Naturalmente dobbiamo ancora leggerla a fondo, ma questa esortazione apostolica di Papa Francesco (la terza contando quella postsinodale, la seconda motu proprio data) ha già molto per piacerci. Anzitutto una cosa, quella principale: ci ricorda perché esista la Chiesa, nonché per quale motivo abbia senso esserne parte. Gaudete et exsultate tratta dell’argomento più religioso che esista – il Cielo – e della prerogativa più peculiarmente cristiana tra le religioni – la possibilità di portarlo sulla terra prima ancora di arrivarci noi, in Paradisum.
Sembra di tornare indietro di sei anni, per reminiscenze, allo storico Sanremo di Adriano Celentano, quando il Molleggiato allungò una memorabile tirata contro Avvenire e contro i sacerdoti cattolici,
perché nei loro argomenti e dibattiti tv, non parlano mai della cosa più importante: il motivo per cui siamo nati. Insomma, non parlano mai del Paradiso. Danno l’impressione che l’uomo sia nato solo per morire.
Del resto spesso parlare del Paradiso è stato l’alibi per non parlare di questioni definite “urgenti” e “di croccante attualità”. Ecco, Gaudete et exsultate sembra intervenire proprio per dissipare queste ambiguità e incomprensioni: analogamente alla conversione e al martirio, anche la santità è in sé quello che von Balthasar chiamerebbe “il caso serio”, perché riesce a diventare l’argomento di conversazione pur senza essere nominato. In effetti la parola “paradiso” non ricorre neppure una volta, in questo documento sulla santità. Di “cielo” si parla invece quattro volte (escludendo due titoli di paragrafo) e solo due di quelle quattro non sono citazioni (o autocitazioni). Tanto vale giustapporle qui di seguito, poiché offrono uno scorcio interessante (ancorché accidentale) sul documento:
Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito, affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta. Il Signore la porterà a compimento anche in mezzo ai tuoi errori e ai tuoi momenti negativi, purché tu non abbandoni la via dell’amore e rimanga sempre aperto alla sua azione soprannaturale che purifica e illumina. […] La misura che usiamo per comprendere e perdonare verrà applicata a noi per perdonarci. La misura che applichiamo per dare, sarà applicata a noi nel cielo per ricompensarci. Non ci conviene dimenticarlo.
Gaudete et exsultate 24.81
Il gioco (perché non più di questo può ambire ad essere) di pescare i paragrafi con la parola “cielo” nella ricorrenza più “libera” ci ha paradossalmente offerto uno specchio fedele dei contenuti dell’Esortazione apostolica, almeno per come appare a una prima rapida ricognizione:
- primato della trascendenza;
- pienezza della Rivelazione in Gesù;
- preminenza assoluta dell’iniziativa di Dio;
- natura mistica della vita di santità;
- espressione sociale della santità cristiana;
- fondamento evangelico.
Se dunque in conferenza stampa qualche collega ha chiesto se la santità di cui si parla nel documento non sia forse una santità «un po’ troppo “orizzontale”», sembra che tale impressione fosse dovuta soprattutto a fattori estrinseci. In realtà, il testo è tanto lungo quanto ricco di spunti, e una miniera dalle molte vene non può essere esaurita in un invito alla lettura: ci sono molte belle citazioni da scritti di santi (come era lecito attendersi), ma mancano alcuni aurei strumenti di ascetica che in un testo non brevissimo pensavamo di poter trovare; si parla di “genio femminile”, ad esempio, e leggiamo fin dalle prime pagine parole acutissime di Edith Stein, ma ci ha colpiti per esempio non trovare passaggi di Madeleine Delbrêl (e mons. Jean-Marc Eychenne ha chiaramente affermato di vedere nella materia centrale dell’Esortazione un tema fondamentale della Venerabile di Mussidan).
Poco male, Gaudete et exsultate non è un testo a cui si debba chiedere tutto, ma sembra piuttosto un documento volto a richiamare l’attenzione su alcuni grandi fondamentali. In tal senso mi ricorda, nella sua semplice e alta ambizione, la Dominus Iesus, pubblicata nel cuore del grande Giubileo del duemila: che Gesù Cristo e la sua Chiesa siano un unico Salvatore degli uomini composto da due soggetti “non adeguatamente distinti” [l’espressione si usa per altro ma qui è calzante] sembrerebbe verità lapalissiana, nella Chiesa cattolica, ma così non è. Allo stesso modo, che la santificazione dell’uomo, ovvero la sua salvezza eterna e la sua divinizzazione, siano in testa a tutti i fini della Chiesa, è cosa che non appare tanto evidente, se si considerano i vari Celentano, padre Pizzarro, cattocomunisti e cattofascisti più o meno “infra mœnia”. Ho “goduto ed esultato” grandemente, per esempio, quando il Papa ha richiamato insieme «le ideologie che mutilano il cuore del Vangelo», ovvero lo parcellizzano in “cattolicesimo di destra” e “cristianesimo di sinistra”:
La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto. Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente. Spesso si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli.
GE 101-102
E allo stesso modo ho particolarmente apprezzato che il Papa abbia citato san Tommaso per ricordarci come lo stesso Signore che apprezzò maggiormente l’ascolto di Maria alla laboriosità di Marta gradisce maggiormente il nostro servizio al prossimo che lo stesso culto divino:
Non posso tralasciare di ricordare quell’interrogativo che si poneva san Tommaso d’Aquino quando si domandava quali sono le nostre azioni più grandi, quali sono le opere esterne che meglio manifestano il nostro amore per Dio. Egli rispose senza dubitare che sono le opere di misericordia verso il prossimo, più che gli atti di culto: «Noi non esercitiamo il culto verso Dio con sacrifici e con offerte esteriori a vantaggio suo, ma a vantaggio nostro e del prossimo: Egli infatti non ha bisogno dei nostri sacrifici, ma vuole che essi gli vengano offerti per la nostra devozione e a vantaggio del prossimo. Perciò la misericordia con la quale si soccorre la miseria altrui è un sacrificio a lui più accetto, assicurando esso più da vicino il bene del prossimo».
GE 106
C’è qualcosa che – forse a dispetto di qualche aspettativa – Gaudete et exsultate assolutamente non è:
Non ci si deve aspettare qui un trattato sulla santità, con tante definizioni e distinzioni che potrebbero arricchire questo importante tema, o con analisi che si potrebbero fare circa i mezzi di santificazione. Il mio umile obiettivo è far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Perché il Signore ha scelto ciascuno di noi «per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità» [Ef 1,4]. All’interno del grande quadro della santità che ci propongono le Beatitudini e Matteo 25,31-46, vorrei raccogliere alcune caratteristiche o espressioni spirituali che, a mio giudizio, sono indispensabili per comprendere lo stile di vita a cui il Signore ci chiama. Non mi fermerò a spiegare i mezzi di santificazione che già conosciamo: i diversi metodi di preghiera, i preziosi sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione, l’offerta dei sacrifici, le varie forme di devozione, la direzione spirituale, e tanti altri. Mi riferirò solo ad alcuni aspetti della chiamata alla santità che spero risuonino in maniera speciale.
GE 2.110
E questi pochi aspetti sono quelli già altre volte chiamati “classe media della santità”: l’eco con la “piccola via” di Teresa di Lisieux è immediata e forte, e l’impressione è che il “discernimento” che tanto ha fatto discutere nel contesto di Amoris lætitia abbia trovato qui una tornitura particolare – perché se lì si poteva avere idea che fosse l’escamotage per una vita di lassismo qui è (fin troppo) evidente che l’invito del Papa è a «una misura alta della vita cristiana» (Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte 31). Capisco in tal senso il collega che ieri mattina ha chiesto, durante la presentazione, se Gaudete et exsultate possa considerarsi una risposta ad alcune critiche ad Amoris lætitia. Gianni Valente ha risposto dal tavolo dei relatori, affermando che non gli risulta di simili intenzioni dell’autore, e che anzi le corrispondenze tra i testi andrebbero indagate nel senso di un’intrinseca continuità di sviluppo pastorale e dottrinale.
Due cose non ho molto apprezzato, dal tavolo dei relatori: anzitutto ricorderei la risposta di Paola Bignardi alla domanda “cosa questo testo può dire ai non cristiani?”. La nota politica ed esponente di Azione Cattolica ha allora detto più o meno queste parole:
Penso che tutta la parte che descrive il modo in cui il cristiano dev’essere attento al povero e impegnarsi contro l’ingiustizia siano terreni che possono trovare benissimo concordi i cristiani e coloro che cristiani non sono. C’è anche un passaggio in cui si dice che anche in coloro che credono diversamente si possono individuare i segni di una santità che ci accomuna.
In realtà non solo non si trova niente di simile, nel testo, ma neppure sarebbe potuto essere diversamente: l’Esortazione apostolica si rivolge esclusivamente al popolo cristiano, e tutto il suo impianto teorico è basato sulla mistica dell’incorporazione a Cristo, che avviene anzitutto per la fede e per i sacramenti.
Diversamente, non si capirebbe neanche il prolungato indugiare del Santo Padre sulle categorie di “gnostici” e “pelagiani”, in cui egli individua ormai costantemente le depravazioni metastoriche della fede in ordine alla potenza dell’intelletto e a quella della volontà. Se invece “ci si potesse trovare” sulle buone opere – come sembrava arguire la Bignardi – basterebbe la “buona volontà” per santificarsi. Ciò che (giustamente) il Papa nega e ribadisce:
Infatti, il potere che gli gnostici attribuivano all’intelligenza, alcuni cominciarono ad attribuirlo alla volontà umana, allo sforzo personale. Così sorsero i pelagiani e i semipelagiani. Non era più l’intelligenza ad occupare il posto del mistero e della grazia, ma la volontà. Si dimenticava che tutto «dipende [non] dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che ha misericordia» [Rm 9,16] e che Egli «ci ha amati per primo» [1Gv 4,19].
GE 48
A tal riguardo, invece, un commento intelligente e sapido è stato quello di Gianni Valente, del quale un passaggio mi ha rimandato al confronto tra Corrado Augias ed Ettore Gotti Tedeschi durante la presentazione dell’ultimo libro di Aldo Maria Valli:
L’Esortazione apostolica segnala anche altre tracce della mentalità gnostica che possono trovarsi anche in circoli ecclesiali, come l’elitarismo di chi si sente superiore alle moltitudini dei battezzati, o il disprezzo per gli imperfetti, per quelli che cadono, per quelli che gli antichi gnostici avrebbero definito come “i carnali”. Il Papa ricorda che già all’inizio del cristianesimo le correnti gnostiche mostravano disprezzo per la semplicità del Vangelo, e tentavano di sostituire al Dio incarnato «una Unità superiore» [43].
Precisamente questo pensavo, mentre il giornalista ebreo faceva aperta mostra di disprezzo per «quei cristiani della domenica di cui non potete farvi niente»… e io vanamente aspettavo che il suo diretto interlocutore lo bloccasse. In realtà non basta riempirsi la bocca della parola “gnosticismo” per scongiurare il rischio di riprodurne alcune dinamiche mortifere.
L’altra ragione per cui non ho apprezzato la presentazione del documento è stata la risposta insoddisfacente alla prima domanda posta dalla stampa (forse la più pertinente e seria, oltre che la più elementare): una collega aveva infatti rotto il ghiaccio chiedendo quando fosse stata scritta l’Esortazione apostolica, dove, in quale lingua, in quale lasso di tempo… e come mai il tavolo dei relatori (con Greg Burke sedevano i già menzionati Gianni Valente e Paola Bignardi, a destra e a sinistra del Vicario di Roma mons. Angelo Di Donato) fosse stato assortito in quel modo. Ebbene, alle domande filologiche è stato dato in risposta un “non sappiamo” francamente deludente, da parte dei relatori incaricati di presentare il documento: quanto al resto, monsignor Vicario ha proseguito affermando candidamente di essere all’oscuro di ogni significato, nell’assortimento del tavolo, salvo il fatto che il Papa aveva chiamato direttamente lui, e che poi parlando tra di loro (chi?) hanno stabilito la formazione definitiva. Tutti nomi eccellenti e degnissimi (anche la svista teologica della Bignardi, per seria che sia stata, non infirma la sua serietà e preparazione), ma che a fronte di molte altre scelte e combinazioni possibili rendevano più che lecita la domanda “perché proprio voi?”.
Resta comunque da leggere questo documento, che sembra parlare delle cose che dice e soprattutto di quelle che non dice: forse pensando di lusingare Greg Burke, un collega ha chiesto se parlando di “santità ordinaria” il documento intendesse canonizzare la dottrina infusa da san Josemaría Escrivá de Balaguér all’Opus Dei, ma basta poco per sincerarsi che in 177 punti e 125 note non una volta ricorra il suo nome. E neppure sarebbe corretto ascrivere al fondatore spagnolo una dottrina che – se proprio non si vuole riconoscere a Gesù stesso – si dovrebbe perlomeno rimandare, in epoca moderna, a Francesco di Sales. E pure del grande vescovo di Ginevra non si trova che una citazione (neppure dalla Filotea, per colmo d’ironia!). Niente neppure dal De imitatione Christi, che divenne «il conforto dei secoli» (Johan Huizinga) proprio nell’esportare e rendere “popolare nell’alveo dell’ortodossia” il deposito dell’ascetica monastica occidentale.
Niente: sembra che per il cacciatore di citazioni Gaudete et exsultate debba comportare qualche delusione… e qualche grande sorpresa. Ad esempio è della messa di avvio pontificato di Benedetto XVI la prima. Poi ce n’è una da brivido subito dopo, che viene dalla mistica-carmelitana-filosofa non (ancora) dichiarata dottore della Chiesa:
Nella notte più oscura sorgono i più grandi profeti e i santi. Tuttavia, la corrente vivificante della vita mistica rimane invisibile. Sicuramente gli avvenimenti decisivi della storia del mondo sono stati essenzialmente influenzati da anime sulle quali nulla viene detto nei libri di storia. E quali siano le anime che dobbiamo ringraziare per gli avvenimenti decisivi della nostra vita personale, è qualcosa che sapremo soltanto nel giorno in cui tutto ciò che è nascosto sarà svelato.
Theresia Benedicta a Cruce, Verborgenes Leben und Epiphanie: GW XI, 145
E molte e molte altre, fino a un tenerissimo abbandono nelle mani di Maria: se si pensa che l’esortazione fu firmata il 19 marzo, nella solennità di san Giuseppe, e pubblicata ieri, in quella dell’Annunciazione, si scorgono gli esiti più alti e fanciulleschi della devozione nel cuore:
Desidero che Maria coroni queste riflessioni, perché lei ha vissuto come nessun altro le Beatitudini di Gesù. Ella è colei che trasaliva di gioia alla presenza di Dio, colei che conservava tutto nel suo cuore e che si è lasciata attraversare dalla spada. È la santa tra i santi, la più benedetta, colei che ci mostra la via della santità e ci accompagna. Lei non accetta che quando cadiamo rimaniamo a terra e a volte ci porta in braccio senza giudicarci. Conversare con lei ci consola, ci libera e ci santifica. La Madre non ha bisogno di tante parole, non le serve che ci sforziamo troppo per spiegarle quello che ci succede. Basta sussurrare ancora e ancora: «Ave o Maria…».
GE 176
Che bello, questo cristianesimo. Sì: Evangelii Gaudium mi era piaciuta molto, e pensavo che sarebbe rimasta (non senza le perfettibilità di ogni cosa umana) la cifra del presente pontificato1. Ciò che però farà brillare questo testo nei cuori di chi lo leggerà con animo buono è la palese utilità:
Spero che queste pagine siano utili perché tutta la Chiesa si dedichi a promuovere il desiderio della santità. Chiediamo che lo Spirito Santo infonda in noi un intenso desiderio di essere santi per la maggior gloria di Dio e incoraggiamoci a vicenda in questo proposito. Così condivideremo una felicità che il mondo non ci potrà togliere.
GE 177
1. In realtà Francesco stesso, al numero 28, spiega: «Un impegno mosso dall’ansietà, dall’orgoglio, dalla necessità di apparire e di dominare, certamente non sarà santificante. La sfida è vivere la propria donazione in maniera tale che gli sforzi abbiano un senso evangelico e ci identifichino sempre più con Gesù Cristo. Da qui il fatto che si parli spesso, ad esempio, di una spiritualità del catechista, di una spiritualità del clero diocesano, di una spiritualità del lavoro. Per la stessa ragione, in Evangelii gaudium ho voluto concludere con una spiritualità della missione, in Laudato si’ con una spiritualità ecologica e in Amoris laetitia, con una spiritualità della vita familiare».
Di’ cosa ne pensi