Nella conclusione del suo intervento Burke ripropone, seppure da una diversa angolazione, questa sua teoria attribuendo a coloro che vengono genericamente definiti come “cattolici devoti” dalla “coscienza ben formata” il compito di vigilare sulla condotta del Papa, i cui atti, se da essi giudicati non conformi ad un “esercizio autentico del ministero Apostolico o Petrino”, potranno essere “rifiutati dai fedeli”. Per rimanere nell’ambito della metafora societaria, ancora una volta si immagina una Chiesa assimilabile ad una SpA ove l’amministratore delegato/Papa è tenuto riferire del suo operato all’assemblea dei soci/“cattolici devoti”, che, qualora ritengano non adempiuti gli obblighi di corretta e diligente amministrazione/“esercizio autentico del ministero petrino”, potranno anche rifiutare di approvare il bilancio/insegnamento presentato.
Si arriva quindi a teorizzare l’esistenza di un diritto/dovere non solo di resistenza ma di vera e propria disobbedienza nei confronti del Papa da parte dei fedeli “devoti” non, si badi bene, in presenza di una palese violazione delle Scritture o delle verità di Fede ma in virtù di un giudizio soggettivo che ogni cristiano potrebbe compiere sulla base della propria coscienza, con il risultato che ciascuno, sentendosi in pace con la propria coscienza (che ognuno considererà ben formata), si sentirà legittimato ed addirittura obbligato a disobbedire al Papa.
Così, per esempio, quando il Papa dirà che
la difesa dell’innocente che non è nato deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto.
Gaudete et exsultate 101
alcuni potranno sostenere che, in base alla loro coscienza ben formata, dei poveri si deve occupare la politica poiché tale tema non li riguarda, criticando anzi il paragone tra la tutela della sacralità della vita del concepito e la salvaguardia delle altre vittime della cultura dello scarto. Spiace constatare che forse solo nei circoli anti-infallibilisti più oltranzisti si sia arrivati ad elaborare tesi improntate a tale marcato soggettivismo, pur di legittimare indifendibili prese di posizione che in certe circostanze non si esiterebbe a definire autentiche manifestazioni di infedeltà verso il Papa e la Chiesa.
Inoltre la configurazione di una simile ipotesi contrasta palesemente con il principio, questo sì, magisteriale e codificato “Prima Sedes a nemine iudicatur” (canone 1404 del Codice di Diritto Canonico) e molto poco convincenti appaiono le giustificazioni addotte dal cardinale Burke, secondo cui tale principio sarebbe rispettato in caso si procedesse alla correzione, prima privata e poi pubblica, del Pontefice.
La correzione presuppone, infatti, un giudizio sulla materia che non si condivide e che si intende emendare, così come un insegnante, per correggere il compito di un suo alunno, deve previamente giudicarne la correttezza. Dunque la correzione, pubblica o privata che sia, implica, come condicio sine qua non, un giudizio sull’operato del Papa che non potrà mai essere legittimo poiché “la Prima Sede non può essere giudicata da nessuno” in quanto nessuna autorità umana è superiore a quella del Romano Pontefice, non potendo chi è inferiore nella dignità e nell’ordine giudicare o sottoporre a sentenza chi è superiore. E a ben poco vale la citazione del can. 212 del Codice di Diritto Canonico, ove si enuncia, nella prima parte, il dovere di osservare “con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori, in quanto rappresentano Cristo, dichiarano come maestri della fede o dispongono come capi della Chiesa” e, nella terza parte, il diritto e il dovere dei fedeli
di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa e di renderlo noto agli altri fedeli, salvo restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone
poiché la soluzione prospettata da Burke non consta della semplice manifestazione del pensiero ma di un atto di correzione e dunque di giudizio, impossibile in sé.
Egualmente non si può condividere la tesi seconda la quale il principio “Prima Sedes” dovrebbe riguardare unicamente l’Ufficio petrino e non la persona del Papa poiché già nel XI secolo San Gregorio VII nel Dictatus Papae alla XIX proposizione affermava “Quod a nemine ipse iudicare debeat” (Che Egli non possa essere giudicato da alcuno), con quell’ipse che si riferisce chiaramente e direttamente alla persona del Pontefice e non solo al suo ministero. Alla luce di ciò, “Prima Sedes” non significa semplicemente che la Prima Sede non può essere giudicata ma che il Papa stesso, nella sua persona, non può essere sottoposto ad alcuna forma di giudizio. Il Pontefice è dunque l’unico legislatore, il giudice supremo che giudica tutto e tutti, il cui giudizio è insindacabile e che non può essere giudicato da nessun uomo ma unicamente da Dio in forza del mandato che ha ricevuto (come recita un antico decreto attribuito a San Silvestro Papa, “Nemo iudicabit primam sedem. Neque enim ab augusto, neque ab omni clero, neque a populo”).
Nella bolla Unam Sanctam Ecclesiam del 1302, l’atto di Magistero che rappresenta forse l’apogeo dell’affermazione della sovranità assoluta del Pontefice su ogni altro potere terreno, Bonifacio VIII proclama solennemente:
È necessario che chiaramente affermiamo che il potere spirituale è superiore ad ogni potere terreno in dignità e nobiltà, come le cose spirituali sono superiori a quelle temporali […] poiché, e la verità ne è testimonianza, il potere spirituale ha il compito di istituire il potere terreno e, se non si dimostrasse buono, di giudicarlo. Così si avvera la profezia di Geremia riguardo la Chiesa e il potere della Chiesa: «Ecco, oggi Io ti ho posto sopra le nazioni e sopra i regni» ecc. Perciò se il potere terreno erra, sarà giudicato da quello spirituale; se il potere spirituale inferiore sbaglia, sarà giudicato dal superiore; ma se erra il supremo potere spirituale, questo potrà essere giudicato solamente da Dio e non dagli uomini; del che fa testimonianza l’Apostolo: «L’uomo spirituale giudica tutte le cose; ma egli stesso non è giudicato da alcun uomo», perché questa autorità, benché data agli uomini ed esercitata dagli uomini, non è umana, ma senz’altra divina, essendo stata data a Pietro per bocca di Dio e resa inconcussa come roccia per lui ed i suoi successori, in colui che egli confessò, poiché il Signore disse allo stesso Pietro: «Qualunque cosa tu legherai…». Perciò chiunque si oppone a questo potere istituito da Dio, si oppone ai comandi di Dio, a meno che non pretenda, come i Manichei, che ci siano due principi, il che noi affermiamo falso ed eretico, poiché come dice Mosè non nei principi, ma “nel principio” Dio creò il cielo e la terra. Quindi noi dichiariamo, stabiliamo, definiamo ed affermiamo che è assolutamente necessario per la salvezza di ogni creatura umana che essa sia sottomessa al Romano Pontefice.
Dalla solenne definizione bonifaciana risulta molto chiaro come le tesi dell’Ostiense in materia di correzione del Papa, formulate circa mezzo secolo prima, non avessero trovato il minimo accoglimento nel Magistero della Chiesa, che invece ribadiva la regola in base alla quale solo Dio può giudicare (e dunque correggere, dopo la previa formulazione di un giudizio) il Papa.
Dopo avere esposto l’opinione del Da Susa (evidentemente fatta propria dall’americano), Burke compie un’affermazione molto grave, dicendo che
per il momento, basta affermare che, come dimostra la storia, è possibile che il Romano Pontefice, esercitando la pienezza del potere, possa cadere nell’eresia,
operando poi un un generico rinvio al trattato “De Romano Pontifice” di San Roberto Bellarmino. La gravità di una simile asserzione, resa ancor più incredibile dalla leggerezza con cui è stata compiuta da uno studioso di cotanto calibro, risiede nel fatto che, senza timore di smentita alcuna, si può convintamente affermare che mai nella storia della Chiesa un Pontefice è stato condannato per eresia. Pertanto il passaggio appena citato contiene una inescusabile falsità, riprendendo una tesi, quella del “papa eretico”, che nonostante la sua infondatezza venne per secoli sostenuta dagli implacabili avversari del primato del Papa, dai conciliaristi del XIV-XV secolo ai gallicani fino agli anti-infallibilisti sconfitti (si pensava) definitivamente al Concilio Vaticano I.
Considerato il fugace riferimento di Burke al De Romano Pontifice, può essere utile soffermarsi brevemente sulle questioni affrontate dal Bellarmino, precisando che tale trattato, sebbene si tratti di un’importante opera di un autorevolissimo Dottore della Chiesa, non rappresenta in alcun modo un documento del Magistero della Chiesa, limitandosi a costituire l’esposizione di quella che rimane una elaborazione personale dell’autore, per quanto degna di ogni considerazione, stima ed attenzione. Il Santo cardinale, affrontando la questione del “papa eretico” nel suo trattato, chiarisce di considerarla come una mera ipotesi di scuola che non potrà mai verificarsi.
San Roberto Bellarmino elaborò così una classificazione in cui analizzò cinque diverse ipotesi in merito al “papa eretico”:
- Il Papa non può essere eretico;
- Cadendo nell’eresia, anche solo interna, il Papa decadrebbe ipso facto dal Pontificato;
- Cadendo nell’eresia il Papa non perderebbe il suo ufficio;
- Il Papa eretico non decadrebbe ipso facto dal pontificato ma dovrebbe essere dichiarato deposto dalla Chiesa (opzione oggetto di dura critica da parte di Bellarmino secondo il quale un Papa in nessun modo può essere giudicato dalla Chiesa né dai vescovi o dai cardinali, che non hanno alcuna giurisdizione su colui che ha pieno potere di giurisdizione su tutti);
- Il papa eretico decadrebbe ipso facto nel momento in cui la sua eresia diventasse manifesta.
I sostenitori della prima opzione, tra i quali Bellarmino, ritenevano, fondandosi sulle Scritture e sulla Tradizione, che il Signore non avrebbe mai permesso che qualche successore di Pietro potesse perdere la fede. Il primo ad occuparsi in maniera sistematica di tale tesi fu il teologo olandese cinquecentesco Albert Pigge nella sua opera “Hierarchiæ Ecclesiasticæ Assertio”, per il quale il Papa non avrebbe mai potuto cadere nell’eresia né essere giudicato. Lo stesso Bellarmino definì questa opinione “probabile e facilmente difendibile” (De Romano Pontifice, libro II, cap. 30, p. 418).
In effetti, fa notare Bellarmino, l’ordine stabilito da Dio esige assolutamente che la persona privata del Sommo Pontefice non possa cadere nell’eresia, neanche perdendo la fede in maniera puramente interna.
Poiché il Papa, non solo non deve e non può predicare l’eresia, ma deve sempre insegnare la verità, ed è fuori dubbio che egli lo farà sempre poiché il Signore gli ha comandato di confermare i suoi fratelli. Ma un papa eretico, come potrebbe confermare i suoi fratelli nella fede, come potrebbe predicare sempre la vera fede? Senza dubbio, Dio è in grado di strappare dal cuore di un eretico la professione della vera fede, come fece parlare l’asina di Balaam. Ma in questo caso ci sarebbe una violenza e non un’azione conforme alla divina Provvidenza, che dispone tutto con soavità.
De Romano Pontifice, libro IV, capitolo VI, p. 484 dell’Opera omnia
Durante il Concilio Vaticano I, Mons. Zinelli, relatore della Deputazione della Fede, lodò questa opinione di Bellarmino secondo la quale mai un Pontefice potrebbe divenire eretico: egli infatti sostenne che “confidando nella soprannaturale Provvidenza, riteniamo che sia più che probabile che questo non accadrà mai” (Hæc Providentiæ supernaturali confisi, satis probabiliter existimamus nunquam eventura, Mansi, tomo 52, col. 1 109).
Vi è anche un argomento di carattere storico a favore di tale prima opzione consistente precipuamente nel fatto che, come già precisato e con buona pace dell’imprecisa asserzione di Burke, mai in tutta la storia della Chiesa c’è stato un papa dichiarato eretico.
Il Bellarmino, dunque, afferma a chiare lettere che il Papa non può cadere nell’eresia (De Romano Pontifice, libro II, cap. 30), anche se per uno sforzo puramente intellettuale e speculativo pensa che sia possibile ragionare sull’ipotesi di un papa eretico, chiedendosi sul piano investigativo cosa accadrebbe e ritenendo che un papa che fosse eretico manifesto cesserebbe di per sé di essere papa.
In breve, per Bellarmino l’ipotesi del “papa eretico” rappresenta una semplice speculazione priva di riscontri nella realtà.
Il Concilio Vaticano I con la Costituzione Pastor Æternus, definendo dogmaticamente il principio della ingiudicabilità del Papa, ha anche eliminato ogni possibile appiglio circa l’ammissibilità dell’ipotesi del “papa eretico” e della sua relativa giudicabilità:
E poiché per il diritto divino del Primato Apostolico il Romano Pontefice è posto a capo di tutta la Chiesa, proclamiamo anche ed affermiamo che egli è il supremo giudice dei fedeli [Pii VI, Breve Super soliditate, d. 28 Nov. 1786] e che in ogni controversia spettante all’esame della Chiesa, si può ricorrere al suo giudizio [Conc. Oecum. Lugdun. II]. È evidente che il giudizio della Sede Apostolica, che detiene la più alta autorità, non può essere rimesso in questione da alcuno né sottoposto ad esame da parte di chicchessia [Ep. Nicolai I ad Michaelem Imperatorem]. Si discosta quindi dal retto sentiero della verità chi afferma che è possibile fare ricorso al Concilio Ecumenico, come se fosse investito di un potere superiore, contro le sentenze dei Romani Pontefici
concetto poi ribadito dal Codice di Diritto Canonico del 1917 (canone 1556) e da quello del 1983 (canone 1404) che riprendendo la definizione del Vaticano I hanno riaffermato il principio “Prima Sedes a nemine iudicatur”.
Allo stato attuale, dunque, ritornando alla classificazione bellarminiana, sembrerebbe proprio che l’unica opinione dottrinalmente ortodossa sulla questione del “papa eretico” sia la prima: il Papa non può essere eretico.
Ad ulteriore commento della riflessione del cardinale Bellarmino, può essere interessante leggere l’opinione espressa all’inizio del XX secolo dal cardinale Billot (una figura non sgradita ai circoli tradizionalisti per il suo sostegno all’Action française, in aperto contrasto con Papa Pio XI, e come tale non certo tacciabile di essere un pericoloso “papista/papolatra modernista”, formula ossimorica con la quale un’esecrabile moda sicuramente passeggera addita i cattolici fedeli all’alto magistero del Santo Padre Francesco) che nel suo Tractatus de Ecclesia Christi ritiene che quella del papa eretico sia
una mera ipotesi, mai traducibile in atto, in accordo anche con Lca 22,32: «ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli». In base alla Tradizione noi dobbiamo comprendere che questo versetto si riferisce a Pietro ed ai suoi successori per sempre. […] Esso [la garanzia di non deviare dalla fede fondata sulla promessa di Cristo, NdA] si presume come assolutamente certo. Ora, ad ogni modo, anche se le parole del Vangelo riguardano principalmente la persona pubblica del pontefice nell’insegnamento ex cathedra, esse, concernendo la salvaguardia dall’eresia, dovrebbero essere considerate estese anche, per una ragione di necessità, alla persona privata del pontefice. Certamente il dovere di confermare gli altri nella fede è affidato al pontefice ed a tale scopo egli ha ricevuto da Cristo il dono di una fede indefettibile. Ma, mi chiedo, per chi questo dono è stato ricevuto? Per una persona astratta e metafisica oppure per una persona viva e reale dalla quale dovrebbe provenire la conferma degli altri nelle fede? Oppure, per caso, questa fede indefettibile sarà detta esistere in una persona che non può errare nella determinazione di cosa gli altri debbano credere ma che potrà personalmente fare naufragio rispetto alla fede? Si tratta di qualcosa che la promessa di Cristo sembra escludere del tutto. […] In breve si può dire che Dio non permetterà mai questo [la caduta di un papa nell’eresia, NdA] (Tractatus de Ecclesia Christi, 1909, Tomo I, pp. 623-636)
In realtà l’intero dibattito sulla questione del “papa eretico”, che per secoli ha coinvolto teologi, giuristi e studiosi, nasce da una frase attribuita a San Bonifacio arcivescovo di Magonza (martirizzato nel 754) ed inserita dal celebre canonista Graziano nel suo Decretum. Proprio con la citazione di questo canone del Decretum Gratiani il cardinale Burke ha deciso di terminare la propria relazione, trasmettendo l’impressione di voler rivolgere un appello finale alla resistenza nei confronti del Papa, un appello che peraltro contraddirebbe quanto da lui sostenuto in precedenza in termini di ingiudicabilità del Pontefice, dato che il canone in oggetto prevede, a certe condizioni, la possibilità di sottoporlo a giudizio.
Tale canone, denominato dagli studiosi “Si Papa”, recita:
Nessun mortale dovrebbe avere l’audacia di rimproverare un Papa in ragione dei suoi difetti, perché colui che ha il dovere di giudicare tutti gli uomini non può essere giudicato da nessuno, a meno che non debba essere richiamato all’ordine per aver deviato dalla fede (nisi deprehendatur a Fide devius); per il cui stato perpetuo tutti i fedeli tanto insistentemente pregano quanto loro avvertono che la sua salvezza più grandemente dipende dalla sua incolumità.
Decretum Magistri Gratiani. Concordia Discordantium Canonum, 1a, dist. 40, c. 6, Si Papa
Dunque in premessa Graziano afferma che l’autorità del successore di Pietro non può essere giudicata da nessuno, anche se si trattasse dell’imperatore o di tutto il clero. La ragione fondamentale di questo principio, come già ricordato, risiede nel fatto che il superiore non può essere sottoposto a giudizio dall’inferiore e che, quindi, se si considerasse legittimo giudicare il Pontefice significherebbe ammettere che esiste una autorità umana superiore a quella del Papa, il che è inammissibile. Tuttavia, ammettendo l’ipotesi che il Papa devi nella fede, allora il canone prevede che esso possa essere sottoposto a giudizio, senza però specificare da parte di chi. Quale organo, infatti, avrebbe all’interno della Chiesa l’autorità per giudicare il Papa deviato dalla retta fede se tutti gli organi nella Chiesa traggano la fonte della loro autorità da quella, suprema ed universale, del Successore di Pietro?
Qualsiasi testo è suscettibile di letture benevole e letture malevole. Ora, la lettura dell’autore dell’articolo dell’intervento del Cardinale Burke del 7 aprile, non è particolarmente benevolo, per non dire che è malevolo. Io sarei propenso a una lettura più benevola: dà voce alla perplessità di tanti cattolici di fronte alle parole ed alle azioni di Francesco, cattolici che come me sono sempre stati propapali, e che hanno venerato Giovanni Paolo II ed il suo successore Benedetto XVI. Ma già quest’ultimo regnante, e conoscendo la forte avversione espressa nella Chiesa nei suoi confronti, io mi chiedevo come mi sarei atteggiato se fosse diventato papa un personaggio più vicino all’orientamento dei suoi avversari che a lui. Purtroppo ciò è accaduto, e la cosa mi lascia fortemente turbato. Mi sembra che il cardinale Burke abbia voluto dare voce a questo turbamento. Se sosteniamo, come fa l’articolo, che la plenitudo potestatis del papa non conosce limiti, non umani ma nemmeno di diritto naturale e divino – come invece mantiene il cardinale – come mi devo comportare? Dovrò forse dire che, siccome sono entrambi papi, Benedetto XVI e Francesco essi hanno ugualmente ragione? Ma se ho l’impressione che il loro insegnamento diverga, lo dovrò negare affermando che hanno detto e dicono esattamente la stessa cosa? E non sarebbe questa una ingiunzione all’uso della mia ragione, alla luce della quale percepisco invece una differenza? O forse dovrò dire che quello che vale è ciò che dice l’ultimo pontefice, che perciò può cancellare quello che hanno detto i pontefici precedenti? Una soluzione è quella avanzata dal cardinale Burke: prendiamo sul serio quella che nel trattato sul papa di san Roberto Bellarmino era una semplice ipotesi di scuola, che cioè un papa possa errare. Non serve sottolineare, come fa l’articolo, che egli non lo riteneva fattualmente possibile: intellettualmente la possibilità c’è. Non è quindi illegittimo chiedersi se, nella attuale contingenza ecclesiastica, essa non si sia di fatto verificata. Se la risposta è negativa, essa può comandare il rispetto solo se la coincidenza dell’insegnamento del papa regnante con i suoi immediati predecessori e con la tradizione è ben argomentata, senza appellarsi ovviamente al suo essere papa. Altrimenti, in caso di risposta positiva, la domanda sul da farsi trova nella prolusione del cardinale Burke una bella risposta, che non è assolutamente quella para-conciliarista che gli attribuisce l’articolo: dare rispettosamente voce al proprio argomentato dissenso nei confronti del papa, pregare, e attendere che quel dissenso prepari l’elezione di un papa più in consonanza con la tradizione.
Qui di improponibile e malevola c’è sola la sua lettura, assai pretestuosa, dell’intervento del Card. Burke.
Innanzitutto desidero ringraziare il signor Salzano per il tempo che ha voluto dedicare alla lettura del mio intervento e per la scelta di condividere le sue osservazioni favorendo un clima di dialogo pacato nella diversità delle posizioni. Constato invece che il signor Pierluigi preferisce trincerarsi dietro affermazioni apodittiche rinunciando ad argomentare nel merito.
Venendo ai temi sollevati dal primo commento, cercherò di essere chiaro.
In primo luogo mi sembra che dipingere Papa Francesco come una figura appartenente o comunque vicina ad una corrente avversa a San Giovanni Paolo II ed a Benedetto XVI sia ingeneroso non solo nei confronti del Santo Padre ma anche verso i suoi predecessori, dato che il santo Papa polacco lo nominò arcivescovo e cardinale e l’attuale emerito gli rinnovò la sua fiducia confermandolo alla guida dell’arcidiocesi di Buenos Aires fino all’apertura del Conclave che lo avrebbe eletto.
In secondo luogo in nessuna parte dell’articolo si afferma che la plenitudo potestatis del Pontefice sarebbe senza limiti poiché, in apertura al ragionamento, viene apertamente affermato che “la potestas absoluta del Papa non può essere intesa in senso autoreferenziale ma in funzione del servizio all’unità della Chiesa ed all’integrità della Fede cattolica” e più avanti viene specificato che il potere del Papa è “sottoposto unicamente al diritto divino”. È evidente, infatti, che il diritto divino rappresenti il limite oltre il quale nessuna autorità umana si può spingere.
Ogni pontificato si caratterizza per diversità di stili e di temperamenti così come per modalità peculiari di evangelizzazione e di predicazione del medesimo messaggio cristiano senza che per questo venga pregiudicata quella continuità che nei documenti magisteriali emerge chiaramente e che lo stesso papa emerito ha riconosciuto esistere in più di una occasione. Il Santo Padre Francesco, infatti, non ha mai inteso “cancellare” quanto detto dai suoi predecessori (tre dei quali ha anche voluto canonizzare) ma, come da sempre accade nella storia della Chiesa, ha invitato il popolo di Dio a camminare nella sequela del Divino Maestro operando un continuo e progressivo approfondimento della Rivelazione e della Dottrina, così come hanno fatto coloro che lo hanno preceduto sul soglio di Pietro.
Burke, ribadisco, compie un’affermazione molto grave dicendo che vi siano stati casi di eresia di pontefici poiché, molto semplicemente, è falso. La successiva citazione en passant dell’opera di Bellarmino, senza nemmeno indicare di cosa tratti, appare di una superficialità che non ci si aspetterebbe da un intellettuale del suo livello.
Bellarmino affronta sì l’ipotesi del papa eretico ma già in premessa afferma che non è possibile che si concretizzi. Si tratta di una ipotesi assimilabile, nella grammatica italiana, ad un periodo ipotetico dell’irrealtà. Egli infatti afferma che “il papa non solo non deve ma anche non può predicare l’eresia e non c’è alcun dubbio che mai accadrà”, ricorrendo addirittura al paragone con “l’asina di Balaam”.
Dunque la possibilità che un papa diventi eretico è la stessa che un asino cominci a parlare. Peraltro, aggiunge, in questo caso si tratterebbe di una violenza e non di una azione conforme al modo di agire della Provvidenza. Infatti il Signore mai permetterebbe che il suo popolo venisse fuorviato dalla stessa persona che ha scelto perché lo guidi sulla terra.
Inoltre tutto questo dibattito molto interessante non solo non ha mai ottenuto alcun tipo di conferma da parte del Magistero ma non è mai stato nemmeno preso in considerazione; anzi i pronunciamenti papali e conciliari sulla ingiudicabilità del Papa, supremo giudice, e sull’assitenza divina nel suo ministero vanno esattamente nella direzione opposta.
Infine ribadisco che la posizione espressa da Burke è molto più vicina alle tesi conciliariste che a quella del Magistero della Chiesa: Burke infatti non si limita a rivendicare il diritto al dissenso (che mi pare eserciti in tutta la sua pienezza) ma introduce, da un parte, un’inesistente prerogativa di controllo dei cardinali sull’operato del papa, dall’altra un diritto/dovere dei “devoti” alla disobbedienza verso l’autorità pontificia in base ad una valutazione soggettiva di aderenza o meno a quelli che essi pensano sia il corretto esercizio del ministero petrino.
Infine vorrei ricordare che la preghiera per il Santo Padre è diretta a chiedere la grazia di una lunga vita alla guida della Chiesa e non è ordinata ad ottenere una rapida successione funzionale ai propri desiderata (che sarebbe molto triste se si delineasse come “fallo di reazione” dell’area del dissenso).
Gentile sig Rapetti Arrigoni,
non avendo le competenze per risponderle nei termini tecnici da lei adottati con molta abilità mi associo a quanto detto dal sig. Giorgio Salzano, e aggiungo di mio constatazioni terra-terra ma che, presumo, siano quelle che può fare, in generale, il cattolico medio. Lei sostiene che il Papa regnante è in perfetta continuità con i Papi che lo hanno preceduto. Devo dissentire, e le assicuro con molto dispiacere, e le faccio un esempio pratico della ragione per cui…
Si ricorda la querelle “Inferno si/Inferno no” che si è scatenata dopo l’articolo di Scalfari che riportava gli argomenti trattati durante l’incontro pre pasquale con Papa Francesco ? Presumo di si. Ebbene, come lei ricorderà da parte della Santa Sede non ci fu una smentita ferma e chiara in merito. Furono poche frasi che considerare ambigue è praticamente obbligatorio. Ci furono rimostranze, persino da parte del direttore del Sismografo, ma una risposta chiara da parte del Papa non ci fu. Eppure la Dottrina Cattolica in merito è chiara, basta leggersi il Catechismo della Chiesa Cattolica. E non mi sembra che sia nemmeno un optional credere nell’esistenza di quel poco ameno posto. Se ben ricordo la Santa Madre di Dio lo fece vedere ai tre pastorelli di Fatima, e poi ci fu portata anche santa Faustina. Per citare solo i due episodi che mi vengono in mente di primo acchito. Pare che nessuno di questi l’abbia considerata una “gita premio”, spiritualmente utile ma poco piacevole, per la natura stessa del luogo. Lei pensa che la Madonna lo avrebbe fatto se l’inferno non esistesse, o se non fosse stato assolutamente necessario ? Eppure mi consta che ci siano molti cristiani che preferiscono non crederci, ma poiché ci sono anche molti cristiani che non credono alla Resurrezione di Gesù (non c’era la cinepresa ad immortalare il fatto) è evidente che il laicismo ha fatto grandi passi nella Chiesa. Mi dirà che sto divagando, ma le dico di no. È tutto strettamente collegato. Ci provi e vedrà anche lei i collegamenti. Comunque ritornando all’affaire Scalfari ci fu chi assicurò che il Papa non poteva certo mettere in dubbio un dogma della Chiesa. I Papi non lo fanno mai… Sarà, infatti i Papi devono confermare i loro fratelli nella fede cattolica. Bene, ma vediamo gli ulteriori sviluppi. In visita pastorale a San Paolo della Croce un bimbo in lacrime si rifugia in braccio al Papa e gli racconta le sue angosce: il papà ateo è morto e lui teme che sia all’Inferno . Toccante episodio, tutti commossi, ed il Papa gli dice di stare tranquillo perché il padre è in cielo. Non gli dice che l’inferno non esiste, gli dice che il padre è in cielo. Forse perché è stato un bravo papà è andato in cielo ? O forse perché si è pentito prima di morire e sicuramente è andato in cielo ? O perché non si nega mai una bugia ad un bambino in lacrime ? Nemmeno in purgatorio, diritto in cielo. Tutti vanno in cielo, anche gli atei. Perché il vero succo del toccante episodio era questo messaggio di tipo “trasversale”. Oh certo, non si è detto esplicitamente che l’inferno esiste, ma a buon intenditor… Si sgretola la dottrina piano piano, con gesti plateali ma molto abili, dal punto di vista della comunicazione di massa… Quello che contesto è la vulgata che il Papa non sappia bene quello che fa, che sia confuso. Mi sembra di poter pensare, e dire, che sa benissimo sia quello che vuole che quello che fa, e come manipolare le situazioni per portare a buon fine (dal suo punto di vista) i suoi progetti. Che siano in perfetta continuità con i suoi predecessori: no, quello che sta accadendo è un abbraccio mortale con la Chiesa Luterana attraverso una perfetta “protestantizzazione” della Chiesa Cattolico Romana. Lo spostamento dalla teologia della salvezza alla Teologia della liberazione con nuance rahneriane rendono questa “antropoteologia”, dal punto di vista protestante, piuttosto “interessante”. L’intercomunione, la messa/culto congiunta, l’idea di conciliarismo, lo stravolgimento della Santa Messa dall’ostia in mano alla Comunione a chi non si sente peccatore, qualsiasi cosa faccia, basta che nella sua coscienza che è l’unico giudice, si senta “a posto” (Veritatis Splendor le dice nulla ?). La distruzione di Ordini di vite consacrate, soprattutto se particolarmente consacrate a Maria. La messa in una cattedrale luterana. E via di questo passo, dove la continuità c’è solo in chi apprezza questa vera e propria rivoluzione. E senza virgolette. So che molte persone che ora sono costernate e ne vedono tutta la pericolosità per le anime pensano che con il prossimo Papa sarà possibile rimettere a posto le cose. Non credo che questa sarà la via, anche perché in questi anni sono stati emeritati o sono andati in emeritazione vescovi e cardinali sostituiti da persone che hanno, anche loro, l’ ambizione di ridurre la Chiesa ad immagine di Rahner. Ma sono sicura che il Signore Gesù troverà il modo di difendere il Suo Corpo da questi stravolgimenti. Ed anche la Sua Santa Madre, poiché per portare efficacemente a termine questa operazione è indispensabile uccidere la Madonna negandola, e francamente non lo credo possibile. La Santa Madre di Dio è il nostro baluardo, e la nostra difesa, come a Lepanto.