La Chiesa riceve la Rivelazione e ne trasmette il cuore nella Scrittura
Esiste però un’epoca che vede questo consolidamento, e come un’eruzione lavica ha molti stadî, ma non torna mai a quello magmatico, così nel consolidarsi del corpus Scripturarum il secolo decisivo è il II: consiglio in tal senso la lettura di Who choose the Gospels?, di Charles E. Hill (un protestante), che mostra chiaramente in quale senso le comunità abbiano una posizione di preminenza rispetto al testo sacro, e quindi perché la Chiesa sia tenuta (e obbligata) a donare e trasmettere correttamente il tesoro delle Scritture ai cristiani di ogni epoca.
Vorrei che ci si liberasse da pregiudizî anti-romani, quando si parla di “Chiesa”: nel II secolo non c’era la Congregazione per la Dottrina della Fede, non c’era la Curia Romana, non c’era neppure il Papato come lo intendiamo oggi – anche se già all’epoca Ignazio di Antiochia, Abercio di Ierapoli, Ireneo di Lione e altri attestano il prestigio eccezionale della Chiesa romana, «che presiede nella carità la comunione di tutte le Chiese» (c’è poco da protestare: questi sono testi) – e quando si dice che “la Chiesa scelse i Vangeli” e compose il Canone non s’intende un decreto pontificio o qualcosa di simile, ma la spontanea selezione che le comunità, senza neanche mettersi d’accordo, e con poche marginali eccezioni più o meno riassorbite nel tempo (penso ad esempio al Canone Alessandrino/Etiopico…), fece dei testi sacri. Emblematico, in tal senso, è il Canone Muratoriano, che fotografa proprio a metà del II secolo la maturità del processo e anche la contestuale maturità critica delle Chiese: anche Origene, presentando i libri sacri, ha cura di annotare se qualcuna delle Chiese maggiori dell’epoca aveva qualcosa da obiettare su questo o quel libro sacro. Ciò che però emerge con forza – ed è il dato che il teologo deve ritenere – è che il soggetto autentico e nativo di questa selezione è la Chiesa. Il teologo non è superiore alla Chiesa e neanche al singolo credente, ma anzi è un credente che esercita in modo peculiare la ricerca delle ragioni della fede ed è «sempre pronto a rendere ragione della speranza che è in lui» (cf. 1Pt. 3,14).
Solo la Chiesa può garantire un autentico “libero esame”
Cosa vuol dire questo? Che non c’è posto per il libero esame? Tutt’altro: la definizione del Canone è precisamente la garanzia dei limiti che il libero esame può e deve avere. Il cristianesimo non è, in alcun senso, una “religione del libro”, e difatti l’Apostolo insegna che «la fede viene dall’ascolto dell’annuncio» (Rom. 10,14-17), non dalla lettura di pagine; cioè vive di un elemento sociale, che è appunto la Chiesa, e il momento della riflessione sulle Scritture, le quali contengono la Parola di Dio viva e vera, è sempre necessariamente subordinato all’accoglienza dello Spirito del Risorto – che è Spirito pentecostale, ossia mandato sulla Chiesa nascente, non sui singoli (Act. 2,1 precisa che la Pentecoste avvenne mentre si trovavano «tutti insieme nello stesso posto»). Per questo Paolo stesso avverte i Corinzi: «La lettera uccide, è lo Spirito che dà vita» (2Cor. 3,6). Sta parlando proprio della Legge e di come interpretarla.
La nota ecclesiale del Canone, insomma, non viola affatto lo spazio per il libero esame, ma anzi lo apre e lo sostiene, e di fatto così avviene anche per le stesse comunità riformate. Che diremmo, altrimenti, della dottrina trinitaria? Se la dottrina della fede, trasmessa dalla Chiesa insieme con le Scritture, non precedesse il lavoro teologico – e ricordiamo ancora che il teologo non è superiore alla Chiesa più di quanto sia superiore al fedele comune: non lo è e basta – in molti potrebbero arguire che la Trinità non è un termine biblico (e sarebbe difficile controbattere qualcosa: il termine si deve a Origene e a Tertulliano). In effetti qualcosa di simile è accaduto fin dai tempi antichi, e alcuni “fondamentalisti ante litteram” preferirono manomettere i testi sacri piuttosto che ammettere che essi non possono vivere fuori dalla Chiesa più di quanto un cuore possa vivere fuori dal corpo: mi riferisco alle varianti (tarde ma antiche) che alcuni manoscritti riportano per la lezione di 1Io. 5,8, dove “lo Spirito e l’acqua e il sangue” sono stati arbitrariamente trasformati ne “il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo”. A proposito di paradossi… ecco un esempio di come fatalmente si finisca col violentare la Scrittura per tener fede al proprio testardo proposito di dichiararla totalmente autonoma.
Quindi Pasquet sbaglia a dire che la sua logica si distingue dalla mia per “la libertà del cristiano”: ciò che la sua logica rivendica, la mia (che non è “mia”) lo garantisce, perché stabilisce i limiti entro i quali si possano esercitare innumerevoli varianti di vita cristiana individuale e comunitaria. Quel «noi invece pensiamo che lo spirito soffia dove vuole» suona quindi un poco presuntuoso, perché le Scritture ci educano altresì a «non credere a ogni spirito, ma a saggiarli per vedere se provengono da Dio» (cf. 1Io. 4,1). E come si fa a vedere se uno spirito proviene da Dio? La mia coscienza contro la sua? Non se ne verrebbe fuori, e alla fin fine ognuno farebbe chiesa a sé (ciò che appunto in alcune propaggini della galassia protestante avviene). Ogni cristiano ha bisogno di sapere che la propria Bibbia è anzitutto la Bibbia degli Apostoli, quella dei Padri, quella su cui innumerevoli generazioni hanno pianto, sperato, si sono convertite e santificate. Se ha funzionato con loro, con quegli stessi che ce l’hanno tramandata e consegnata, abbiamo solide ragioni di sperare che funzionerà anche con noi. Se invece quella è anzitutto e perlopiù la “mia” Bibbia, che io sono chiamato a esplorare in solitaria, mi precluderò buona parte della ricchezza dei Testi e mi esporrò a innumerevoli pericoli che facilmente eviterei beneficiando dell’esperienza di chi mi ha preceduto (ciò che appunto, insieme con altro, si sintetizza nel concetto di “Tradizione”).
Paradigmatico è il criterio di vendita delle proprie idee. Vecchio come ogni eresia nella Chiesa. Fare appelli all’inscappabilità soggettiva nella lettura di un testo biblico, per derubricare il canone, è come ereggere il soggettivismo a canone e quindi non permettere nessuna oggettività possibile della nascita della Parola e bearsi del cortocircuito logico. Oltre che negare allo stesso Spirito di Dio di portare a dirci qualcosa di vero in sé per il singolo e per il noi. Insomma è come dire a Dio: “A Te piace ingannarci e fare in modo che ci confondiamo”. È come rendere la Parola di Dio, che è anche parola di uomo, soprattutto parola di uomo. Ma questo è l’epilogo strettoia di chi nega la valenza di un aspetto positivo della Ragione, per carità sempre da purificare, e vede come inevitabilmente corrotta ogni dimensione razionale. Si ricade nell’emotivismo soggettivo. Presente in tanti gruppi ecclesiali, anche cattolici e, perché no, anche nelle innumerevoli galassie social. Per non parlare dei catto-liberali o catto-sinistroidi; che oggi vanno a braccetto. Da questo si evince che, pur con tutte le buone intenzioni, spirituali, esegetiche e devote, Lutero era un uomo prossimo alla disperazione e che, per garantirsi l’autostima (non essendoci allora i followers ed i “mi piace”) ha fatto di tutto perché altri, sulla sua scia, diventassero, come lui, spiritualmente disperati.
Non è un caso che alla fine dell’800 un altro appartenente ad una setta Avventista del settimo giorno, guarda caso proveniente dal mondo protestante, un certo Russell, noto per vendere grano miracoloso a prezzo considerevole, prese da una parte un bel libro bianco e dall’altra la Bibbia e la riscrisse pari pari come a lui gradiva. Più che esegesi o ermeneutica, una vera e propria ri-scrittura. Qui addirittura non si epura il Canone ma si costruisce una bibbia-fai-da-te per avere una religione altrettanto fai-da-te. Se c’è qualcuno che deve dire “Svegliatevi!”, siamo proprio noi, a questi fratelli.
Ma non è nuova l’operazione di Russell ricorda un certo Maometto che circa 1300 anni prima fece un’operazione simile. Sostanzialmente sempre per motivi politici.