Ridano le jene, per le DAT: ma il popolo di cosa esulta?

Mi ricordo di aver scritto anche io qualcosa, mesi fa, dopo il primo voto del ddl. Era su Aleteia, e richiamavo anzitutto le cifre del mercato della morte, che i Radicali vanno ad alimentare mentre sgravano il welfare scricchiolante (due piccioni con una bara); poi enunciavo anche io le Disposizioni Anticipate di Trattamento che vorrei per me, se proprio dovessi trovarmi in condizione di non poter comunicare coi miei cari:

È questo contesto di malinconica ironia che ha prodotto nei giorni scorsi testi che, scritti un po’ per gioco e un po’ sul serio, un po’ per protesta e un po’ per testimonianza, veicolano la formulazione di alcune “DAT cattoliche”. Ne presi visione giorni fa dalla mia amica Beatrice, che a sua volta ringraziava per l’ispirazione Angelo, nostro amico comune. Condivisi anch’io quelle righe, nello spirito che ho descritto poc’anzi, e vi ho aggiunto qualche considerazione personale. Fino a stamattina ho visto quel testo rimbalzare sui social di profilo in profilo e ne ho ricavato l’impressione che stia diventando virale. Mi piace allora riportarlo qui, per aggiungere un paio di ultime chiose.

Dopo il voto di oggi alla Camera dei Deputati dispongo la mia DAT Dichiarazione Anticipata Trattamento:

«Ai miei parenti, ai signori medici e a coloro che mi assisteranno nel periodo finale della mia vita:

  1. Se mi trovo in pericolo di vita, per incidente o per malattia, chiedo di chiamare al più presto un sacerdote cattolico che mi possa dare i sacramenti (Unzione degli infermi e, se è possibile, Confessione e Comunione).
  2. Non si abbia timore di spaventarmi chiamando un prete, perché riceva l’unzione degli infermi; so di che cosa si tratta.
  3. Non voglio nessun accanimento terapeutico, ma solo la normale assistenza, compresa l’alimentazione e l’idratazione, perché anche Gesù ha voluto un sorso d’acqua prima di morire.
  4. In caso di forti sofferenze, chiedo che mi siano somministrate tutte le cure palliative e sedative, ma non la “sedazione profonda”, perché questa viene data sapendo e volendo che il paziente non si risvegli più. 
  5. Nel momento dell’agonia, chiedo che siano accanto a me persone credenti, la mia famiglia, mio marito, i miei figli, i miei parenti, i miei amici che mi aiutino a sopportare la sofferenza col loro affetto, mi accompagnino con la loro preghiera, e mi raccomandino a san Giuseppe e alla Madonna. Ma anche i miei amici non credenti che mi vogliono bene e a cui voglio bene.
  6. Chiedo fin d’ora a Dio la grazia di una santa morte, e che Dio stesso venga glorificato nella mia morte. 
    Queste sono le mie volontà, quelle di una cristiana del terzo millennio. Amen».

Ho notato qualche minima variante, nelle versioni che mi è capitato di osservare in circolazione, ma nulla di sostanziale. Da parte mia aggiunsi:

che vorrei ogni giorno, vicino a me, la recita della Liturgia delle Ore,
del Santo Rosario,
degli atti di fede, di speranza e di amore dopo le Lodi (niente prima dell’Invitatorio),
del Credo (prima di Compieta).
Dopo Compieta solo un’antifona mariana.
La Messa (almeno la domenica).
Un’esposizione del Santissimo (almeno una volta al mese).

A fronte di questo, due considerazioni venivano addotte da altri utenti dei social network, e poiché anch’esse esprimevano la loro parte di ragionevolezza mi sembra opportuno riportarle. Un amico ha infatti osservato:

C’è il rischio che a qualcuno vengano in mente le “Dat buone”.

E naturalmente dal punto di vista etico è impensabile (e parimenti irricevibile) la pretesa di disporre della propria vita come di un bene proprio fra altri. Un’amica, che mi è sempre cara per la profondità delle riflessioni, osservava da parte sua:

Anche io vorrei un prete al mio capezzale e vorrei anche 5000 beghine che pregano (perché è certo che servirà tutta la spinta propulsiva possibile per mandare in paradiso me), ma ci sarà chi avrò invitato quando avevo voce. Così il mio prete verrà, se andrò a messa tutte le domeniche: non ha bisogno di leggere le mie dat per sapere che la sua presenza è attesa e desiderata. Avrò accanto gli amici che sarò stata capace di tenermi nella vita, con un atteggiamento aperto e disponibile (ahimè, chi resterà visto il mio caratteraccio?). […] Ben più preoccupante è la prospettiva di una morte improvvisa che non quella di una morte lenta. Io, per me, mi auguro che un lungo dolore venga a purificare la mia anima, prima di presentarla al cospetto dell’Altissimo. E parte della purificazione sarà accettare muti ciò che altri decideranno per me.

Tutto così vero da non necessitare commento. Mi pongo solo un’ultima domanda, soprattutto rileggendo il testo di Angelo e Beatrice con la mia postilla (cui aggiungerei ancora che ogni sabato sera mi piacerebbe ascoltare uno dei quattro Vangeli, a rotazione, letto da cima a fondo, tutto d’un fiato): avrebbe un qualche senso trasformare una stanza d’ospedale in una cappella?

Mi rispondo: penso proprio di sì. Senza nulla togliere all’importanza della cappella in ogni nosocomio, a uno sguardo cristiano è chiaro come il sole che ogni lettino è molto più di una chiesa, è in certo modo un tabernacolo, dove realmente viene ospitata la presenza di Cristo, sofferente e abbandonato. Attorno a ogni tabernacolo, si sa, la Chiesa si raduna, come chiamata a raccolta (difatti la parola “chiesa”, dall’ebraico e dal greco, significa proprio “assemblea convocata”). Non sto esagerando, e non serve essere san Camillo De Lellis per vedere distintamente Cristo nei malati, specie in quelli gravi o completamente rimessi alle nostre volontà. Lo scriveva, parlando della figlia Françoise, il laicissimo e umanissimo Emmanuel Mounier, il 20 marzo 1940, in una lettera alla moglie Paulette:

Che senso avrebbe tutto questo se la nostra bambina fosse soltanto una carne malata, un po’ di vita dolorante, e non invece una bianca piccola ostia che ci supera tutti, un’immensità di mistero e di amore che ci abbaglierebbe se lo vedessimo faccia a faccia?

Uno scritto noto, certo, almeno in qualche contesto. Ma se Cristo ebbe a profetare che – quando nel Giudizio Universale dirà di aver “avuto fame” e di “aver avuto sete” – né i cattivi riconosceranno di averlo trascurato né i buoni di averlo curato, forse dobbiamo intendere che davvero molte cose stanno diversamente da come appaiono. Soprattutto per le fallaci leggi degli uomini.

E non riporto questo oggi per far finire “tutti i salmi in Gloria”: no, nel mondo cattolico (e anche nei vertici ecclesiastici) ci sono gravi responsabilità per quanto è accaduto in Parlamento – e ancora non abbiamo visto tutto… Se alle urne non accade un miracolo, la prossima legislatura ci regalerà l’eutanasia vera e propria, la distruzione delle scuole cattoliche e l’abolizione dell’8‰. A quel punto i Vescovi proveranno ad avere un sussulto, ma il popolo che li accompagnerà sarà allora così sparuto1Pastori, non potrete abbandonare il gregge quando si parla della loro vita e cercarlo quando saranno in gioco i vostri soldi… che correranno ai ripari cercando la riforma “alla tedesca”. Lì si aprirà un’amplissima crisi “lapsaria”, quando a migliaia e a decine di migliaia i cattolici correranno nelle sagrestie a fare formale atto di apostasia per non pagare la Kirchensteuer. Occhio, Vescovi, segnatevi queste parole: l’apice del trionfo dei Radicali, di questo passo, lo confezionerete voi.

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1 Pastori, non potrete abbandonare il gregge quando si parla della loro vita e cercarlo quando saranno in gioco i vostri soldi…
Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

1 commento

  1. «Oh, se l’anima riuscisse a capire che non si può giungere nel folto delle ricchezze e della sapienza di Dio, se non entrando dove più numerose sono le sofferenze di ogni genere riponendovi la sua consolazione e il suo desiderio! Come chi desidera veramente la sapienza divina, in primo luogo brama di entrare veramente nello spessore della croce!
    Per questo san Paolo ammoniva i discepoli di Efeso che non venissero meno nelle tribolazioni, ma stessero forti e radicati e fondati nella carità, e così potessero comprendere con tutti i santi quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza per essere ricolmi di tutta la pienezza di Dio (cfr. Ef 4, 17). Per accedere alle ricchezze della sapienza divina la porta è la croce. Si tratta di una porta stretta nella quale pochi desiderano entrare, mentre sono molti coloro che amano i diletti a cui si giunge per suo mezzo». (San Giovanni della Croce)

    Col fatto che son parole di tema religioso, ben pochi le leggono, ancora in meno le credono. Ma che un livello di sapienza, così alta da essere divina, sia accessibile solo attraverso la sofferenza, è cosa umanamente risaputa. In molti vorrebbero essere saggi senza mai soffrire, ma della loro sapienza si fa beffe la vita che al primo starnuto se li porta via.

Di’ cosa ne pensi