Alla vigilia dell’arrivo nelle librerie di Risposte amichevoli ai critici di Amoris Lætitia, si è scatenata nella blogosfera cattolica (purtroppo non solo italiana) un’aspra contesa. Cosa singolare: la maggior parte di quanti intervengono, e soprattutto di quanti “prendono parte”, non ha mai visto il libro in questione, e si accontenta di sferruzzare con la pars adversa sulla base di quelle poche frasi circolate nelle recensioni di chi (come il sottoscritto) il libro l’ha avuto in copia staffetta. L’antibergoglismo è un atteggiamento manieristico che prescinde dai dati, purtroppo, e in questo si rivela uguale e contrario al bergoglismo.
L’indecente marchetta di Luciano Moia su Avvenire
Stamane sono circolate (non solo su siti italiani) le dichiarazioni del cardinal Müller volte a «prendere le distanze dalle interpretazioni parziali di alcune testate» sul suo (bellissimo) saggio introduttivo al libro di Buttiglione. Duole molto dover ricordare che “alcune testate” significa “Avvenire”, e che giorni fa il quotidiano dei vescovi italiani ha commissionato al proprio editorialista Luciano Moia un’imbarazzante contraffazione dei contenuti del saggio del porporato. Di questa squallida operazione ideologica anche io ebbi modo di scrivere, lì con la calma che s’imponeva per poter parlare (bene) del saggio stesso: una cosa professionalmente inqualificabile, che mina in radice la credibilità del giornale diretto da Marco Tarquinio. Ora a Moia e ad Avvenire sta bene, benissimo!, che Müller (si badi: in quanto autore di un saggio dolosamente travisato, non in quanto “pezzo grosso”) torni a riprendersi ciò che è suo e a respingere al mittente la produzione dei truffatori (forse speravano di farla franca sulla pelle dell’“ex pezzo grosso”…). Normalmente le “marchette” si fanno all’autore del libro, mentre le stroncature sono talvolta libere e talvolta affettate da ruggini personali nei confronti dell’autore: fare una marchetta che stravolga (e stronchi) il senso del libro richiede una perizia che non si improvvisa. Ancora complimenti.
Peccato mortale, peccato veniale, peccato grave
Ma «faccian le bestie fiesolane strame / di lor medesme, e non tocchin la pianta, / s’alcuna surge ancora in lor letame, / in cui riviva la semente santa […]». Perché aveva ragione il Poeta: anche in questa marea di guano che da ogni parte industrialmente si produce (e sia il preludio di una catarsi!), possono darsi germi di vera bontà, domande di giusta carità, di santa verità. Me ne sono ricordato su Twitter, rispondendo a una serie di obiezioni mosse al tweet con cui lanciavo la mia recensione al saggio.
Tra 10 giorni potrete farvi un bel regalo: il libro di Buttiglione con la prefazione di Müller.
Dimenticatevi i… https://t.co/9H7WfZhm0i— Giovanni Marcotullio 🇮🇹⚓️🇪🇺 ❤️🩹🇺🇦 (@G_Marcotullio) November 1, 2017
In non poco ero (e sono) distante dalle ragioni delle critiche, però se pure non condividevo le ragioni delle risposte che si davano, non potevo non comprendere le ragioni delle domande che ponevano. Ne riporto tre che mi sembra tocchino punti meritevoli di chiarificazione:
Davvero preoccupante che anche cattolici preparati come te cadano nel tranello di Buttiglione. Il peccato grave *è* mortale.
— 𝑺𝒖𝒓𝒓𝒆𝒙𝒊𝒕 𝒗𝒆𝒓𝒆 (@SurrexitVere) November 7, 2017
imperfezione – peccato veniale – peccato mortale: nn ci sono peccati che stanno tra quelli veniali e quelli mortali
— marco (@gardena81) November 7, 2017
e – cambiando argomento – quest’ultimo:
https://twitter.com/ntoniom72/status/927904810233417729
Di’ cosa ne pensi