Per quanto ne sappiamo, siamo più o meno alla vigilia della morte di Alfie Evans1Ma il cuore, il cervello e il fegato dei due ragazzi che ne sono i genitori sopravanzano di misura quelli di tutti noi messi insieme.. C’è poco da dire, a riguardo: quel che penso l’ho affidato a un vile post su Facebook.
Ieri mattina, però, poche ore prima che “Mr. Justice” (leggi “Mastro Titta”), Sir Anthony Paul Hayden, sentenziasse morte per l’ennesimo innocente in pugno alla perfida Albione, un’altra voce invocava giustizia. Era una voce di madre, e vibrava al di qua della Manica dalle pagine del Figaro.
Viviane Lambert, madre di Vincent, si appellava al presidente Macron per chiedere un intervento arbitrale supremo – diciamo “una grazia” – in favore della vita di suo figlio. Che non ha commesso alcun male, e che non è neppure malato, ma che tra una settimana dovrebbe essere condannato a morte per fame e per sete. Non anticipo altro, mi sono premurato di proposito di riportare di seguito l’integrale della lettera.
di Viviane Lambert
Mio figlio è stato condannato a morte. Si chiama Vincent Lambert, è padre di una bambina, vive e non ha commesso alcun crimine. Eppure, lunedì 9 aprile 2018, in Francia, un medico mi ha annunciato che di lì a dieci giorni sarebbe cominciata la lenta e lunga agonia del mio bambino, che morirà di fame e di sete.
Questo stesso lunedì lei era al Collège des Bernardins, a Parigi, per parlare di handicap e di vulnerabilità. Lei ha evocato l’esigenza dell’affettività. E lei si è impegnato personalmente con queste parole:
Io penso, da parte mia, che possiamo costruire una politica effettiva, una politica che sfugga al cinismo ordinario per incidere nel reale ciò che dev’essere il primo dovere del politico, e intendo dire la dignità dell’uomo.
Mi permetta di prenderla in parola, Signor Presidente: mio figlio non ha meritato di essere affamato e disidratato. Chi oserebbe, riguardo a questo, parlare di “morire nella dignità”? Perché infliggergli questa pena? Che colpa ha commesso Vincent?
Mi permetta di presentarglielo – perché lei possa giudicare – e di ricordarle il suo stato.
Vincent è un uomo di 42 anni, in situazione di grave handicap. In seguito a un incidente automobilistico si trova in stato ipo-relazionale. È uno stato di coscienza minima che gli impedisce di comunicare verbalmente. Ma è tutto qua! Vincent non è in coma, non è malato, non è intubato. Non è una macchina che mantiene mio figlio in vita. Respira senza assistenza. Si sveglia la mattina e si addormenta la sera. Quando noi, i suoi genitori, siamo con lui, ha delle reazioni. Ci segue con lo sguardo, talvolta intensamente, e lo stesso fa con suo fratello David, che gli sta molto vicino. Ha emesso in nostra presenza parecchie fonazioni, una delle quali – che abbiamo filmato – ha impressionato i medici specialistici a cui l’abbiamo sottoposta, i quali affermano che non si trova in stato vegetativo.
Aveva perso il riflesso della deglutizione… e l’ha ritrovato. Ho potuto dargli da mangiare del cibo che egli ha deglutito senza alcuna difficoltà. Abbiamo mandato anche questa registrazione a decine di specialisti che – tutti – hanno affermato che dovrebbe essere rieducato a mangiare con la bocca. Però bisogna farlo secondo protocolli specializzati, con un’équipe pluridisciplinare, in un’unità specializzata, nel quadro di un progetto di vita in contatto con la sua famiglia.
E invece, per lui non c’è più se non un progetto di morte. E un medico, a Reims, senza tenere in alcun conto tutti questi pareri specializzati, ha deciso di interrompere la sua alimentazione e la sua idratazione, che avvengono per sondino naso-gastrico, senza permettergli di essere preso in cura da altri che lo rieduchino e lo stimolino.
Vincent è handicappato, ma vive.
Certo, la sua situazione è drammatica. Io sono sua madre: lei può immaginarsi quanto ne soffra, e quale dolore quotidiano mi tocchi sopportare. È per questo che dovremmo eliminarlo? La mia famiglia, in questa prova, si è divisa, e questo aggiunge dolore a dolore.
Come le 1.700 persone portatrici di un handicap analogo al suo, Vincent avrebbe dunque essere collocato in un servizio specializzato per persone cerebrolese. Invece è stato messo in cure palliative, senza trattamenti adatti, senza il servizio di cinesiterapia che gli permetterebbe di fare i progressi possibili nel suo stato. Molti stabilimenti che accolgono persone vittime di gravi incidenti stradali sono pronti ad accoglierlo, e lui viene segregato nel centro di cure palliative di un ospedale incompetente rispetto a questo tipo di cure.
Perché questo accanimento contro mio figlio? Bisognerà condannare a morte tutte le 1.700 persone handicappate in stato ipo-relazionale?
Signore Presidente, alcuni anni fa, il 29 aprile 2013, al capezzale di mio figlio, io l’ho visto morire. Ho visto che moriva mentre il suo handicap non è mortale. Sono stata folgorata: mi sono accorta che da venti giorni Vincent non aveva mangiato nulla, perché avevano razionato la sua alimentazione senza dirci nulla, e che si stava disidratando perché avevano deciso di ridurre la sua quantità di liquidi. Vincent mi guardava; e piangeva. Scendevano lacrime lungo le sue guance. In quel momento mio figlio soffriva. Non della sua malattia, ma perché lo avevano abbandonato. E condannato. Mi ci sono voluti ancora undici giorni per ottenere che rimettessero il sondino naso-gastrico a Vincent per aiutarlo a mangiare e a bere.
Questo era dignitoso? Era un trattamento medico, questo? Io non lo credo. Ma a parte tutto questo, io non comprendo quale legge, quale volontà politica potrebbe volere e giustificare che si condanni a morte un individuo perché si ricusi di curarlo.
Lo stato di Vincent – tenace benché sia immobilizzato dal 2008, sempre in vita quantunque lo abbiano affamato per un mese – testimonia della sua reale volontà di vivere. I venticinque specialisti che abbiamo consultato l’hanno affermato per iscritto: il fatto che sia sopravvissuto 31 giorni senza alimentazione e con un’idratazione ridotta è incompatibile con una pretesa volontà di morire.
Eppure, questo lunedì 9 aprile, un medico ha – nuovamente – deciso la morte di mio figlio, per la quarta volta. Anche questo medico scrive che la volontà di Vincent Lambert è incerta. Allora, nel dubbio circa la sua volontà, deve morire? Le diranno che si tratta di una decisione medica per rifiuto di accanimento terapeutico. Ma è falso. Vincent non è in fin di vita. Non è malato. Non soffre. Contestualmente alla procedura collegiale, ventiquattro specialisti hanno indirizzato una raccomandata all’ospedale di Reims per indicare che Vincent Lambert non è in situazione di ostinazione sproporzionata. Se deve morire, non è per la sua dignità: è per volontà eutanasica. Vincent sarà sacrificato per esemplarità. Mio figlio dev’essere un caso di scuola.
Signor Presidente, le domando di ricevermi urgentemente, accompagnata dai medici specializzati che conoscono Vincent per averlo visitato e che potranno spiegarle il suo reale stato di salute.
Il dramma della marcescenza della nostra civiltà si fa politicamente interessante nel momento in cui il giorno dopo il famoso intervento di Macron al ricevimento della Conferenza Episcopale Francese – ma neanche il giorno dopo: 12 ore al massimo! – il Cese (Conseil économique, social et environnemental [Consiglio economico, sociale e ambientale]) ha “discusso”, nel quadro degli “Stati generali della bioetica”, una proposta di legge velatamente eutanasica. La “sedazione profonda esplicitamente letale” è in effetti l’anello mancante tra l’uccisione per fame e per sete – mirabilmente adottata anche in Italia dall’ineffabile XVII legislatura repubblicana – e la vera e propria eutanasia attiva. Il Cese si fa forte di una petizione corredata da 200mila sottoscrizioni: peccato che una legge del 2010 stabilisca a 500mila firme la soglia di sbarramento per le “petizioni cittadine”… e che lo stesso Cese avesse rigettato come “irricevibile”, nel 2013, una petizione cittadina contro la Loi Taubira (introducente il c.d. “matrimonio omosessuale”), petizione che di firme ne recava più di 700mila. Ma come diceva la buona Agnese: «La legge l’hanno fatta loro, e l’hanno fatta come gli e parso e gli è piaciuto». O come più prosaicamente dettagliava mons. Colombo da Priverno: «Er mazzo ’o fâmo noi, c’avèmo tutti l’assi… e se nun basta barâmo pure».
E così il Cese ha dato parere favorevole circa una legge che introdurrebbe in Francia il suicidio assistito e l’eutanasia (107 sì, 18 no e 44 astensioni): una mossa sporca letta dalla politica come un tentativo di condizionare i già ricordati Stati Generali della Bioetica, ovvero di forzarne le marce sulla ben nota agenda radicale. L’organo consultivo paragovernativo, però, la spiega nell’orwelliana neolingua che la cronaca rende sempre meno distopica e la finestra di Overton fa sempre più “normale”: si tratta di un “nuovo diritto” che «amplia il campo delle possibilità» per quanto riguarda «le ultime cure», ove «le cure palliative non ottenessero risultati soddisfacenti». E i membri del Cese avrebbero pensato in particolare ai «casi giudiziari e mediatici» – insomma al buon Vincent Lambert, che non ha alcuna malattia ma che tengono sotto terapia palliativa. E Lambert – la madre l’ha ricordato – è il frontman di 1.700 handicappati. I quali rappresentano una ben specifica tipologia di disabilità: in complesso si può arrivare a parecchie decine di migliaia di “vite futili” (secondo la bellissima espressione di Mr. Justice Hayden riguardo ad Alfie Evans). Mors tua, vita mea, e mentre i pesi inerti muoiono lo Stato respira. O così sembrerebbe… perché chiunque può trasformarsi, ogni giorno, in un Vincent Lambert… e il respiro si mozza un poco a tutti.
Dunque il 9 mattina un medico generalista di Reims decretava morte per Vincent Lambert; a sera Macron sfoggiava la sua erudita magniloquenza di fronte ai Vescovi di Francia (ammannendo loro, fra l’altro, una lezione sull’identità e sulla missione della Chiesa); il 10 il Cese calava il suo intervento falloso (ma non fischiato da alcun arbitro) nel bel mezzo di una delicata discussione istituzionale; e quel pomeriggio Viviane Lambert prendeva carta e penna per appellarsi al Presidente della République con la struggente lettera che abbiamo letto l’11 mattina. E siamo tornati alla casella di partenza. La domanda resta: chi lo vince questo gioco dell’oca? E che succede a chi perde?
Note
↑1 | Ma il cuore, il cervello e il fegato dei due ragazzi che ne sono i genitori sopravanzano di misura quelli di tutti noi messi insieme. |
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