cardinale francese Umberto di Silvacandida (opinione condivisa da mons. James Moynihan ne “Papal Immunity”, pubblicato nel 1961).
Padre Salvatore Vacca, nel suo saggio “Prima Sedes a nemine iudicatur” ha affrontato il tema affermando che
Graziano, per fondare il principio sulla ingiudicabilità del Papa, a differenza della tradizione canonistica precedente ha lasciato inconcusso il principio Prima Sedes a nemine iudicatur. Tuttavia, ha trascritto parzialmente il Fragmentum A (174-178) di Umberto di Silvacandida. Egli raccoglie così nel suo Decreto le due tradizioni giuridiche contrastanti, che sono state compresenti nella Chiesa: la prima, sostenuta dagli apocrifi simmachiani afferma che il Papa non può essere giudicato da nessuno; la seconda ritiene che, in caso di eresia, il Papa può essere ripreso. Dunque questa concezione si è tramandata sino dal secolo XII.
Vacca, Prima Sedes a nemine iudicatur, pp. 253-254
Pure prescindendo dal dibattito sull’autenticità o meno del canone “Si Papa”, è evidente che contenendo un’eccezione all’ingiudicabilità del Pontefice (“nisi deprehendatur a Fide devius”) esso risulti incompatibile con il principio, solennemente positivizzato, “Prima Sedes a nemine iudicatur”.
L’opinione per cui un Pontefice regnante potrebbe essere giudicato per eresia da soggetti a lui inferiori non trova, infatti, nessun fondamento né nelle Scritture né nella Tradizione della Chiesa: in nessuno documento magisteriale, infatti, venne mai ammessa la giudicabilità del Pontefice.
Pertanto, dopo che la reiterata codificazione del principio “Prima Sedes a nemine iudicatur” ha definito l’assoluta ingiudicabilità del Papa (da ultimi il Concilio Vaticano II e il CIC del 1983), ogni opinione che contempli qualsiasi eccezione a tale principio, ritenendo possibile che un Papa possa essere giudicato, rimproverato o corretto dalla Chiesa per eresia in base ad un’applicazione letterale del canone “Si Papa” (cunctos ipse iudicaturus a nemine est iudicandus, nisi deprehendatur a Fide devius), risulta difficilmente conciliabile con la Fede cattolica.
È infine singolare che il cardinale Burke abbia voluto concludere il suo intervento citando il suddetto canone del Decretum come se l’opera di Graziano avesse, in sè, un’autorità non solo accademica ma anche giuridica, come tale indiscussa ed inconfutabile.
Occorre, infatti, ricordare che il Decretum si è sempre configurato come una collezione privata: l’opera non ricevette una approvazione formale e quindi non acquisì mai l’autorità di collezione legislativa autentica (o codice). Il valore giuridico di un testo collecto, infatti, restava comunque legato al valore che ogni singolo documento aveva prima di entrare a far parte della collezione. Dunque il canone di un Concilio ecumenico od il passaggio di un documento pontificio aveva un valore ed un’autorità ben diversa da quella, per esempio, di un detto riportante l’opinione personale di un santo pur venerabile o di un eccellente cardinale ma mai recepito dal Magistero della Chiesa, sebbene entrambi fossero stati raccolti nel Decretum.
Proprio riferendosi al canone “Si Papa” ed alla natura del Decretum, il Billot annotava:
Questa citazione è tratta dal Decretum di Graziano, nel quale non vi è autorità alcuna, ad eccezione dell’intrinseca autorità dei documenti che in esso sono raccolti. Non v’è nessuno che negherebbe che quei documenti, alcuni in realtà autentici ed altri apocrifi, siano di valore unico. Infine è molto più che probabile che il canone citato in precedenza ed attribuito a Bonifacio martire debba considerarsi da includere tra i documenti apocrifi. Ad ogni modo, in questo caso Bellarmino aggiunge:«Quei canoni non dicono che il Pontefice come persona privata possa errare ma dicono soltanto che un Pontefice non può essere giudicato» (De Romano Pontifice, libro IV, cap.7).
Tractatus de Ecclesia Christi, 1909, Question XIV, Thesis XXIX
Il grande giurista medievalista Guido Bonolis alla voce “Graziano” dell’Enciclopedia Treccani conferma quanto finora sostenuto:
I testi raccolti da Graziano, pertanto, hanno soltanto l’autorità che deriva dalla loro origine e dalla loro natura, indipendentemente dal fatto di essere stati inseriti nel Decretum. Questo non fu mai riconosciuto come autentico dai papi, poiché le due costituzioni di Gregorio XIII Cum pro munere (1580) e Emendationem (1582) si limitarono a vietare che si facessero modificazioni al testo del Decretum, definitivamente riveduto dai correctores romani, ma non lo dichiararono codice autentico; come affermò anche Benedetto XIV. Così pure i dicta Gratiani e i sommarî si debbono considerare come pura espressione di un’opinione dottrinale. Resta fermo il grande valore storico-scientifico dell’opera di Graziano, considerato fondatore della giurisprudenza canonistica: egli diede un ordinamento sistematico alla scienza del diritto canonico e un indirizzo giuridico allo studio dei canoni, distinguendolo dallo studio della teologia.
Concludendo il ragionamento fin qui condotto si può affermare che il Decretum in sé, come opera di Graziano, non aveva alcuna autorità giuridicamente vincolante, tranne per quanto riguardava la citazione di quei canoni sanzionati dal Papa. I contenuti del Decretum, infatti, non avevano necessariamente forza di legge solo perché Graziano li aveva riuniti in un solo testo, ma alcuni di essi potevano essere considerati legge, se decreti confermati o redatti e promulgati dal Papa. È dunque necessario indagare l’autorità di ciascun canone presente nel Decretum prima di prenderlo in considerazione: in esso si può trovare, ad esempio, l’estratto di una lettera di un vescovo, che ovviamente non ha alcun potere di emanare atti aventi forza di legge per la Chiesa universale, oppure un decreto di un concilio provinciale mai confermato o gli scritti di uno storico, un passo del Corpus Iuris Civilis giustinianeo, l’opinione di un padre della Chiesa.
In particolare al riguardo del canone “Si Papa” Graziano non ha attinto ad una epistola di un Papa o a qualche decreto di un Concilio ma ad una lettera privata da lui attribuita a San Bonifacio di Magonza. Chiaramente il vescovo tedesco non era Papa (così come non lo era l’altro presunto autore, il cardinale Umberto) e dunque non aveva il potere di legiferare per tutta la Chiesa. Quindi tale canone non aveva (e non ha) l’autorità sufficiente, per quanto venerabile, per potersi imporre all’intera Chiesa.
Con grande probabilità lo stesso Graziano ne era in qualche modo consapevole, dato che si limitò a riportare questo passo attribuito a San Bonifacio, senza commentarlo e giustapponendolo, in posizione subordinata, al principio, opposto e prevalente, del “Prima Sedes a nemine iudicatur”. Il grande canonista, infatti, fu sempre sostenitore della supremazia gerarchica, legislativa e giudiziaria, del Vicario di Cristo, del quale Graziano proclamò l’autorità ed il potere di derogare, innovare e in qualsiasi maniera modificare il diritto esistente, anche con privilegi, chiamando il Papa canonum dominus et magister.
Proprio il comportamento di Graziano, che pose il suo intelletto e la sua opera a totale servizio della Chiesa e del suo supremo Pastore terreno, il Romano Pontefice, dovrebbe essere un modello per ogni studioso di diritto canonico, sia esso laico, consacrato, vescovo o cardinale.
Qualsiasi testo è suscettibile di letture benevole e letture malevole. Ora, la lettura dell’autore dell’articolo dell’intervento del Cardinale Burke del 7 aprile, non è particolarmente benevolo, per non dire che è malevolo. Io sarei propenso a una lettura più benevola: dà voce alla perplessità di tanti cattolici di fronte alle parole ed alle azioni di Francesco, cattolici che come me sono sempre stati propapali, e che hanno venerato Giovanni Paolo II ed il suo successore Benedetto XVI. Ma già quest’ultimo regnante, e conoscendo la forte avversione espressa nella Chiesa nei suoi confronti, io mi chiedevo come mi sarei atteggiato se fosse diventato papa un personaggio più vicino all’orientamento dei suoi avversari che a lui. Purtroppo ciò è accaduto, e la cosa mi lascia fortemente turbato. Mi sembra che il cardinale Burke abbia voluto dare voce a questo turbamento. Se sosteniamo, come fa l’articolo, che la plenitudo potestatis del papa non conosce limiti, non umani ma nemmeno di diritto naturale e divino – come invece mantiene il cardinale – come mi devo comportare? Dovrò forse dire che, siccome sono entrambi papi, Benedetto XVI e Francesco essi hanno ugualmente ragione? Ma se ho l’impressione che il loro insegnamento diverga, lo dovrò negare affermando che hanno detto e dicono esattamente la stessa cosa? E non sarebbe questa una ingiunzione all’uso della mia ragione, alla luce della quale percepisco invece una differenza? O forse dovrò dire che quello che vale è ciò che dice l’ultimo pontefice, che perciò può cancellare quello che hanno detto i pontefici precedenti? Una soluzione è quella avanzata dal cardinale Burke: prendiamo sul serio quella che nel trattato sul papa di san Roberto Bellarmino era una semplice ipotesi di scuola, che cioè un papa possa errare. Non serve sottolineare, come fa l’articolo, che egli non lo riteneva fattualmente possibile: intellettualmente la possibilità c’è. Non è quindi illegittimo chiedersi se, nella attuale contingenza ecclesiastica, essa non si sia di fatto verificata. Se la risposta è negativa, essa può comandare il rispetto solo se la coincidenza dell’insegnamento del papa regnante con i suoi immediati predecessori e con la tradizione è ben argomentata, senza appellarsi ovviamente al suo essere papa. Altrimenti, in caso di risposta positiva, la domanda sul da farsi trova nella prolusione del cardinale Burke una bella risposta, che non è assolutamente quella para-conciliarista che gli attribuisce l’articolo: dare rispettosamente voce al proprio argomentato dissenso nei confronti del papa, pregare, e attendere che quel dissenso prepari l’elezione di un papa più in consonanza con la tradizione.
Qui di improponibile e malevola c’è sola la sua lettura, assai pretestuosa, dell’intervento del Card. Burke.
Innanzitutto desidero ringraziare il signor Salzano per il tempo che ha voluto dedicare alla lettura del mio intervento e per la scelta di condividere le sue osservazioni favorendo un clima di dialogo pacato nella diversità delle posizioni. Constato invece che il signor Pierluigi preferisce trincerarsi dietro affermazioni apodittiche rinunciando ad argomentare nel merito.
Venendo ai temi sollevati dal primo commento, cercherò di essere chiaro.
In primo luogo mi sembra che dipingere Papa Francesco come una figura appartenente o comunque vicina ad una corrente avversa a San Giovanni Paolo II ed a Benedetto XVI sia ingeneroso non solo nei confronti del Santo Padre ma anche verso i suoi predecessori, dato che il santo Papa polacco lo nominò arcivescovo e cardinale e l’attuale emerito gli rinnovò la sua fiducia confermandolo alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires fino all’apertura del Conclave che lo avrebbe eletto.
In secondo luogo in nessuna parte dell’articolo si afferma che la plenitudo potestatis del Pontefice sarebbe senza limiti poiché, in apertura al ragionamento, viene apertamente affermato che “la potestas absoluta del Papa non può essere intesa in senso autoreferenziale ma in funzione del servizio all’unità della Chiesa ed all’integrità della Fede cattolica” e più avanti viene specificato che il potere del Papa è “sottoposto unicamente al diritto divino”. È evidente, infatti, che il diritto divino rappresenti il limite oltre il quale nessuna autorità umana si può spingere.
Ogni pontificato si caratterizza per diversità di stili e di temperamenti così come per modalità peculiari di evangelizzazione e di predicazione del medesimo messaggio cristiano senza che per questo venga pregiudicata quella continuità che nei documenti magisteriali emerge chiaramente e che lo stesso papa emerito ha riconosciuto esistere in più di una occasione. Il Santo Padre Francesco, infatti, non ha mai inteso “cancellare” quanto detto dai suoi predecessori (tre dei quali ha anche voluto canonizzare) ma, come da sempre accade nella storia della Chiesa, ha invitato il popolo di Dio a camminare nella sequela del Divino Maestro operando un continuo e progressivo approfondimento della Rivelazione e della Dottrina, così come hanno fatto coloro che lo hanno preceduto sul soglio di Pietro.
Burke, ribadisco, compie un’affermazione molto grave dicendo che vi siano stati casi di eresia di pontefici poiché, molto semplicemente, è falso. La successiva citazione en passant dell’opera di Bellarmino, senza nemmeno indicare di cosa tratti, appare di una superficialità che non ci si aspetterebbe da un intellettuale del suo livello.
Bellarmino affronta sì l’ipotesi del papa eretico ma già in premessa afferma che non è possibile che si concretizzi. Si tratta di una ipotesi assimilabile, nella grammatica italiana, ad un periodo ipotetico dell’irrealtà. Egli infatti afferma che “il papa non solo non deve ma anche non può predicare l’eresia e non c’è alcun dubbio che mai accadrà”, ricorrendo addirittura al paragone con “l’asina di Balaam”.
Dunque la possibilità che un papa diventi eretico è la stessa che un asino cominci a parlare. Peraltro, aggiunge, in questo caso si tratterebbe di una violenza e non di una azione conforme al modo di agire della Provvidenza. Infatti il Signore mai permetterebbe che il suo popolo venisse fuorviato dalla stessa persona che ha scelto perché lo guidi sulla terra.
Inoltre tutto questo dibattito molto interessante non solo non ha mai ottenuto alcun tipo di conferma da parte del Magistero ma non è mai stato nemmeno preso in considerazione; anzi i pronunciamenti papali e conciliari sulla ingiudicabilità del Papa, supremo giudice, e sull’assitenza divina nel suo ministero vanno esattamente nella direzione opposta.
Infine ribadisco che la posizione espressa da Burke è molto più vicina alle tesi conciliariste che a quella del Magistero della Chiesa: Burke infatti non si limita a rivendicare il diritto al dissenso (che mi pare eserciti in tutta la sua pienezza) ma introduce, da un parte, un’inesistente prerogativa di controllo dei cardinali sull’operato del papa, dall’altra un diritto/dovere dei “devoti” alla disobbedienza verso l’autorità pontificia in base ad una valutazione soggettiva di aderenza o meno a quelli che essi pensano sia il corretto esercizio del ministero petrino.
Infine vorrei ricordare che la preghiera per il Santo Padre è diretta a chiedere la grazia di una lunga vita alla guida della Chiesa e non è ordinata ad ottenere una rapida successione funzionale ai propri desiderata (che sarebbe molto triste se si delineasse come “fallo di reazione” dell’area del dissenso).
Gentile sig Rapetti Arrigoni,
non avendo le competenze per risponderle nei termini tecnici da lei adottati con molta abilità mi associo a quanto detto dal sig. Giorgio Salzano, e aggiungo di mio constatazioni terra-terra ma che, presumo, siano quelle che può fare, in generale, il cattolico medio. Lei sostiene che il Papa regnante è in perfetta continuità con i Papi che lo hanno preceduto. Devo dissentire, e le assicuro con molto dispiacere, e le faccio un esempio pratico della ragione per cui…
Si ricorda la querelle “Inferno si/Inferno no” che si è scatenata dopo l’articolo di Scalfari che riportava gli argomenti trattati durante l’incontro pre pasquale con Papa Francesco ? Presumo di si. Ebbene, come lei ricorderà da parte della Santa Sede non ci fu una smentita ferma e chiara in merito. Furono poche frasi che considerare ambigue è praticamente obbligatorio. Ci furono rimostranze, persino da parte del direttore del Sismografo, ma una risposta chiara da parte del Papa non ci fu. Eppure la Dottrina Cattolica in merito è chiara, basta leggersi il Catechismo della Chiesa Cattolica. E non mi sembra che sia nemmeno un optional credere nell’esistenza di quel poco ameno posto. Se ben ricordo la Santa Madre di Dio lo fece vedere ai tre pastorelli di Fatima, e poi ci fu portata anche santa Faustina. Per citare solo i due episodi che mi vengono in mente di primo acchito. Pare che nessuno di questi l’abbia considerata una “gita premio”, spiritualmente utile ma poco piacevole, per la natura stessa del luogo. Lei pensa che la Madonna lo avrebbe fatto se l’inferno non esistesse, o se non fosse stato assolutamente necessario ? Eppure mi consta che ci siano molti cristiani che preferiscono non crederci, ma poiché ci sono anche molti cristiani che non credono alla Resurrezione di Gesù (non c’era la cinepresa ad immortalare il fatto) è evidente che il laicismo ha fatto grandi passi nella Chiesa. Mi dirà che sto divagando, ma le dico di no. È tutto strettamente collegato. Ci provi e vedrà anche lei i collegamenti. Comunque ritornando all’affaire Scalfari ci fu chi assicurò che il Papa non poteva certo mettere in dubbio un dogma della Chiesa. I Papi non lo fanno mai… Sarà, infatti i Papi devono confermare i loro fratelli nella fede cattolica. Bene, ma vediamo gli ulteriori sviluppi. In visita pastorale a San Paolo della Croce un bimbo in lacrime si rifugia in braccio al Papa e gli racconta le sue angosce: il papà ateo è morto e lui teme che sia all’Inferno . Toccante episodio, tutti commossi, ed il Papa gli dice di stare tranquillo perché il padre è in cielo. Non gli dice che l’inferno non esiste, gli dice che il padre è in cielo. Forse perché è stato un bravo papà è andato in cielo ? O forse perché si è pentito prima di morire e sicuramente è andato in cielo ? O perché non si nega mai una bugia ad un bambino in lacrime ? Nemmeno in purgatorio, diritto in cielo. Tutti vanno in cielo, anche gli atei. Perché il vero succo del toccante episodio era questo messaggio di tipo “trasversale”. Oh certo, non si è detto esplicitamente che l’inferno esiste, ma a buon intenditor… Si sgretola la dottrina piano piano, con gesti plateali ma molto abili, dal punto di vista della comunicazione di massa… Quello che contesto è la vulgata che il Papa non sappia bene quello che fa, che sia confuso. Mi sembra di poter pensare, e dire, che sa benissimo sia quello che vuole che quello che fa, e come manipolare le situazioni per portare a buon fine (dal suo punto di vista) i suoi progetti. Che siano in perfetta continuità con i suoi predecessori: no, quello che sta accadendo è un abbraccio mortale con la Chiesa Luterana attraverso una perfetta “protestantizzazione” della Chiesa Cattolico Romana. Lo spostamento dalla teologia della salvezza alla Teologia della liberazione con nuance rahneriane rendono questa “antropoteologia”, dal punto di vista protestante, piuttosto “interessante”. L’intercomunione, la messa/culto congiunta, l’idea di conciliarismo, lo stravolgimento della Santa Messa dall’ostia in mano alla Comunione a chi non si sente peccatore, qualsiasi cosa faccia, basta che nella sua coscienza che è l’unico giudice, si senta “a posto” (Veritatis Splendor le dice nulla ?). La distruzione di Ordini di vite consacrate, soprattutto se particolarmente consacrate a Maria. La messa in una cattedrale luterana. E via di questo passo, dove la continuità c’è solo in chi apprezza questa vera e propria rivoluzione. E senza virgolette. So che molte persone che ora sono costernate e ne vedono tutta la pericolosità per le anime pensano che con il prossimo Papa sarà possibile rimettere a posto le cose. Non credo che questa sarà la via, anche perché in questi anni sono stati emeritati o sono andati in emeritazione vescovi e cardinali sostituiti da persone che hanno, anche loro, l’ ambizione di ridurre la Chiesa ad immagine di Rahner. Ma sono sicura che il Signore Gesù troverà il modo di difendere il Suo Corpo da questi stravolgimenti. Ed anche la Sua Santa Madre, poiché per portare efficacemente a termine questa operazione è indispensabile uccidere la Madonna negandola, e francamente non lo credo possibile. La Santa Madre di Dio è il nostro baluardo, e la nostra difesa, come a Lepanto.