Ora, proprio questa ossessiva insistenza sul Papa come elemento dirimente delle coscienze mi è sempre parsa un sintomo di cattiva salute, per la Chiesa: a sentire molti “cattolici impegnati” si direbbe che essere cattolici significhi avere un’opinione sul Papa, e più precisamente avere un’opinione su ogni cosa che il Papa dice e fa. Così non è, e mi ha fatto piacere leggere degli ottimi interventi di Gianni Valente, su La Stampa, in cui il concetto veniva scandito con cura:
La “lotta continua” intorno al Papa segnala o produce una situazione patologica. Quando nella Chiesa ci si divide per partito preso e per troppo tempo sul Papa, tale fenomeno non può essere vissuto da nessuno che abbia a cuore la Chiesa come un sintomo di vivacità e di buona salute. La polarizzazione attorno al Papa, a lungo andare, logora, esaspera, rende ottusi. Euforizza solo le cordate e le cricche, quelli che puntano a lucrare visibilità e scorie di potere clerico-mondano all’ombra degli apparati ecclesiastici. Avvilisce invece il piccolo resto del popolo di Dio, che non cerca “nuove” Chiese, non si inebria con le nuove “sfide” che tanto eccitano gli auto-occupati ecclesiali. Perché vive già come un miracolo il semplice fatto di essere custodito nella fede, lungo il cammino tra le fatiche di ogni giorno, anche grazie alle parole e ai gesti del Successore di Pietro.
Diceva Valente proprio il giorno in cui avrei assistito alla presentazione del libro di Valli. E se già in questo passaggio si riconosce una critica equidistante ai “clericali clericali” e ai “clericali anticlericali” – per dirla con Péguy – il riferimento all’affaire della lettera di Benedetto XVI diventa aperto nell’articolo successivo, datato 19 marzo:
È facile pensare che tra gli intenti dell’iniziativa ci fosse anche la volontà di rispondere a quelli che denigrano l’attuale Vescovo di Roma come “poco ferrato” in cultura teologica, puntando a attestare la robustezza del profilo intellettuale di Jorge Mario Bergoglio, e di farlo accreditare anche del suo predecessore, il “Papa teologo”. Segno indiretto che anche le strategie vaticane finiscono per muoversi nell’orizzonte disegnato dalle polemiche mediatiche – comprese quelle più squinternate e infondate – scatenate dalle “brigate anti-Bergoglio”. Così, invece di riportare semplicemente quello che il Papa, «servo dei servi di Dio», suggerisce alla Chiesa del suo tempo (lui che per mestiere, coi suoi talenti e i suoi limiti umani, è chiamato “solo” a confessare Cristo Signore e confermare i fratelli nella fede), si finisce per prendere le mosse da campagne e dialettiche intellettuali che per loro natura intrigano soprattutto gli addetti ai lavori e gli affiliati alla rete dei clerical blogger.
[…]
All’ombra dell’interesse che circonda la figura del Papa, in certi apparati ecclesiastici si percepisce a volte la smania di riaffermare in forme nuove il proprio presenzialismo sui tavoli e nei circuiti globali, prendendo pose da esponenti di una istituzione al “passo coi tempi”, attrezzata per “governare i flussi”, con un alto tasso di narcisismi e personalismi. Con queste dinamiche, più che riproporre il volto della Chiesa «amica degli uomini» e del mondo di cui parlava Paolo VI, sembra manifestarsi una compagine religio-umanitaria lusingata dai selfie che i nuovi padroni del jet set digitale vengono a scattarsi nei palazzi d’Oltretevere.
Non sto tornando dalla “questione seria” alla “questione grave”: ribadisco che, proprio perché il dibattito ecclesiale sembra (e da tempo) focalizzarsi esclusivamente o quasi attorno al Pontefice, il parterre di riferimento resta così sguarnito. Quello che ho visto accadere durante la presentazione del libro di Valli, infatti, era che non solo i tre al tavolo dei relatori parlavano tre lingue irriducibili l’una all’altra, ma che per giunta l’uditorio sembrava persuaso di sentirne due soltanto (accorpavano indebitamente Valli e Gotti Tedeschi), e a giudicare da quanto percepivo intorno a me non pareva neppure in grado di giudicare gli errori della “bona pars” e le giuste osservazioni della “mala pars”.
Augias, ad esempio, era molto opportuno nell’informare quell’ottantina di persone tra cui stavo anch’io che a nord delle Alpi il Papa non fa notizia, non finisce nei telegiornali, non se ne parla ordinariamente nei media, e che la cultura cattolica non può trincerarsi in uno strenuo e (a questo punto feticistico) attaccamento al crocifisso nelle aule pubbliche. E nel bisbiglio intorno a me percepivo disappunto prima ancora che il giornalista ebreo giungesse a dire cose davvero incompatibili con una prospettiva cristiana.
Sono rimasto invece a bocca aperta quando Gotti Tedeschi ha affermato, nell’ordine, che:
- di Marcione si sarebbe occupato il Concilio di Nicea (con soli due secoli di ritardo);
- in Evangelii Gaudium si leggerebbe: «La radice di tutti i mali è l’inequità» (in EG 202 si parla invece di “mali sociali”, ma qualcosa di molto simile alla frase vituperata dal banchiere si trova in effetti in 1Tim 6,10);
- la teologia di Papa Francesco sarebbe “rahneriana” (ce lo vedo proprio, il Papa, a illustrare il Grundaxiom rahneriano…).
Io non amo Rahner, a parte per qualche opera minore: comunque nella mia formazione non ha avuto un gran peso, a quanto posso giudicare. Però in quel momento avrei voluto spostare il focus della discussione su di lui: non per rendere palese che in materia teologica Gotti Tedeschi è autorevole quanto lo sono io discettando di quantitative easing, ma per evidenziare agli occhi di tutti che nessuno, lì dentro, sembrava interessato ad altro che a raccattare argomenti per una quotidiana lapidazione contro il Papa. Con le sole eccezioni, penso, dello stesso Valli e di Augias, chiaramente per motivi distinti: a quest’ultimo la Chiesa interessa come oggetto di curiosità intellettuale, ma da diversi interventi in quella stessa occasione mi è parso palese che non riuscisse a coglierne la realtà mistica; al primo, invece, la critica a Francesco mi sembra venire su tanto forte quanto sgradita, come un conato di vomito.
Valli parlava di “custodire la fede” “senza badare a quanti siamo” (rispondeva ad Augias che sottolineava il numero ormai esiguo dei cristiani praticanti); Gotti Tedeschi rincarava sul “difendere la nostra cultura” ricordando che “anche gli apostoli erano dodici, e conquistarono il mondo”. A modo suo, Valli stava appunto proponendo di “avviare processi”, mentre Gotti Tedeschi metteva le mani avanti a “conquistare spazi”. Augias da parte sua avvertiva la differenza, tanto che lodava Valli e non Gotti Tedeschi, ma nel suo ostentare disprezzo per “quei cristiani che vanno a messa la domenica senza capire cosa fanno e perché” traspariva la vera radice di ogni gnosticismo, il limite invalicabile tra il cristianesimo e qualunque forma di ateismo devoto. Da quest’ecclesiologia aberrante Valli aveva già preso le distanze, ricordando correttamente che la Chiesa è formata anche e soprattutto da tanti semplici fedeli che neppure entrano in simili questioni ma fanno il loro dovere lì dove sono. Speravo di sentire a quel punto una reprimenda da Gotti Tedeschi, che nei suoi interventi teologici biasima gli gnostici non meno di Rahner… ma niente. E guardandomi intorno, in quella Sala Einaudi da cento posti scarsi in Palazzo Bernini al Corso, avevo d’amblée una triste epifania: noi cattolici non abbiamo una vera koiné, non riusciamo a capirci neppure tra di noi – figuriamoci con “il mondo”!
Non vorrei spingermi fino al punto di negare che ne abbiamo mai avuta una, di lingua comune. Forse ci sono state epoche più fertili e felici della nostra (per quanto sicuramente ce ne sono state di peggiori – e molte!), ma una distinzione mi azzarderei a farla: sono persuaso che la koiné della pietà popolare sia rimasta sostanzialmente invariata, a dispetto dei secoli e delle latitudini. Ha detto bene il Papa il 7 gennaio scorso: «La trasmissione della fede si può fare soltanto in dialetto, nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna». Del resto, lo diceva anche san Paolo… (cf. 2Tim 1,1-8). I sedicenti intellettuali cattolici storsero il naso, quel giorno, ma essi stessi sono la prova – davanti a un libro come quello di Valli o davanti all’impunito dilagare della lobby omosessualista in Vaticano – di una deprimente incapacità di capire e di farsi capire. E pensare di cambiare questo miserando stato di cose raccogliendo tutti gli organi di comunicazione della Santa Sede sotto un unico capo è precisamente maquillage. Anzi, vorrei ricordare in ultimo due cose:
- Che fra tutte le attività della Curia Romana forse quelle afferenti all’ambito dell’informazione sono quelle in cui una certa dose di pluralità (non dico di “pluralismo”) sarebbe perfino auspicabile;
- Che molto opportunamente Valente ricordava, a proposito dello spirito e dei criterî delle riforme ecclesiastiche:
Di solito, le riforme riuscite, quelle fatte «in funzione dei bisogni concreti delle anime» (Yves Congar), suggeriscono alla Chiesa percorsi che conducono a semplificare, facilitare, alleggerire, dimagrire strutture, togliere pesi inutili.
Sentieri diversi rispetto a quelli che sembrano appaltare la riforma della Chiesa alla superfetazione di commissioni, comitati, tribunali, e all’efficacia di sistemi e meccanismi di controllo, compresi quelli incaricati della tutela dell’immagine e dei propri “brand”.
Fino a poco tempo fa, a questo link (http://www.conciliovaticanosecondo.it/inrete/
conilpapacontrolomoeresia/
print/), si poteva leggere questo articolo: https://www.riscossacristiana.it/con-il-papa-contro…/
Ne possiedo la stampata in pdf con il link in calce, che ne dimostra l’esistenza all’epoca in cui l’ho prudentemente estratto dal sito originario…
L’argomento è scottante, ma soprattutto scottanti sono i risultati dell’inchiesta, che ha portato il suo autore a certificare la scalata della lobby gay ai palazzi del potere vaticano.
Ora a noi non rimane che fare come Cristo ci chiede: lasciare che la zizzania cresca insieme al grano, perché i mietitori la gettino nel fuoco quando sarà il momento.
Nel frattempo cerchiamo solo di mantenere salda la Fede, nonostante gli attacchi del maligno, che ovviamente si insinua preferibilmente proprio là dove sovrabbonda la Grazia, la quale, si sa, sovrabbonda dove abbonda il peccato…
Illuminante come sempre Giovanni. La citazione di Valente mi ha confermato in una opinione che tengo fin da quando cominciò la stucchevole contrapposizione tra Benedetto e Francesco: entrambe le fazioni, tanto la “ratzingeriano-conservatorice” quanto quella “bergogliano-progressista”, sono unite dalla papolatria. I primi credono che tutti papi, tranne questo, fossero sempre infallibili; i secondi credono – o meglio: vogliono far credere – che solo questo papa sia sempre infallibile.
E mai si ribadirà abbastanza quanto sia malsana questa visione papocentrica, come ricorda giustamente Giovanni. I papocentrici mi ricordano tanto i socialisti criticati da Chesterton, convinti che il governo dovesse condizionare ogni aspetto della vita sociale. Se viene venduto qualcosa di importante, lo ha venduto il governo; se viene assegnato qualcosa di importante, lo ha assegnato il governo; se viene tollerato qualcosa di importante lo ha tollerato il governo e così via. «Questo sistema – concludeva GKC – è l’esatto contrario dell’anarchia: è un entusiasmo estremo per l’autorità».
Qualche tempo fa lessi un articolo interessante in lingua spagnola che sosteneva suppergiù le stesse tesi e aggiungeva qualche elemento utile a individuare la vera “lega” del “tradizionalismo al vetriolo” con le sue crociate contro papa Francesco: soprannaturalismo e culto dell’esteriorità.
http://lacasadezaqueo.blogspot.it/2013/04/papolatrias.html
Sul confronto tra l’attuale pontefice e la lobby gay segnalo questo vecchio post di un osservatore esterno alle cose ecclesiali come Aldo Giannuli: http://www.aldogiannuli.it/i-corrotti-e-la-lobby-gay-in-vaticano-la-spallata-di-bergoglio/
Quanto al rapporto tra Francesco e Rahner, un altro grande classico della critica antibergogliana, mi pare di poter dire che la recente biografia pubblicata dal professor Massimo Borghesi (Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Jaca Book) abbia definitivamente mostrato che il pensiero di Jorge Mario Bergoglio è stato plasmato da una linea di pensiero che comprende Fessard, Przywara, de Lubac, Guardini, von Balthasar, Methol Ferré. Praticamente assente invece l’influenza della linea Rahner-Kasper, come piacerebbe ai detrattori del Papa, i quali per motivi facilmente intuibili preferiscono continuare a giocare con l’uomo di paglia.
Suggerisco a me stesso e a molti altri di leggere meditare e pregare Ebrei 5, 11-14:
Su questo argomento abbiamo molte cose da dire, difficili da spiegare perché siete diventati lenti a capire. Infatti voi, che a motivo del tempo trascorso dovreste essere maestri, avete ancora bisogno che qualcuno v’insegni i primi elementi delle parole di Dio e siete diventati bisognosi di latte e non di cibo solido. Ora, chi si nutre ancora di latte non ha l’esperienza della dottrina della giustizia, perché è ancora un bambino. Il nutrimento solido è invece per gli adulti, per quelli che, mediante l’esperienza, hanno le facoltà esercitate a distinguere il bene dal male.