Lobbizzate, lobbizzate. Ma cosa resterà?

Il divieto di mandato imperativo (assieme al voto segreto e alla facoltà di presentare emendamenti e votazioni per parti separate della legge) è una delle principali garanzie del primato della legge sulla forza. Tutto il sistema di garanzie parlamentari serve ad assicurare una dialettica parlamentare libera, che consenta anche alla minoranza di incidere con efficacia nel processo legislativo.

Questa premessa ci permette di introdurre una questione fondamentale per ogni democrazia parlamentare. Una questione a cui, volens nolens, bisogna dare una risposta. È questa: la centralità spetta al governo o al parlamento?

La domanda è meno oziosa di quanto possa sembrare.

Semplificando al massimo possiamo riassumere così i termini della questione: se il governo rappresenta lo stato, il parlamento rappresenta il popolo, la società civile. Il governo dirige e coordina burocrazia, esercito, polizia, giurisdizione e diplomazia. È, dunque, il contrappeso della società civile, che si esprime attraverso il parlamento dove, attraverso la discussione tra maggioranza e opposizione, prende forma la legge.

Assegnare il primato al governo equivale a stabilire la supremazia del principio di autorità (con particolare enfasi sullo strumento governativo per eccellenza: il decreto). Viceversa, attribuire il primato al parlamento corrisponde al primato della legge. La supremazia della legge fonda il principio dello stato di diritto, nel quale ogni autorità è sottomessa alla legge.

La legge serve a tutelare il popolo dall’«anarchia del potere», per dirla con Pasolini. Il potere è anarchico nella misura in cui è arbitrario esercizio della forza. Il primato della legge rappresenta il tentativo di arginare e umanizzare il volto demoniaco del potere. È quella radice infera che i Greci collegavano a Kratos e Bia (la potenza e la forza), personificazioni mitiche dell’arbitrarietà del potere.

La questione è dunque di vitale importanza. Ora, bisogna sapere che dalla seconda metà dell’Ottocento in avanti andò manifestandosi una estesa critica di destra al parlamentarismo. Un filone ideologico nato in Francia, dove la critica organica al parlamentarismo fu avanzata soprattutto dal «socialista monarchico» e razzista Maurice Barrès. Su questa base teorica operò Charles Maurras, fondatore di quell’Action française condannata nel 1926 da Pio XI.

La critica antiparlamentare si estenderà anche ad altri paesi, inclusa l’Italia, alimentando una corrente politica favorevole all’instaurazione di regimi militaristi, imperialisti e autoritari. L’humus dell’antiparlamentarismo sarà, come è facilmente intuibile, uno dei principali incubatori del fascismo.

Ancora oggi l’antiparlamentarismo, con la sua innata diffidenza per la sovranità popolare, rimane un tratto caratteristico della destra che continua a confidare nel «nucleo cesareo del potere», secondo la bella espressione di Alessandro Pizzorno. A destra primeggia l’autorità, non la legge; il governo, non il popolo. La centralità per la destra spetta al governo, non al parlamento. Da qui l’avversione per i partiti e il pluralismo politico, la tendenza al rafforzamento dell’esecutivo, la predilezione per governi forti, autoritari. Per l’autoritarismo ha diritto di cittadinanza solo il partito unico, l’altra faccia del cesarismo politico.

5 commenti

  1. L’analisi politologica (articolo postato da Chiara Ardente) è per lo più, e nelle linee generali, ineccepibile… Però sovrapporre il CDNF con le aree e le dinamiche contraddistinte dai gruppi di pressione, che peraltro esistono da sempre nella politica e nei sistemi democratici è una forzatura. La compensazione (delle forze contro-democratiche e non antidemocratiche citate nell’articolo) è data proprio dal bilanciamento tra gruppi di potere – come in USA – ma soprattutto ed eminentemente in senso rappresentativo (e mai compiutamente realizzato) dall’attuazione del principio di sussidiarietà costituzionale. Attraverso uno sviluppo policentrico dei corpi intermedi composti dalla cittadinanza che composta insieme rappresenta la globalità degli interessi dettati dal Bene Comune. Il CDNF non ha mai identificato e proposto se stesso e la sue attività, ora forse questo invero sembra più evanescente, come una realtà socio-politica (per quanto tutto è politica sopratutto la vita manifesta nella Fede) contraddistinta dalla potenziale capacità di rappresentare i valori irriducibili, trasversalmente o in maniera focalizzata (lobby); e quindi, con questo, diventare un “rappresentante rilevante” dei bisogni della società civile riguardo a questi stessi assi valoriali. IL CDNF era un comitato di scopo (e ciò doveva restare a mio avviso) idoneo al coordinare in coro la voce di una comunità che ancora non sapeva – e non sa – che personalità collettiva è e qual’è il “suo posto nel mondo” … Lungo doveva essere il processo che poteva poi pervenire alla costituzione di soggetti (legittimi) con dignità di rappresentanza, magari solo dal punto di vista socio-culturale… Questo è il problema !! Per contro in una visione sistemica e sistematica, e qui altro elemento critico rispetto all’articolo, non è assolutamente vero che pone, alle fondamenta della politica e prima ancora della comunità umana, i “sedicenti” valori dell’antropologia cristiana, cioè le istanze mosse dal CDNF o anche dal PDF che dir si voglia. Perchè la persona umana nella sua dimensione individuale e nella sua dimensione collettiva è indivisibile, quindi: sistemi educativi, sistemi lavoro, sistema economico-finanziario, utilizzo delle risorse naturali, accesso ai beni universali, e oggi più che mai sistemi di trasformazione digitale del pensiero,del linguaggio e della comunicazione… e decine e decine di altre categorie appartengono ad un unicum che va visto nella sua complessità di insieme (elaborazioni oggi assolutamente e ovunque inesistenti)… Ergo un cosiddetto partito o movimento monotematico è semplicemente improponibile, perchè incapace di visione politica ! Incapace di visione storica !

    • Caro Gianluigi, grazie per il denso commento e per le osservazioni critiche, che sono sempre stimolanti. Premesso che in questo campo nessuno è infallibile, a cominciare dal sottoscritto, rispondo che la natura lobbistica della propria azione è stata rivendicata dal CDNF stesso (qui ad esempio) e, stando a chi ne conosce meglio le dinamiche interne, l’attività più propriamente culturale, di sensibilizzazione delle coscienze, sta cedendo progressivamente il passo all’analisi delle strategie politico-partitiche nell’ottica di un “condizionamento” dei centri decisionali di stampo tipicamente lobbistico. Per una valutazione generale del fenomeno del lobbismo credo di non dover aggiungere molto a quanto ho provato a scrivere sui rapporti tra populismo e postdemocrazia.

      Nessuno nega il ruolo “fisiologico” dei corpi intermedi, inevitabilmente portatori di interessi particolari, nella determinazione del bene comune della società. Ma quando il lobbismo finisce per bypassare il ruolo del parlamento, allora siamo di fronte a un pericolo per la democrazia rappresentativa.

      Al di là di tutti i discorsi che possiamo fare, i fatti testimoniano che il CDNF non è un comitato di scopo quanto un comitato di supporto all’area di centrodestra. In una democrazia rappresentativa però la rappresentanza politica passa attraverso il voto popolare, non attraverso il rapporto “carismatico” con le masse che è invece caratteristico di una tradizione plebiscitaria che, com’è noto, appartiene sempre al verticismo della cultura di destra. Quindi, torno a insistere, è ben difficile che il comitato potesse fungere da naturale “incubatrice” per la nascita e la “coscientizzazione” di esperienze politiche popolari.

      Fatico un poco ad afferrare la seconda parte del commento. Tuttavia non posso concordare con l’idea che il PDF – se interpreto bene il riferimento implicito – sia un partito monotematico senza una visione prospettica e storico-politica. Il Popolo della Famiglia nasce, di fatto, come ripresa del popolarismo di marca sturziana, anche se in un contesto sociale e politico completamente mutato rispetto al 1919. Per dirne una, quell’Italia strapaesana e contadina a cui don Sturzo voleva dare dignità civile e politica non esiste più. Così come alle tradizionali linee di frattura (“cleavages”) o assi della politica (centro-periferia, stato-chiesa, città-campagna, imprenditori-operai, destra-sinistra) si è aggiunta una nuova forma di conflitto sociale che altrove (con pseudonimo) mi sono permesso di definire “frattura biopolitica”.

      Rispetto a quanto scrivevo allora, la speranza in una distinzione di ruoli tra PDF e CDNF si è fatta alquanto residuale, per non dire inesistente. Anzi, stante la natura lobbistica del comitato sono sempre più convinto che non sia nemmeno auspicabile una riunificazione. Si tratta di due strategie concorrenziali e in quanto tali difficilmente conciliabili. E come ha detto qualcuno, l’aggressività scatta tra specie simili. Se il comitato facesse davvero attività prepolitica o culturale che dir si voglia, cercando di sensibilizzare le coscienze sui temi a lui cari, non ci sarebbe alcun motivo di conflitto. Se io giocassi a hockey su ghiaccio e il mio interlocutore a pallavolo, non ci sarebbero mai occasioni di “contatto”. Il discorso cambierebbe, e di molto, nel momento in cui il pallavolista volesse scendere sul ghiaccio e cominciare a contendermi il disco. In quel caso i contatti, giocoforza, ci sarebbero. Con quale intensità e frequenza, se più o meno duri dipende da tanti fattori concomitanti. In ogni sport c’è chi gioca al limite del regolamento, chi è maestro di fair play, chi ha uno stile di gioco più raffinato, chi più irruento ecc. Ma il problema sta a monte: sta nel fatto che è stata stabilita una competizione diretta.

      Un caro saluto

  2. “Resta infine un bruciante interrogativo: il lobbismo è davvero coerente con le fonti del cattolicesimo politico?”

    No, certo che no, ma se alla base del movimento politico ci sono movimenti e/o gruppi cattolici che hanno ragionato su base lobbistica già in ambito religioso/spirituale al loro ingresso nella Chiesa, allora l’azione politica conseguente è inevitabile. Come dire, è la forma mentis. (E non è neanche scontato che ciò riguardi specificamente soltanto una formazione politica con un nome preciso e con un intento lobbistico dichiarato esplicitamente).

    Il tuo passaggio successivo è perfetto in questo senso.
    Scrivi: “Il realismo politico di Machiavelli è il riflesso del suo pessimismo antropologico. Discende da una visione cupa dell’uomo, considerato irrimediabilmente cattivo e, pertanto, da costringere con la forza”.

    Perfetto.
    “Pessimismo antropologico” e “visione cupa dell’uomo considerato irrimediabilmente cattivo”.
    Direi che ci hai visto bene, anzi benissimo.
    Questa visione dell’uomo fa parte innanzitutto di una certa (distorta) teologia.
    Insomma, il problema è molto più a monte e riguarda il “cattolicesimo” (o presunto tale) da cui partono determinate formazioni.

    Grazie per l’ottimo articolo.

    • Cara Francesca, un grazie anche a te per il commento.

      Sono perfettamente d’accordo. È esattamente così: il lobbismo è connaturale a certi ambienti cattolici, la cui mentalità trova spontaneamente sbocco in una certa “teologia politica”. Sono circoli caratterizzati dalla stretta correlazione, per non dire dall’identificazione, tra fede e politica.

      Non sarebbe inutile allargare il discorso anche all’attività di quella che Sandro Magister ha chiamato la «chiesa extraparlamentare», che agisce di fatto come una macroscopica lobby negoziando direttamente col potere politico, esautorando di conseguenza il laicato. La cosiddetta diaspora dei cattolici in politica è funzionale a questo schema che non bisogna aver timore di definire una espressione del clericalismo della peggior specie. Tanto è vero che mai come oggi abbiamo avuto tanti cattolici in politici ma al contempo nessun cattolicesimo politico. Ossia è stata azzerata la presenza organizzata dei laici, con un proprio progetto politico cristianamente ispirato ma sotto la loro diretta responsabilità ecc. A tale proposito viene da sorridere al pensiero che gli autori di questa rottamazione oggi lamentino l’irrilevanza dei cattolici in politica, dato che la scarsa incidenza è un prodotto della opzione «extraparlamentare» della chiesa italiana. E con ogni evidenza il lobbismo dei cidienneffini è funzionale a questo schema clericale. Clericalismo condannato peraltro – è questo il paradosso – dal Concilio e da tutti i papi recenti, a cominciare da Francesco che lo ha definito una «peste», senza contare gli affondi alla figura del «vescovo pilota». Ma questo è un altro post. Un post che ho in mente da molto tempo ma che ho sempre rimandato. Credo sia giunto il momento di ritornarci sopra.

      Un caro saluto

  3. Aggiungo questo commento per ringraziarti della risposta in quanto non ho la registrazione dell’account wordpress che consente di mettere il “like”.
    Attendo il tuo prossimo post. Sono poco esperta di politica, sono un po’ più informata sulle “cose di Chiesa”. Le tue disamine – al di là che si possa essere d’accordo o meno su singoli dettagli secondari – mi hanno sempre aiutata a fare passi in avanti nel formarmi alcune cornici fondamentali del cattolicesimo.
    Grazie!

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