In un’epoca in cui taluni sostengono che il riconoscimento del ruolo delle donne nella Chiesa dovrebbe passare dall’estensione del Sacramento delll’Ordine anche ad esse, seguendo l’esempio di diverse denominazioni protestanti (sebbene, a seguito di tale scelta, non siano stati conseguiti i risultati sperati in termini di aumento delle vocazioni e di pratica religiosa, riscontrando al contrario una progressiva ed inesorabile secolarizzazione delle stesse confessioni riformate), può essere utile ricordare una figura di donna che, vissuta in un’epoca tradizionalmente ed ideologicamente descritta come ostile al genio femminile ed al ruolo sociale della donna, si dimostrò capace di fondare, con le sue sole forze, un’istituzione religiosa di carità della quale divenne superiora nonché accorta ed esperta amministratrice, coniugando religiosità ed anelito mistico con indubbie doti che oggi non si esiterebbe a definire imprenditoriali, senza mai incontrare opposizioni all’opera intrapresa con convinzione e tenacia, anzi ottenendo la stima e il sostegno dei potenti del suo tempo. Questa vicenda, così come molte altre ben più celebri ed importanti (da Santa Caterina a Santa Chiara, da Matilde di Canossa a Santa Ildegarda di Bingen), conferma come la Chiesa medievale, lungi da certe lugubri quanto faziose rappresentazioni volte a trasmettere un’immagine di sprezzante avversione nei confronti delle donne, fosse pronta a sostenere e valorizzare le intuizioni provenienti da quelle coraggiose ed intraprendenti cattoliche che, mosse da amore per il Signore e da spirito di carità, fossero desiderose di impegnarsi attivamente nella vita della Chiesa, senza per questo cedere a derive perniciose quali il “femminismo” e la “clericalizzazione delle donne” da cui Papa Francesco ha più volte messo in guardia come una distorsione che finisce per penalizzare piuttosto che promuovere il ruolo delle donne nella Chiesa. Tali avvenimenti, che ebbero per protagonista Guarisca Arrigoni, si inseriscono in un contesto locale, tra le valli dell’odierno lecchese e Milano, ma forse proprio per questo consentono di comprendere come per una donna fosse possibile emergere anche in piccoli centri, assurgendo a punto di riferimento di una comunità sociale ed ecclesiale e realizzando pienamente la propria vocazione di cristiana e di donna all’interno della Chiesa.
Guarisca Arrigoni nacque nel 1382 a Barzio, amena località al confine tra la Valsassina e e la Val Taleggio, terzogenita del nobile Beltramo, discendente di Orlando Arrigoni di Vedeseta, capo ghibellino della valle. Fin da ragazza mostrò una particolare attenzione per la cura e l’assistenza dei poveri e dei diseredati. Animata da fede profonda e da spirito di carità evangelica, decise di dedicare la sua vita al servizio di Dio e del prossimo e, a tal fine, progettò di aprire un “hospitale” sul colle Cantello, a Concenedo (oggi frazione di Barzio ma all’epoca facente parte del confinante comune di Cremeno), che sorgeva nel mezzo della “pianura” valsassinese denominata Squadra del Consiglio, circondato da prati e boschi.
All’inizio del ‘400 su questo colle vi erano solo una piccola casa ed una chiesa dedicata a Santa Maria Assunta. Guarisca si risolse a fare del Cantello il luogo in cui avrebbe fondato un istituto formato da pie donne, nubili e vedove, affinché assistessero i malati, i poveri ed i pellegrini che venivano ad albergarvi. Ella desiderava costituire quello che oggi potrebbe essere una via mediana tra un ospedale ed un ricovero per forestieri e poveri, affidando ad un sacerdote la direzione spirituale dell’istituto e dell’oratorio da costruire accanto ad esso. A tale scopo Guarisca, allora venticinquenne, acquistò i terreni sulla sommità del Cantello intorno alla chiesetta di Santa Maria e nel 1407 diede inizio alla costruzione del fabbricato. Il padre ed i parenti, importanti esponenti locali della fazione ghibellina, non si opposero all’iniziativa della giovane così fervente, sostenendo i suoi sforzi fin dal principio. Desiderando ottenere l’appoggio della Chiesa alla sua iniziativa, Guarisca, per il tramite del suo parente Giacomo vescovo di Lodi e del parroco di Cremeno, rivolse una supplica a Gregorio XII in cui domandava al Pontefice di degnarsi di incoraggiare l’opera intrapresa dando ad essa il suo sostegno morale. La risposta positiva del Papa arrivò a Guarisca con una lettera, datata 10 febbraio1407, del cardinale Pietro Filargo, arcivescovo di Milano. Tale lettera fu successivamente inserita negli Statuti della Valle per la sua rilevanza.
Pietro per divina misericordia cardinale e prete di Santa Romana Chiesa, del titolo dei Dodici Apostoli, e legato della Sede Apostolica nelle province di Aquileia, Grado, Milano e Genova saluta tutti i fedeli che leggeranno la presente lettera ed augura vera carità nel Signore.Il memoriale a noi presentato, non è molto tempo, in nome della diletta Guarisca Arrigoni della Valsassina, conteneva la notizia che ella, mossa da spirito di devozione verso s. Antonio confessore, desiderava far costruire un Ospedale presso la chiesa di S. Maria del monte di Cremeno, giurisdizione di Valsàssina e diocesi di Milano, per accogliervi i poveri ivi abitanti privi di casa, e i forestieri che passano di là; e questo desidera sia edificato con il prezzo de’ beni a lei benignamente concessi da Dio e di altri lasciti a questo scopo. Ella perciò ci ha umilmente pregato di concedere il permesso di fare le cose predette. Noi, dunque, dando benigno assenso alle ricordate istanze, senza violare il diritto di alcuno, con la piena e libera autorità di cui godiamo concediamo alla detta Guarisca la facoltà di edificare e fondare detto ospedale. Affinché i fedeli contribuiscano alla costruzione del predetto ospedale con l’aiuto della loro carità, noi, confidando nella misericordia di Dio e nei meriti dei santi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti coloro che veramente pentiti e confessati daranno aiuto per costruire e mantenere quell’ospedale, col tenore della presente lettera concediamo cento giorni di indulgenza.Data a Milano il 10 febbraio dell’anno secondo del pontificato del Santissimo in Cristo Padre Gregorio Signor nostro per divina provvidenza Papa duodecimo.
I valligiani, fedeli alla famiglia di Guarisca ed ammirati dalla fede della giovane, accolsero l’appello. Guarisca stessa raccontò che tutti videro l’utilità che da tale impresa poteva scaturire per i poveri; grazie al sostegno dell’Arcivescovo furono raccolte donazioni considerevoli e molta gente accorse a contribuire materialmente all’edificazione dell’hospitale. In poco più di un anno, prima della fine del 1408, non solo la costruzione dell’edificio e dell’annesso oratorio dedicato a Sant’Antonio abate fu portata a termine ma l’Hospitale del Cantello potè cominciare anche la sua attività, contando inizialmente su una ventina di posti. Una volta completata la costruzione, Guarisca provvide a dotarla di tutti quegli elementi che potevano rendere il luogo confortevole e funzionale alle esigenze dei suoi ospiti. Con scelte all’avanguardia per quei tempi decise di separare gli ambienti destinati ai pellegrini ed ai poveri da quelli dedicati all’assistenza degli ammalati e dotò ogni letto di coperte di lana. Scelse personalmente cinque donne, di provata pietà e di nobili natali, desiderose di santificarsi nell’esercizio della carità verso il prossimo, affinché la assistessero nella direzione e nella amministrazione dell’hospitale. Guarisca chiamò “Consortium” tale piccola comunità di laiche e stabilì che vi potessero essere ammesse solo donne di provata virtù e devozione, escludendo quelle di cattiva fama o di misera condizione. Fino a quando risiedette al Cantello, fu Guarisca ad occuparsi personalmente dell’amministrazione dei beni e della gestione della sua opera, affidando al parroco di Cremeno la cura spirituale dell’hospitale. Di tale istituto potevano usufruire non solo gli abitanti della Valsassina ma anche quelli delle terre vicine che, scendendo nella valle, trovavano un luogo di riposo e ristoro. All’inizio del XV secolo una donna aveva così fondato una delle più antiche istituzioni di carità della Lombardia, guidata da un autentico spirito di compassione verso i sofferenti, gli infelici e i bisognosi. Questo asilo creato da Guarisca in vetta al Cantello era destinato a trasformarsi, nel secolo successivo, nell’unico monastero della Valsassina. In tutta la regione si diffuse la fama di Guarisca e del “suo” Cantello, in cui i bisognosi e gli ammalati venivano trattati con pietà e rispetto.
Dopo una ventina d’anni alla guida dell’Hospitale, all’inizio del 1429, l’Arrigoni, pensando che la sua opera fosse ormai ben avviata e potesse procedere anche senza bisogno della sua presenza fisica, maturò la decisione di lasciare il Consortium e di ritirarsi in un monastero di clausura per dedicarsi solo alla contemplazione ed alla preghiera. Quando manifestò questi intendimenti alle sue consorelle, esse furono molto turbate ed addolorate da tale decisione. Abituate a vedere in Guarisca una buona superiora, un modello di santità ed una guida sicura, esse non si rassegnarono al distacco e tentarono di dissuaderla.
Precedentemente, il 23 aprile 1428, Guarisca aveva disposto le sue ultime volontà a Milano, ove si trovava non in qualità di monaca ma come laica ritirata a vita penitente senza avere emesso alcun voto solenne. L’avere fatto testamento sembrerebbe confermare che pensasse di ritirarsi a vita monastica e, di conseguenza, si preparasse al grande passo rinunciando ai beni terreni per dedicarsi completamente alle cose spirituali. Alla fine però decise di posticipare il suo definitivo ritiro, occupandosi del Cantello ancora per qualche tempo al fine di garantire una transizione “morbida”. La sua comunità, infatti, era cresciuta, il Consortium aveva superato la dozzina di membri e il Cantello poteva ormai garantire assistenza a svariate decine di bisognosi. Dopo qualche anno, nel 1436, Guarisca decise di ritirarsi in clausura in una cella situata nel cenobio della chiesa di Sant’Antonio Abate a Porta Romana a Milano, edificato e retto dall’Ordine degli Antoniani, al quale era annesso un ospedale gestito dai religiosi. Lo afferma lei stessa nelle prime righe del suo nuovo testamento, redatto il 23 agosto del medesimo anno:
Nel nome di Dio, io Guarisca degli Arrigoni di Barzio, eremita, figlia del signore Beltramo, un tempo abitante presso la Chiesa di S. Maria al Cantello di Concenedo nella squadra del Consiglio, Pieve di Valsassina e ducato di Milano, ed ora vivente per mia decisione in una cella della chiesa di Sant’Antonio che si trova a Porta Romana nella parrocchia di San Nazaro in Brolio…
Pertanto la sua consacrazione al Signore fu rimandata fino al 1436. Questa dovette avvenire nel mese di luglio/agosto del 1436 o poco prima, come si può dedurre da alcune parole della bolla dell’arcivescovo di Milano Francesco Piccolpasso, la quale reca la data del 12 agosto: «[…] poiché, come era scritto nella petizione presentata, or non è molto, dalla diletta in Cristo Guarisca Arrigoni, or ora vivente in clausura nella chiesa di S. Antonio in Milano…».
Dunque Guarisca, quando pensò di lasciare il Cantello per dedicarsi a vita contemplativa, aveva circa 45 anni, un’età abbastanza avanzata per l’epoca. L’affinità di intenti della sua opera del Cantello con quella dei padri antoniani di Milano, oltre che la devozione per Sant’Antonio, potrebbero avere mosso Guarisca verso di loro, entrando in rapporti con il monastero che, non potendola logicamente accettare come religiosa, le offrì la possibilità di vivere da monaca di clausura presso la chiesa del convento di Sant’Antonio. Il testamento redatto a Milano il 23 agosto 1436 contiene alcune rilevanti informazioni sulla fondazione e sull’organizzazione dell’hospitale. In esso infatti Guarisca scrisse:
Io testatrice feci edificare e costruire un hospitale situato presso la chiesa di Santa Maria al Cantello, vicino al villaggio di Concenedo, parte con i miei beni e parte con elemosine ed opere di carità a me fatte; esso fu posto sotto il nome e la protezione della Santa ed individua Trinità, della beata e gloriosa Vergi ne Maria, dei santi apostoli Pietro e Paolo e del beato Antonio eremita, abate e confessore, in favore dei pellegrini, dei poveri, degli infermi e dei miserabili ed anche perché Iddio conceda la pace vera alla Chiesa di Roma; il quale Hospitale, con l’aiuto di Dio, desidero che venga ingrandito, duri a lungo e sia ben governato.
Dopo avere disposto alcuni legati a favore dei suoi fratelli, scrive:
Di tutti gli altri miei beni ho nominato e nomino miei eredi universali la Comunità e gli uomini di tutta la Valsassina presenti e futuri; sono qui compresi anche l‘hospitale ed i poveri che possono capitarvi e dimorarvi secondo la capacità del medesimo e i redditi da me lasciati agli stessi.
Pianificando il suo ritiro, ai primi di luglio del 1436 Guarisca aveva scritto al duca di Milano Filippo Maria Visconti (stralci della lettera inviata sono riportati nel decreto visconteo) perché acconsentisse a che padre Guido da Piossasco, frate antoniano che Guarisca aveva conosciuto nel monastero di Sant’Antonio e voleva nominare cappellano ed amministratore dell’Hospitale del Cantello, potesse entrare ed uscire liberamente da Milano per curare gli interessi della comunità ed a lei riferire sull’andamento dell’Hospitale.
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