Sulla lettera di Benedetto XVI mutilata da mons. Viganò

Si direbbe che il compitino glie l’avesse dato con consegna dettagliata, il rampante Prefetto… Davanti alle parole di Benedetto XVI era stato detto dapprima che esse sarebbero state false o contraffatte, poi che sarebbero state ironiche1Antonio Socci era riuscito ad arrampicarsi sugli specchi ancora quando il Papa Emerito, rispondendo a un quesito esplicito di Andrea Tornielli, prendeva pubblicamente la parola per smentire le “assurdità” del Senese…: no, erano autentiche ma, date le circostanze, restano ultimamente indecifrabili, nella piena portata delle sue sfumature, in mancanza della lettera a cui rispondono. A naso immagino che anche le dure espressioni del primo paragrafo – quelle che hanno dettato l’apertura a molti giornali del mondo – potrebbero trovarvi una qualche spiegazione: i nemici di Francesco (che sono tanti e accaniti) si sono concentrati sull’apprezzamento a Papa Bergoglio, ritenendolo “impossibile” (l’ideologia può ottenebrare fino a tal punto, sì); la parte più anomala in un uomo trasparente e discreto come Ratzinger, invece, è il robusto riferimento a sé stesso. Bisognerebbe vedere la lettera di Viganò, per capire. Ma quella non la vedremo mai – né ci sarebbe più da fidarsi, a questo punto, se il Prefetto ce la mostrasse.

Una lettura interessante è stata comunque offerta da Massimo Franco sul Corsera di oggi (Franco scriveva dunque con il testo di ieri, quello mutilo) – in essa si trova una mappatura nient’affatto banale dei rapporti di forza in Vaticano:

Più che limitarsi a registrare il messaggio irrituale del Papa emerito Benedetto XVI in difesa di Francesco, viene da chiedersi perché lo abbia mandato. C’è un anniversario formale, certo, che è il quinto anno di pontificato di Jorge Mario Bergoglio, eletto il 13 marzo del 2013. Ma evidentemente esiste anche una realtà sotterranea, persistente, e inconfessabile, che tende a colpire e delegittimare quotidianamente il pontefice argentino; e che sta arrivando a livelli tali da allarmare il Vaticano. Avere un gigante della teologia come Joseph Ratzinger che in poche righe capovolge la vulgata secondo la quale Francesco sarebbe teologicamente poco attrezzato, è insieme un gesto di grande lealtà e un campanello d’allarme.

Conferma l’alleanza, anzi qualcosa di più profondo, che Bergoglio e Ratzinger hanno trovato dopo il Conclave; e che prevede una coabitazione ufficiale in totale sintonia: anche quando, e probabilmente qualche volta è accaduto, questa sintonia non appare tale. Fa capire ancora una volta quanto Benedetto XVI sia un argine oggettivo e prezioso di fronte a chi, e sono sempre di più, tenta di usarlo contro Francesco; e forse anche una barriera della quale i sostenitori più fanatici dell’attuale Papa debbono tenere conto, quando vogliono strattonarlo verso una strategia progressista e divisiva. Gli elementi che debbono fare riflettere, nel messaggio del pontefice emerito in occasione della pubblicazione dei volumi sulla «Teologia di Papa Francesco», sono soprattutto due.

Il primo riguarda la riaffermazione della «continuità interiore tra i due pontificati, pur con tutte le differenze di stile e di temperamento»: parole che sembrano rivolte a quanti, nelle file ecclesiastiche, continuano a guardare a Benedetto XVI come al «loro» Papa, in polemica con Francesco; e che non perdono occasione per contrapporre l’uno all’altro dal punto di vista dottrinale. D’altronde, è noto che Ratzinger è stato il mentore del cardinale Gerhard Muller, promosso da lui nel 2012 alla Dottrina della Fede e «licenziato» da Francesco alla fine di giugno del 2017, sostenendo che era un suo oppositore. Come è di dominio pubblico, almeno in Vaticano, l’ammirazione anche strumentale che i settori più conservatori nutrono e dichiarano verso il Papa emerito, in polemica con il suo successore sudamericano.

Il secondo punto che colpisce, nel messaggio, è il plauso alla pubblicazione dei volumi: un’iniziativa che «vuole opporsi e reagire allo stolto pregiudizio per cui Papa Francesco sarebbe solo un uomo pratico privo di particolare formazione teologica o filosofica, mentre io sarei stato unicamente un teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita concreta di un cristiano di oggi». Parole durissime e inusuali, con le quali Ratzinger è determinato a difendere il proprio successore e se stesso. Ma potenzialmente, anche parole suscettibili di qualche fraintendimento. Sostenere che la collana sulla teologia di Francesco è stata pensata per opporsi a uno «stolto pregiudizio» su di lui, ha alcune implicazioni.

Intanto, cresce il sospetto che questo pregiudizio esista al punto da essere in qualche modo ufficializzato, seppure involontariamente; che sopravviva e anzi rischi di diffondersi dopo cinque anni di pontificato; e che appaia così preoccupante da suggerire una risposta editoriale di questo livello. Un’altra implicazione riguarda l’insistenza sulla continuità tra i due papati. In teoria dovrebbe essere scontata. Ma il fatto che la sintonia tra il Papa dimissionario e quello in carica abbia bisogno di essere ribadita e puntellata da Ratzinger attraverso parole dai toni drammatici, la rende una verità complessa.

Da questo punto di vista, le poche righe scritte da Benedetto XVI finiscono per brillare per sincerità e autenticità. E servono a bilanciare e interpretare i riconoscimenti unanimi, doverosi e in qualche caso un po’ difensivi, che i suoi sostenitori hanno consegnato nelle ultime ore. Sono indicativi gli attacchi di Civiltà cattolica, la rivista dei gesuiti italiani, contro l’«opposizione sgrammaticata e divisiva» a Francesco perfino su questioni «come l’autorità ecclesiastica e la liturgia».

Il testo del Papa emerito restituisce la realtà di una Chiesa che dopo cinque anni rimane un «ospedale da campo» incompiuto; attraversata da tensioni e incognite tali da confondere la divisione tra riformatori e conservatori, tra il «Papa di Casa Santa Marta» e la Curia. Le riforme rimangono in un limbo: tanto che la stessa Civiltà cattolica ricorda le parole di Francesco su una riforma che «è come pulire la Sfinge d’Egitto con uno spazzolino da denti». Non è più chiaro chi sia alleato con chi. Dover ricorrere al carisma discreto e appartato di Benedetto per sostenere Francesco, a ben vedere, è un segnale sul quale riflettere.

Per più di metà commento, Franco elenca gli aspetti più chiari della questione (quelli che perfino i commentatori cattolici coglierebbero se non si fossero cretinamente divisi in due tifoserie): dal terzultimo paragrafo cominciano le osservazioni problematiche. Franco non sa scriverlo, anche perché gli mancava la lettera intera pubblicata oggi da Magister, ma avverte una serie di incongruenze:

  1. “il fatto” ufficializza maldestramente un pregiudizio finora rimasto ufficioso
  2. a differenza di Franco oggi sappiamo che Benedetto XVI non intendeva divulgare quelle parole: qualcuno ha inteso farlo, ed è la persona che ha dato lettura delle poche e scelte righe della lettera
  3. dunque non è maldestra, l’operazione di Viganò, ma sinistra, perché nell’ufficializzare “lo stolto pregiudizio”, e dunque nel polarizzare lo scontro, il Prefetto si evidenzia per una parte in causa

E la sua parte non è, a mio avviso, quella di Benedetto, ma neppure quella di Francesco, perché come Massimo Franco giustamente chiosa «la continuità e la sintonia» sono assodate per chiunque guardi onestamente, mentre ci sono «i sostenitori più fanatici» di Francesco, che «vogliono strattonarlo verso una strategia progressista e divisiva». Ecco.

Ci era parso a conti fatti molto brutto il caso del “matrimonio al volo”, che sulle prime ci aveva trovati bendisposti: molto peggio ora, questa plateale manomissione di un testo privato scritto da un personaggio storico, iconico, leggendario già da vivo appare di una spregiudicatezza inaudita, e non è più imputabile a sviste e leggerezze. Stavolta tutto il mondo ha visto la schietta volontà di torcere quel testo a fargli dire non ciò che non dice – le assurdità le lasciamo ai complottisti – ma molto più e molto meno di ciò che dice. Queste già riprovevoli manipolazioni, ordite dal dominus di tutti gli strumenti di comunicazione della Santa Sede, diventano spaventose. Se l’«opposizione sgrammaticata e divisiva» al Santo Padre crescerà, molto se ne dovrà chiedere conto ai suoi parabolani.

Un’ultima nota sul povero don Roberto Repole, naturalmente scomparso da tutti i commenti sulla vicenda: la sproporzione tra il calibro di questo (pur non mediocre) teologo torinese e il primo rilievo della vera posta in gioco dovrebbe far venire in mente lo stilema che potrà riproporsi anche in avvenire. Magari alcuni amici del Prefetto Viganò, o di suoi amici, verranno scelti per occasioni di grande esposizione che a nient’altro serviranno se non a tessere alcune piccole clientele, dare qualche dimostrazione di forza, strappare qualche titolo originale sui giornali. «C’è del marcio, in Danimarca…». Anzi, no, come disse un altro amletico Marcello ormai tredici anni fa, leggendo i propri testi per l’ultima via crucis di Giovanni Paolo II:

Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza neanche renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!

Note

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1 Antonio Socci era riuscito ad arrampicarsi sugli specchi ancora quando il Papa Emerito, rispondendo a un quesito esplicito di Andrea Tornielli, prendeva pubblicamente la parola per smentire le “assurdità” del Senese…
Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

1 commento

  1. Monsignor Viganò ha fatto alcuni maneggi senza prevedere che data la presenza dei ” social” la cosa sarebbe venuta fuori nel giro di 24 ore.La mancanza di capacità di prevedere l’ ovvio sembra molto radicata, sia negli ecclesiastici che nei politici che nei giornalisti. Poi a quanto pare anche in cosiddetti filosofi o scienziati. Mi spiego il fenomeno con una forma di infantilismo, per cui accade solo quello che voglio io. Ma dopo i 3 anni è pericoloso…Mi sembra che nell’ entourage del Papa ce ne siano un po’ troppi e che, anziché favorire, possano essere d’ inciampo a quella rivoluzione ” Evangelica” della Chiesa Cattolica così caldeggiata da George Weigel, ad esempio. Il che non vuol dire che sia un male…

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