Per chi sperava che la fine della legislatura ci liberasse dalla piaga del boldrinismo che ha aperto un nuovo filone di satira politica, declinando al femminile ogni parola, ho una brutta notizia: la presidentA si candida nella lista con Grasso e quindi ci appesterà per tutta la campagna elettorale con le sue espressioni rugosamente corrucciate in una piega di perenne schifo e probabilmente ce la ritroveremo in parlamento perché, con le liste bloccate, anche non dovesse racimolare che poche decine di voti, finirà dove la vogliono far finire.
È partita subito alla grande, sottolineando che il neo partito si chiama “libri e uguali” ma anche “libere e uguali” e poi si è autodefinita una presidentA della camera imparziale. Mi domando come facciano a restare seri a certe convention di partito.
Poi la chicca:
Noi [donne ndr] dobbiamo esigere rispetto. Noi siamo la maggioranza. Io dico alle donne: andiamo avanti insieme e teniamoci per mano. Feminism è stata la parola dell’anno in America quest’anno. Quando lo sarà anche da noi?
Se la parola dell’anno fa la fine della reginetta di Miss Italia che non si fila poi più nessuno, potrei pure essere d’accordo, basta che la smetta con questo piagnisteo radical chic, che pretende per le donne la proclamazione di una superiorità morale sull’uomo con una prepotenza inaudita, esercitata pure sulla povera innocente lingua italiana.
Questo femminismo da bandierina politica mi dà la nausea perché io sono una femminista radicale per davvero e so che la peculiarità femminile ci colloca non al di sopra dell’uomo, ma in un posto completamente diverso, che la Boldrini non ha nemmeno mai visto. Forse è per la nostalgia innata per questo sconosciuto luogo delle donne che la signora raspa con tanto accanimento la terra sotto la recinzione, per costruire pertugi da cui passare, senza capire che dalla gabbia si fugge solo volando via, verso l’alto.
Il padrone di casa di questo blog, vista la mia tendenza al volo e l’intuizione insolente di poter raggiungere il cuore spirituale del femminismo, mi ha consigliato un libro ardito, che ho prontamente acquistato: “Il Dio delle donne”, di Luisa Muraro. Non è un testo nuovo, è del 2003, ma è moderno lo stesso, perfettamente in tema coi tempi e decisamente in antitesi al boldrinismo.
Alla Muraro non interessano gli uomini: il suo femminismo non si focalizza nel creare contrapposizioni o esaltare differenze, bensì esso semplicemente osserva le donne per carpirne in silenzio e con garbo il segreto, che poi magari potranno leggere anche gli uomini, se saranno in grado di capire beninteso.
Questo libro parla della mistica femminile, o teologia in lingua materna, cioè quella corrente di pensiero che prese avvio alla fine del Medioevo da parte di alcune donne che avevano con Dio un rapporto di straordinaria confidenza e suprema libertà. L’impresa di quelle audaci pensatrici venne presto isolata nell’eccezionalità.
Tra le figure da cui ha preso a prestito il pensiero mistico, ci sono Hadewijch di Nivelles, mistica fiamminga, e Matilde di Magdeburgo, che erano entrambe “Beghine”, cioè donne laiche di grande personalità, che si facevano carico di opere di carità e di assistenza. Il fatto che questo termine abbia poi preso un carattere quasi simbolo di un pietismo superstizioso fa parte di quelle sovversioni di significato che la storia ben conosce. Poi nel libro si parla di Margherita Porete, che incappò nelle maglie dell’Inquisizione, e dopo un anno e mezzo di prigione, a Parigi, si rifiutò di ritrattare, fu quindi dichiarata eretica e relapsa – cioè recidiva – e bruciata sul rogo nel 1310.
Per un libro che ha dieci pagine di bibliografia, comunque, si parla davvero poco dei testi che ne hanno decretato l’ispirazione: la Muraro ha rielaborato il pensiero della teologia in lingua materna come l’ape che succhia il nettare dei fiori per farne qualcosa di completamente nuovo, il miele, dopo aver digerito il tutto.
Ecco, questo libro è il frutto nobile di una digestione. Lo si assapora cogliendone le fragranze sottese, senza però capire con chiarezza di che fiori si tratti, tanto il dolce di questo nuovo prodotto si pone in primo piano, a saziare quell’atavica fame di comprensione del mistero divino, intrecciato col mistero materno.
Dice la scrittrice nell’introduzione:
Nel nostro tipo di società ci sono contesti in cui si parla ancora di Dio e altri in cui no, ma non fa grande differenza il dove ti capita di stare perché in ogni caso, che sia in piazza Affari o nel duomo di Milano, l’essenziale sono i passaggi che fanno vivere la parola. Detto alla buona: Dio vuole circolare dovunque, anzi ne ha bisogno, in questa come in alcune altre cose non essendo diverso dal denaro.
In effetti Gesù stesso ha messo in contrapposizione il dio denaro (mammona) con Dio Padre, chiarendo agli interlocutori che non si possono servire entrambi. Essi vogliono essere la misura delle cose, il metro di valutazione di ogni bene e lo scopo spicciolo dei gesti di ciascuno; Dio e il denaro crescono di importanza e valore nella loro diffusione ed è ricco chi più ne possiede. Questa ricchezza permette di entrare in luoghi superiori per importanza e potere, ma il denaro ha da offrire solo la potenza del mondo, mentre Dio dona la sovrabbondanza del Regno dei Cieli.
Le scrittrici mistiche sono ricchissime di Regno dei Cieli e in queste altezze si muovono al di fuori del pensiero filosofico e logico, lavorando per togliere di mezzo ed aprire passaggi, disfare costruzioni senza sostituire il mondo disfatto con prodotti del pensiero.
Non sono costruttive. La ricerca che non disfa, la ricerca costruttiva, tende ad ingombrare così tanto la mente con i suoi oggetti e i suoi metodi, che non ci spunta più una vera domanda. Con vera domanda intendo: una domanda la cui risposta non dipende da niente che io ho e che io so. Una vera domanda chiama l’esistenza di altro (o è chiamata dall’esistenza di altro).
Di’ cosa ne pensi