Un dono, un dipinto sempre più completo
Il nostro debito di gratitudine a Christopher Tolkien per averci spalancato la vastità e la profondità dell’opera del padre non è, non può e non dev’essere inferiore a quello che ci lega a J.R.R. Tolkien. Lui, Christopher che c’era in quella storia ancora prima di nascere al mondo, lui a cui quelle storie sono sempre appartenute tanto quanto al padre e per quanti anni dopo di lui! Per tutto quanto abbiamo visto, egli, altrettanto protagonista, non è meno autore del padre: da figlio, ha condiviso suo padre con ognuno di noi, donando al padre e a noi questa lunghissima, seconda metà della sua vita. Così, insieme ai curatori di una raccolta di saggi in suo onore ci sentiamo di esprimere la nostra gratitudine
A CHRISTOPHER TOLKIEN
per le sue fatiche e il suo servizio
– þridda sunu his fæder –
egli è, come il padre suo,
Ælfwine Wìdlást
“Amico degli Elfi il Lungi-Viandante”
ma per i medesimi
né lui né suo padre
sono più
Eriol
“Uno che sogna da solo”1Verlyn Flieger & Carl F. Hostetter, Tolkien’s Legendarium: Essays on “The History of Middle-Earth”, Greenwood Press 2000. Il navigatore Eriol nelle prime fasi della mitologia è colui che riscopre le Terre degli Elfi ad Ovest del Mare e le perdute storie delle loro imprese in anni lontani. Il personaggio si sviluppa nei decenni successivi in Ælfwine sempre, come tipico in Tolkien, esplorando il significato del proprio nome nella narrazione. L’incipit in Antico-Inglese significa “terzo figlio di suo padre” ed è quasi identico a quello usato da JRR Tolkien nelle lettere del 1944..
Così, riadattando l’allegoria autobiografica del padre nell’Albero in Foglia, di Niggle, possiamo spaziare lo sguardo su quel fondale intravisto tra le foglie più brillanti, un dipinto che si completa passando il pennello dal padre a figlio, a quattro mani, superando le preoccupazioni che colpirono J.R.R. Tolkien, il timore che la propria opera sarebbe sempre rimasta incompiuta.
Una storia va raccontata o non c’è alcuna storia, eppure sono le storie non raccontate le più commoventi. Credo che tu sia commosso da Celebrimbor perché trasmette un improvviso senso di eterne storie non raccontate: montagne viste in lontananza, impossibile scalarle, alberi distanti (come quelli di Niggle), che mai si raggiungeranno – o, se raggiunti, solo per diventare “alberi vicini” (tranne che in Paradiso o in Niggle’s Parish).”
– Lettera del 20 gennaio 1945 a Christopher.
Davanti a lui stava l’Albero, il suo Albero, bell’e finito. Se lo si poteva dire di un Albero, quello era vivo, con le foglie che si aprivano, i rami che crescevano e si piegavano nel vento che Niggle aveva così spesso sentito o immaginato, e che tanto spesso non era riuscito a rendere. Guardò l’Albero, e lentamente alzò le braccia e le allargò.
«È un dono!», esclamò. Intendeva riferirsi alla propria arte, ma insieme anche al risultato, e tuttavia la parola l’aveva usata in senso assolutamente letterale. Continuò a contemplare l’Albero. Tutte le foglie alle quali aveva lavorato erano là, come le aveva immaginate più che fatte; e altre ve n’erano, che erano soltanto germogliate nella sua mente, e molte che avrebbero potuto germogliare, se solo ne avesse avuto il tempo. Nulla stava scritto su di esse, erano solo squisite foglie, e tuttavia datate con altrettanta chiarezza di un calendario. Alcune delle più belle – e insieme gli esempi più caratteristici, più perfetti, dello stile di Niggle -, lo si vedeva, erano frutto di collaborazione con il signor Parish: impossibile spiegarselo altrimenti.
Gli uccelli nidificavano nell’Albero. Stupefacenti uccelli: come cantavano! Si accoppiavano, covavano,
mettevano le penne, volavano via cantando nella Foresta, e tutto sotto gli occhi di Niggle. Perché ora questi si avvedeva che c’era anche la Foresta, dilatantesi d’ambo i lati, estendentesi in distanza. Lontane, le montagne scintillavano.
Dopo un po’, Niggle si avviò alla Foresta, e lo fece non perché fosse tediato dall’Albero, ma perché gli pareva di averlo ormai perfettamente chiaro nella mente, ed era consapevole di esso e della sua crescita pur senza guardarlo. Mentre si allontanava, scoprì una cosa strana: la Foresta, ovviamente, era remota, eppure poteva avvicinarlesi, persino entrarvi, senza che essa perdesse quel suo particolare fascino. Mai gli era riuscito prima di entrare nella distanza senza trasformarla in semplici dintorni immediati. E questo aggiungeva considerevole piacere alla passeggiata in campagna perché, mentre procedeva, nuove distanze gli si spalancavano dinanzi, sicché si avevano distanze doppie, triple e quadruple, doppiamente, triplamente e quadruplamente incantevoli. Si poteva andare avanti e avanti, e avere un paese intero in un giardino o in un dipinto (se così si preferiva chiamarlo). Si poteva andare avanti e avanti, ma non forse per sempre. C’erano le montagne, sullo sfondo, e le montagne s’avvicinavano, assai lentamente. Non parevano appartenere al dipinto, o solo a guisa di connessione con qualcos’altro, il balenare, attraverso gli alberi, di alcunché di diverso, imo stadio successivo: un altro dipinto.
Niggle girovagava, ma non stava semplicemente oziando. Si guardava in giro con attenzione. L’Albero era finito ma non concluso – «Proprio il contrario di come era prima», pensò Niggle.”
– Foglia, di Niggle.
Ora che il suo dipinto è stato di molto completato (con le irraggiungibili montagne sullo sfondo), possiamo vedere come il dono è davvero iniziato con la vita di Christopher Tolkien (e la sua famiglia tutta), un dono anche per tutti noi. Prima d’oggi non potevamo dire quanto “fra breve” Christopher Tolkien avrebbe lasciato la storia, capivamo però che liberato ormai di tutte le incombenze che lo sottraevano dal dipinto cominciato dal padre, avrebbe potuto dedicare tutto il tempo che gli resta a dare altre, le ultime, pennellate. Ci rimaneva dunque da correggere il riferimento con cui avevamo cominciato, tornando al Frodo letterario, guardando a Christopher e alla sua famiglia:
Non vi era Hobbit in tutta la Contea che fosse curato con maggior premura. Quando tutte le riparazioni furono progettate e avviate, egli si organizzò una vita tranquilla, scrivendo molto e rivedendo tutti i suoi appunti2Il Signore degli Anelli, Libro VI, cap. IX I Porti Grigi. L’analogia tra JRR-Bilbo autore del Libro Rosso dei Confini Occidentali e Christopher-Frodo il suo compilatore, è parecchio fortunata nella critica..”
Ora sappiamo che Beren e Lúthien non è stato davvero l’ultimo libro di curatela dell’opera paterna, ma che altri ritocchi sono sopraggiunti. Riprendendo di nuovo la mia recensione su Aleteia:
Come abbiamo scoperto questa primavera, con l’annuncio dell’(in)atteso e desideratissimo libro «la supposizione, comunque, si è rivelata errata ed ora devo dire “Nel mio novantaquattresimo anno, La Caduta di Gondolin è (indubbiamente), l’ultima”.»
(Prefazione a La Caduta di Gondolin, p.9)In La Caduta di Gondolin si ha la certezza di essere alla fine di un grande viaggio, ed è davvero così; in realtà siamo tornati al punto di partenza, insieme a Tuor che canta per Eärendil di com’era cominciato il suo viaggio. Sono passati ottant’anni da quando i lettori di Lo Hobbit sentirono parlare di Gondolin dalla bocca di Elrond, quando dalle mani di Gandalf e Thorin esamina le spade dal bottino dei Troll (Elrond, figlio di Eärendil, riconosce il tesoro perduto del suo popolo): quei primi lettori non potevano immaginare cosa si celasse dietro il nome di Gondolin. Ne sono passati quaranta da quando la storia della Città dei Sette Nomi comparve in Il Silmarillion, senza che J.R.R. Tolkien la potesse vedere stampato in vita. Ma di Tuor e Gondolin fu scritto più di 100 anni fa, prima di ogni altra storia, prima che, come ricorda Christopher, ci fossero una Seconda e una Terza Era (o una Prima), prima degli Anelli, prima degli Hobbit, prima che immaginasse la Terra-di-mezzo stessa e i Silmaril: al principio di tutto c’era un reduce, laureato filologo first-class, scampato alla più rovinosa battaglia che mai si fosse vista, che raccontò la più rovinosa battaglia che si potesse raccontare. Un giovane con la sua giovane sposa che lo assisteva, i due all’origine di colui che oggi ci offre l’ultima delle sue fatiche, con la sua devozione di figlio. L’ultimo degli Inklings, Christopher Tolkien, chiude oggi la più grande avventura letteraria del secolo scorso, come si aprì il ritorno dell’epica nel ‘900. Per tutte le notti in cui John Ronald-Tuor ha cantato per Christopher- Eärendil, oggi il figlio si unisce al canto del padre per restituirglielo. Oggi, alla fine del viaggio.
Ma non dei racconti!
Che questa vita, finalmente tranquilla, continui ad essere la benedizione e il dono che è stata finora, fino a quando sarà riconsegnata nell’ultimo viaggio e, secondo le speranze dell’amato padre potrà ritrovarsi, vivo e unito, con lui.
Onoratelo con grandi onori, l’Ultimo degli Inklings!
Eglerio!
Christopher Tolkien è venuto a mancare nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 2020.
Bibliografia principale consultata (altra in note e nel testo)
- J.R.R. Tolkien, Lettere, a cura di Humphrey Carpenter e Christopher Tolkien, 1980.
- Humphrey Carpenter, J.R.R. Tolkien. La biografia, 1977.
- Christina Scull & Wayne G. Hammond, The J.R.R. Tolkien Companion and Guide, 2a ed., 2017.
- Verlyn Flieger & Carl F. Hostetter, Tolkien’s Legendarium, 2000.
Interviste
- The Filial Duty of Christopher Tolkien di William Carter, The Sunday Times Magazines, 25 settembre 1977.
- Videointerviste in J.R.R.T.: A Portrait of John Ronald Reuel Tolkien, 1992.
- Questions about Sigurd and Gudrún di Alison Flood, The Guardian, 5 maggio 2009.
- Tolkien, l’anneau de la discorde di Raphaëlle Rérolle, Le Monde, 5 luglio 2012.
Per approfondire
Ascolta la puntata o scarica il podcast per sentirlo quando vuoi!
La conversazione con Gabriele comincia al minuto 61.30
- La storia della causa tra l’Estate e Warner nell’analisi sulla serie TV per Amazon.
- Beren e Lúthien a 100 anni dall’ispirazione
- La storia della curatela di Christopher Tolkien: ma quale speculazione?
- Una rassegna sulle interpretazioni Leaf by Niggle per la nuova edizione.
Note
↑1 | Verlyn Flieger & Carl F. Hostetter, Tolkien’s Legendarium: Essays on “The History of Middle-Earth”, Greenwood Press 2000. Il navigatore Eriol nelle prime fasi della mitologia è colui che riscopre le Terre degli Elfi ad Ovest del Mare e le perdute storie delle loro imprese in anni lontani. Il personaggio si sviluppa nei decenni successivi in Ælfwine sempre, come tipico in Tolkien, esplorando il significato del proprio nome nella narrazione. L’incipit in Antico-Inglese significa “terzo figlio di suo padre” ed è quasi identico a quello usato da JRR Tolkien nelle lettere del 1944. |
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↑2 | Il Signore degli Anelli, Libro VI, cap. IX I Porti Grigi. L’analogia tra JRR-Bilbo autore del Libro Rosso dei Confini Occidentali e Christopher-Frodo il suo compilatore, è parecchio fortunata nella critica. |
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