di Maria Rosaria Giorgi
Che dire dei toni epici che nei social stanno caratterizzando questa campagna elettorale? In particolare va di moda una certa retorica tolkieniana. «Proveremo a cambiare il mondo. Proveremo a entrare a Mordor». Bella frase ad effetto. Da usare solo su internet, ovviamente: vorrei proprio vedere il bravo candidato ai crocicchi delle strade e davanti a centri commerciali gridare così, minimo chiamano la neuro. D’altronde, immagino che grazie ai listini bloccati tale candidato non avrà bisogno di sudarsi una campagna elettorale personale, una volta assicurata la giusta posizione in lista e il collegio sicuro; come peraltro, per scendere in campo, non ha neanche avuto necessità, il buon cattolico, di fare mattina con uno sparuto drappello di amici a raccogliere e presentare decine di migliaia di firme.
Ma torniamo a Mordor, la Terra Oscura (è il paese di Sauron, una terra tetra, circondata da scurissime montagne, sempre coperta da nuvole e abitata dai servi dell’Oscuro Signore). Mi è sorto un dubbio. Non è che con Mordor si intende il Parlamento della Repubblica? Se così fosse troverei dunque offensivo, per chiunque conservi un residuo senso civico e di rispetto delle istituzioni, paragonare il luogo dell’esercizio della democrazia alla sede del Male Assoluto. O forse Mordor è invece l’aggregazione politica cui il buon cattolico si accompagna? Colui che generosamente si spende per la #ripresavaloriale sceglie di inserirsi in un partito-Mordor, consapevole di esservi come un corpo sostanzialmente estraneo, sacrificando la propria limpida militanza nel consesso civile pur di disseminare nelle sedi istituzionali i (sacrosanti) valori non negoziabili. Chissà.
Volendo rimanere in tema, vale la pena notare che nel Signore degli Anelli infine Frodo – che appunto doveva recarsi a Mordor, in casa del Nemico, perché solo lì si sarebbe potuto distruggere l’Anello del potere – non adempie la missione di cui era stato investito: si incupisce, e lotta strenuamente con il cattivo e misero Gollum per non cedere l’Anello. A dispetto del buon hobbit che lo avrebbe voluto tutto per sé, l’Unico Anello infine precipita giù nella lava incandescente insieme a Gollum: e così Frodo, rientrato in sé, resta a contemplare la propria miseria. Complimenti a Tolkien per la profonda conoscenza dell’animo umano e per la grandissima, epica, bonaria, umile ironia del finale: nessuno salva il mondo, l’anello finisce distrutto “per caso” durante la colluttazione tra i due (lasciamoci ampie possibilità di discettazione sul nome da attribuire a questa apparente casualità: Provvidenza, ad esempio?). Frodo lo sa, Sam lo sa, non dimentichiamolo neanche noi.
Grande questa metafora: Frodo giunge dentro la casa del Male con l’intento di combatterlo e proprio lì, ora, davanti alla voragine del Monte Fato, scopre che Sauron ha già lentamente preso possesso del suo cuore. La verità è che Frodo non è diverso dal viscido Gollum. La concupiscenza li accomuna, non ci sono più i buoni e i cattivi come nei vecchi film americani. Non c’è il punto della trama in cui “arrivano i nostri!”. Solo esseri feriti, persone non all’altezza dei propri desideri più belli, bisognose di autoaffermazione più che di servire. Questo siamo, tutti. E quando ci accorgiamo che Mordor è dentro di noi, allora ci rendiamo conto che non sarà la vittoria dell’una o dell’altra parte a far trionfare la Verità. L’Anello infine viene distrutto per fatalità, l’eroe buono e l’eroe negativo risultano entrambi determinanti per il raggiungimento dell’obiettivo. Insomma, siamo strumenti transeunti, non i detentori esclusivi del bene né i suoi definitivi inveratori (scusate il neologismo). Diceva Gramsci che La filosofia deve diventare politica per inverarsi, potremmo dire qualcosa di analogo anche per la fede.
Incassata questa “lesson learned” tolkieniana, penso all’atteggiamento con cui ci avviciniamo al voto, e mi riferisco in particolare a quei cattolici che davvero fanno una linea di demarcazione della questione sui valori non negoziabili. Toni epici, appunto, da fine del mondo qualora dovesse vincere la parte avversa. Il Male non è l’avversario politico, o meglio: l’avversario primo è dentro di noi, non fuori, e nessuno è mai totalmente cattivo tanto quanto non può essere totalmente buono. Il Bene trionfa, sì ne siamo convinti e confidenti, ma non certo solo grazie ai nostri progetti.
Che poi, quale progetto sarebbe accompagnarsi a “una piccola comunità di amici con i quali proteggerci a vicenda” quando in questa compagnia ci trovi tutto e il contrario di tutto? E’ stato già detto, ma giova ripeterlo qui: mentre un goccio d’aceto fa andare a male tutta la bottiglia di un buon vino, al contrario un goccio di vino buono in una bottiglia piena di aceto può solo perdersi.
Leggo “agganciamo la #ripresavaloriale”: ma veramente la vogliamo agganciare così ‘sta ripresa, alla sanfasò dicono i napoletani, con un paio di candidati che riteniamo “sappiano interpretare le istanze di milioni di famiglie” solo perché dotati di bollino Family Day? Tanto poco vale la piazza di san Giovanni e Circo Massimo? Tipo così:
– Facciamo l’accordo?
– Ok
– Tu che mi dai?
– Ti do i voti del Family Day
– Ok, io ti do un posto della Lega, facciamo un paio: uno a Crotone e uno a Brescia
– Uh, figo, affare fatto.
Benedetto Family Day: è servito (ahimè) a ben poco nei giorni cruciali della votazione sulle unioni civili, come possiamo illuderci che gli sia riconosciuto dopo due anni il peso politico che fu negato allora? Le esperienze precedenti non ci hanno proprio insegnato nulla. Ce ne sono, di onesti cattolici “entrati a Mordor” – cioè in Parlamento, se questo era il senso – e giunti a fine legislatura senza essere riusciti a modificare lo status quo.
I cattolici in politica che si trovavano nei partiti come Pd, M5S e Forza Italia avevano la fedeltà dell’appartenenza partitica come dominante, rispetto ai valori del Vangelo, pena la non ricandidatura.
Lo ha detto un cattolico, una brava persona veramente, nel suo personale bilancio di cinque anni di legislatura: non si ricandiderà perché «sarebbe un tentare di ripetere quello che con amarezza non sono riuscito a raggiungere». Che io sappia è l’unico, gli altri invece – affezionati alla lotta vana o alla poltrona, fa lo stesso – ci riprovano: stessa gente, stesse alleanze, appena qualche ritocco ai simboli di partito, tanto per dare l’Idea della novità.
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