Prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e cominciò a sentire paura e angoscia. Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate». Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu». Poi venne, li trovò addormentati e disse a Pietro: «Simone, dormi? Non sei riuscito a vegliare una sola ora? Vegliate e pregate per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». Si allontanò di nuovo e pregò dicendo le stesse parole. Poi venne di nuovo e li trovò addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti, e non sapevano che cosa rispondergli.
Mc 14,33-40
I discepoli prediletti che si addormentano nell’orto degli ulivi sono un’immagine che non mi lascia mai, che fa parte della mia vita e che comprendo in modo viscerale.
Pietro, Giacomo e Giovanni erano tre “buoni”: amavano Gesù, credevano a lui più che a se stessi e quell’ultima cena, vissuta con terribile sgomento, li aveva dissestati dentro. Gesù aveva spazzato via definitivamente ogni loro ideale messianico potente e scintillante, aveva loro ribadito per l’ennesima volta che la sua fine era imminente e aveva spalancato davanti ai loro occhi l’abisso della loro povertà. Uno di loro lo avrebbe tradito, uno di loro!
“Sono forse io?” domandano stravolti. Non è una domanda di circostanza, o per schermirsi da un’accusa: è una domanda che pongono a Gesù in totale affidamento al suo giudizio, consapevoli che Egli conosce i loro cuori meglio di loro stessi e che in quei cuori abita l’abisso. Sono così sconvolti che Pietro si agita come l’ago di una bussola impazzita: da “Non mi laverai mai i piedi!” a “Lavami anche le mani e il capo”. Nel mezzo, solo la parola paziente di Gesù. Il cuore di Pietro è spalancato davanti a Gesù, Pietro gli ha dato tutto, anche ogni sua opinione personale, ogni suo moto emotivo. Un enorme “Tu lo sai” sta stampato sulle fronti di ciascuno, nessuno si protegge più dietro ad una propria convinzione personale, ad un sogno, un ideale. Sono solo lì ad amare Gesù e a farsi amare come bambini piccoli, infanti che non sanno tenere in mano nemmeno un cucchiaino.
I tre amici e discepoli stanno ammucchiati attorno al fuoco, che non li può scaldare. Gesù è ad un tiro di sasso, non lo vedono soffrire ma sanno che soffre. Pregare? Vegliare? Ma chiedere cosa a Dio di preciso? Essi in questo momento non sono più niente: Pietro sa che è un rinnegatore, Gesù glielo ha detto ed egli lo ha creduto pienamente. Guarda dentro di sé e non sa a cosa appigliarsi. Il suo amore non serve dunque a niente? Non c’è nessuna azione che Gesù vuole che egli compia per lui? Nessuno dei suoi propositi è buono?
No, questi uomini non pregano affatto nell’orto degli ulivi, non sanno come fare, non sanno più chi sono. La loro angoscia è sulle spalle di Gesù, che invece la esprime, la incarna, la offre a Dio in un bagno di sangue essudato.
I discepoli non resistono di fronte alla visione della propria nullità, povertà, pochezza, miseria intima, e un sonno pesante, una tristezza senza nome e senza volto chiude le loro palpebre, come un macigno. Non è stanchezza del corpo, è incapacità di stare davanti alla propria croce, al cospetto della verità illuminante e tragica della propria natura umana peccatrice.
Questi uomini vogliono essere buoni, vogliono essere santi, vogliono vedere Dio e lo hanno anche visto più volte. Questi uomini hanno scacciato demoni in nome di Cristo, hanno toccato con mano miracoli favolosi, visto realizzarsi la promessa messianica, ascoltato parole di intima salvezza. Questi uomini hanno scelto il bene, hanno prepotentemente, totalmente, interiormente scelto di seguire Gesù sempre e comunque, hanno messo tutta la volontà, tutta l’intelligenza, tutto l’amore che hanno.
Ora sanno che non basta. E non di poco! Un abisso abita tra le loro buone intenzioni e la realtà, non hanno in se stessi nessuna forza, non sono niente, non contano nulla.
E chiudono gli occhi. Come vorrei dormire per sempre! Non voglio contemplare la mia disfatta! Non voglio assistere all’ennesimo mio fallimento, dopo che ci avevo messo così tanto impegno, dopo tante speranze alimentate.
Gesù invece veglia: Egli solo sa tenere gli occhi aperti sulla nostra miseria, Egli non ha paura di portare quell’angoscia, quella tristezza che ti entra dentro fino nelle ossa, fino alla morte.
Noi crolliamo affranti, Egli prega.
Gesù non si è portato dietro i tre amici per avere sostegno da loro, bensì per dare loro sostegno, ancora una volta. Essi sono il riassunto di un’umanità intera, lì, alle sue spalle, che soffre intimamente una dicotomia lacerante tra il desiderio di bene e l’incapacità a compierlo. Dopo aver disvelato la bellezza della Via, della Verità e della Vita, dopo aver riacceso la loro brama di Dio, di Eden, di Amore, ecco che Gesù deve far attraversare ai suoi amici l’ultimo più atroce burrone: e non è la morte fisica! È il peccato originale. C’è un filo da ricongiungere tra cielo e terra, c’è un ponte da costruire tra qui e là, c’è una via da aprire definitivamente.
Gesù torna a guardare i suoi amici, li sveglia: fate come me! Resistete!
Ma sa che non possono, non hanno gli strumenti per farlo, sono solo polvere di terra, sono uomini da salvare.
Dormite pure.
Poi le guardie! Pietro si riscuote e prova ancora una volta, per l’ultima volta, a mettere in campo le proprie forze, tutto ciò che ha: sguaina la spada e taglia. Che importa se mi arrestano! Io sono pronto a morire per Gesù! Io ti amo, io do tutto, io non ho una vita fuori da Te.
Ma Gesù lo ferma e annulla la sua azione. Pietro è sconvolto. Respinto. Bloccato del tutto. Di ciò che fai, niente va bene. Di ciò che hai, niente serve. Di ciò che sei, niente è buono.
Pietro non rinnega Gesù nel cortile del sommo sacerdote: rinnega se stesso, i suoi sogni, la sua interpretazione passionale e sincera del ministero di Gesù. “Non lo conosco”, dice. E lo pensa davvero.
Se sapessi cosa fare! Se sapessi qual è la via d’uscita da questa angoscia, ché non la percorrerei di corsa? Ma ci sono momenti della vita in cui tutte le porte sono chiuse. Semplicemente chiuse. E devi solo stare, sudare sangue. O svenire dalla tristezza, sperando che intanto il mondo fuori cambi da sé, senza il mio contributo, che non so dare.
Pietro piange amaramente, finalmente piange: quella tristezza si sfoga in un dolore che fa sussultare il petto, esce fuori tutto, non dorme più, non si sottrae più alla visione del proprio nulla. Resta svuotato di ogni cosa, pronto per accogliere quella luce che verrà.
Quanto costa la consapevolezza! Quanto amara è la scoperta che siamo orribili, traditori, malvagi, incostanti, inutili! Ma non a parole, per davvero! Ce lo diciamo sempre battendoci il petto: siamo tutti peccatori. Ma lo abbiamo veramente compreso? Lo abbiamo intimamente sentito? Non siamo peccatori solo quando manchiamo di volontà. Lo siamo anche quando stiamo attenti, quando combattiamo per fare il bene, quando vogliamo assolutamente dare tutto.
Digiuniamo per essere bravi, e poi ci sentiamo orgogliosi come stupidi pavoni.
Facciamo l’elemosina e restiamo delusi se non riceviamo un grazie.
Lottiamo per il bene comune e immancabilmente qualcuno si offende, ogni azione per quanto buona fa qualche vittima.
Come fai sbagli, in ogni pensiero c’è del male, in ogni proposito c’è vanità, in ogni amore c’è desiderio di possesso. Per non parlare dei peccati grossi, che non mancano mai e ciascuno sa i suoi.
Il venerdì santo si alza struggente il nostro pianto, abbiamo bisogno di essere salvati, purificati, sollevati da terra. Proprio mentre contempliamo la nostra sconfitta, Cristo apre le porte del cielo, la via per la discesa dello Spirito Santo, per rifarci tempio di Dio, per tornare figli di Dio.
Stare: una staticità resistente, cocciuta. Come Maria sotto la croce, stiamo anche noi. Il venerdì santo riscuotiamoci dal sonno della tristezza e andiamo a piangere ai piedi di Gesù: non azioni, non propositi, non elucubrazioni mentali. Solo un mesto stare, vuoti, annullati, immoti, sospesi, come se Cristo non dovesse risorgere più, privati persino della speranza. Non in attesa di qualcosa, ma solo per amore: stupido immotivato irrazionale amore. Non so, non capisco nulla, non vedo più il futuro: ma sto. Non credo, ma sto. Non spero, ma sto. Perché semplicemente non esiste un altro posto dove andare: quando hai capito quello che sei, non c’è alternativa tra l’oblio di un sonno chimico da tristezza mortale e il pianto sotto la croce.
lasciarsi sconvolgere dalla verita’ su noi stessi