Lux fulgebat super nos
Tra i pochi che all’epoca di quella lettera avevano conosciuto la vicenda di Eärendil per come esisteva (nella metà degli anni ’60) c’era Clyde S. Kilby, un ricercatore in letteratura dell’Wheaton College nell’Illinois che dopo l’incontro con il professore dell’Oxford University sarà il primo a promuovere studi sulla letteratura degli Inklings. Tolkien accettò l’offerta del collega americano di aiutarlo a lavorare sulla preparazione degli scritti per la pubblicazione di Il Silmarillion alla fine del ’65 e nell’estate del 1966 Kilby soggiornò a poche centinaia di metri dai Tolkien, aiutando alacremente l’amico Inglese su testi che non osava nemmeno sognare nella loro vastità e complessità (e che presto capì essere pressoché impossibile portarli alle stampe). Delle conversazioni che ebbero in quei mesi Kilby fa memoria nel suo libro Tolkien and the Silmarilion1Pubblicato nel 1976, un anno prima di Il Silmarillion, avrebbe dovuto contenere un capitolo di sintesi del compendio mitologico che venne escluso per richiesta di Christopher Tolkien. Sarà poi pubblicato nel 2002 sulla rivista fondata dallo stesso Kilby, SEVEN, dedicata agli Inklings.. Oggi questo libro, che presenta testimonianze inestimabili di Tolkien e, ahinoi!, ancora troppo deliberatamente ignorate da molti studiosi di Tolkien, anche dei migliori (a maggior ragione perché molte di essi hanno trovato conferma in pubblicazioni successive). Tra di esse è significativo, per riprendere, le nostre premesse, il suo commento su uno studio di un professore di Economia della Newcastle University che rispondeva alle critiche comparse in 10 anni in varie recensioni a Il Signore degli Anelli, imputando la poca comprensione dei critici (spesso feroci) alla loro mancanza di familiarità con la Bibbia e in particolare con l’esegesi della Redenzione. Così concludeva l’autore:
In ogni punto, le dinamiche umane di Il Signore degli Anelli sono disegnate dalla tradizione ascritta all’attività redentrice di Cristo; e una volta questa è percepita, è aperta la via per un approccio critico informato per l’opera in questione2Il professore è Barry Gordon della Newcastle University, di cui Kilby ricorda male la provenienza (indicandolo in cattedra alla North Wales), scomparso nel 1994. Apparentemente da un mail scritta nel 2008 né la moglie Moira né gli archivisti a Newcastle avevano trovato prove del fatto che il marito avesse inviato a Tolkien l’articolo, nonostante il libro di Kilby sia di più che 32 anni anteriore..
Secondo Tolkien molto di quanto scritto era vero, se si eccettuava l’impressione dello “schema” generale. Nemmeno a dirlo, lo schema era il triplice ufficio di Cristo che abbiamo escluso in apertura (l’articolo titola infatti Kingship, Priesthood, and Prophecy in The Lord of the Rings). Dalle memorie di Kilby emerge esplicitamente che il ruolo della Redenzione è centrale nella poetica di Tolkien, così come aveva dichiarato per esempio nella costruzione concettuale dell’eucatastrofe in On Fairy-Stories; un effetto estetico che persiste nella mitologia e che deriva da un vissuto devozionale quanto più affermato tanto più legato alla narrazione di Maria, perciò esaltato nel vangelo lucano (da cui proviene anche l’antifona). Ricorda Kilby:
Davvero Tolkien aveva una speciale venerazione per la Vergine Maria […]. Era commosso dalla degradazione della nascita di Cristo in una stalla con la sua sporcizia, finanche col letame, lo vedeva come un simbolo della reale natura delle cose sacre in un mondo caduto. Parlava del suo speciale riguardo al Libro di Luca, perché l’autore aveva inserito così tanto sulle donne.
Vedere gli stessi termini nella Tana di Shelob, avvolta nella più impenetrabile oscurità e pregna del fetore della decomposizione delle carcasse di cui il ragno si cibava, in cui irrompe la luce della stella per dono di una delle figure che più sono debitrici all’estetica mariana, è ricadere nell’errore di attribuire un valore cristico all’invocazione di Frodo. Seppur in questo caso lui ne sarebbe il salvato, anziché il salvatore, in realtà non si verifica salvezza alcuna. Non è sufficiente la luce della stella, né la speranza da essa infusa a sottrarre il Portatore dal pericolo che lo insidia (tanto che, credendolo morto, Sam inizialmente si trova costretto ad abbandonarlo prendendo il fardello). Ma la dinamica di degradazione, il simbolismo (meglio, la simbologia) anziché il simbolo, la traccia analogica è visibile, illuminata; la sua radice anche.
Quasi 2 anni fa è stata divulgata (illecitamente) la poesia inedita Noel, che Tolkien scrisse come contributo al giornalino della scuola di Nostra Signora di Abingdon3E che, non osando pensare trattarsi di un illecito, tradussi prontamente per poi ritirare analisi e traduzione appena resomi conto delle azioni intraprese dagli aventi diritto.. Si tratta di un unicum nella produzione tolkieniana proprio perché affronta direttamente un tema cristiano, la Natività di Gesù. Non posso darne una descrizione completa, ma è notevole la scelta di presentare la nascita di Cristo sulla scala cosmica come una sintesi tra il Rorate cœli desuper (nella liturgia dell’ultima domenica di Avvento) in cui il cielo è “punto” e stilla il Redentore e il simbolo astro nascente, che è proprio la luce “remota” sgorgata dalla puntura. Il cielo in cui le stelle erano fuggite e che le nubi avevano ricoperto, così come la terra in cui una personificazione dell’inverno regnava incontrastata, sono liberati dal giogo e accolgono ora la vera luce del Bambino. Cielo e terra si accordano in un canto di lode in cui la Vergine è prima solista. Nell’immagine della stella sorta all’improvviso ho creduto di vedere la stessa dinamica, degradata e analogata di una delle più potenti di Il Signore degli Anelli che sorprende Sam e Frodo verso la fine della loro missione:
Sopra l’Ephel Dúath, a occidente, il cielo della notte era ancora pallido. E lì Sam, sbirciando fra i lembi di nuvole che sovrastavano un’alta vetta, vide una stella bianca scintillare all’improvviso. Lo splendore gli penetrò nell’anima, e la speranza nacque di nuovo in lui. Come un limpido e freddo baleno passò nella sua mente il pensiero che l’Ombra non era in fin dei conti che una piccola cosa passeggera: al di là di essa vi erano eterna luce e splendida bellezza. Il suo canto nella Torre era stato una sfida più che una vera e propria speranza, perché pensava a se stesso. Ora, per un attimo, il suo destino e persino quello del suo padrone smisero di tormentarlo. Tornò strisciando fra i rovi e si sdraiò accanto a Frodo, e dimenticando ogni timore si lasciò cadere in un profondo sonno tranquillo4Il Signore degli Anelli, Libro VI, cap.II, La Terra d’Ombra..
Frodo partecipa di una storia aperta al Natale? In senso filologico prefigura la Redenzione, in senso analogico lo pretende (in un futuro quanto più lontano è possibile immaginare, perché nelle lingue il ricordo di Frodo ed Eärendil si perda). È così un’antifona pagana all’Incarnazione, un’antifona in armonia con quella che avrebbero cantato i monaci anglosassoni, cioè cattolica. Ebbene Tolkien, rivolgendo in forma privata il proprio auguri di Natale a Clyde Kilby (nel dicembre precedente alla loro estate condivisa sul Silmarillion), incluse il suo Eärendil, non più l’earendel antico-inglese.
Spero che questa lettera ti arrivi per o intorno a Natale.
“Lux fulgebat super nos”.* “Eala Eärendil engla beorhtast ofer middangeard monnum sended” (Parole d’estasi da cui in ultimo emerse la mia intera mitologia)»5*Splendea la Luce su noi. Lettera del 18 dicembre 1965 citata in Kilby 1976.
Forse non avrebbe osato se avesse pensato che questa lettera sarebbe poi stata resa pubblica. Ma anche il “fulgebat”, al tempo imperfetto, è eloquente, in quanto variante al passato dell’introito alla seconda messa di Natale, che è invece «Lux fulgebit hodie super nos, quia natus est nobis Dominus». E se l’accoppiamento con Eärendil richiede il passato, per Frodo il futuro può ben essere impiegato. Tornando alla semplice data da cui eravamo partiti possiamo notare un particolare che forse inizialmente ci era sfuggito: Frodo parte al crepuscolo, cioè, nel tempo liturgico, quando il giorno di Natale è appena finito ed il nuovo tempo avviato.
Anche noi, che sappiamo che non vi raggiunge per il giorno, ma per il tempo sì, vi mandiamo il nostro augurio.
Vi visiti la Gioia. Nai Yésus lye mánata!
Note
↑1 | Pubblicato nel 1976, un anno prima di Il Silmarillion, avrebbe dovuto contenere un capitolo di sintesi del compendio mitologico che venne escluso per richiesta di Christopher Tolkien. Sarà poi pubblicato nel 2002 sulla rivista fondata dallo stesso Kilby, SEVEN, dedicata agli Inklings. |
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↑2 | Il professore è Barry Gordon della Newcastle University, di cui Kilby ricorda male la provenienza (indicandolo in cattedra alla North Wales), scomparso nel 1994. Apparentemente da un mail scritta nel 2008 né la moglie Moira né gli archivisti a Newcastle avevano trovato prove del fatto che il marito avesse inviato a Tolkien l’articolo, nonostante il libro di Kilby sia di più che 32 anni anteriore. |
↑3 | E che, non osando pensare trattarsi di un illecito, tradussi prontamente per poi ritirare analisi e traduzione appena resomi conto delle azioni intraprese dagli aventi diritto. |
↑4 | Il Signore degli Anelli, Libro VI, cap.II, La Terra d’Ombra. |
↑5 | *Splendea la Luce su noi. Lettera del 18 dicembre 1965 citata in Kilby 1976. |
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