La scorsa settimana ero ad un corso sulla UNI 31000 e, oltre al relatore romano molto bravo e simpatico, c’era pure un partecipante di Roma: un giovane uomo (oggi diremmo ragazzo) con una strana piega sul volto, una specie di ombra. In pausa pranzo eravamo ad un tavolo affacciati sulla piazza semi deserta della nostra mite cittadina di provincia, ombreggiata dal campanile romanico della basilica. Il ragazzo guardava. Avrei voluto raccontargli com’è bella san Mercuriale dentro, sebbene i restauri fai da te del parroco nel primo dopoguerra l’abbiano spogliata degli affreschi rinascimentali per ricercare la presunta originalità. Attendevo un cenno per lanciarmi in dissertazioni di storia dell’arte sul palazzo delle poste di fronte. Ma niente. Lui guardava fuori dalla vetrata con aria assorta e taceva.
Allora ho sospirato io un “ve’ che bello il campanile tutto bifore!”, sperando di interpretare la sua contemplazione silenziosa dei monumenti.
E invece il ragazzo si è girato verso di me come se mi vedesse per la prima volta e, accentuando quella strana piega sulla fronte, mi ha chiesto: «Ma come si vive qui? Com’è la qualità della vita?».
Io son sobbalzata. Che ne so! Io vivo bene, ma come stanno gli altri non me lo sono in effetti mai chiesto. Un po’ piccata dalla domanda fuori tema rispetto alle mie aspettative, ho risposto a naso in su: «C’è un’amministrazione di sinistra da 40 anni, come vuoi che si stia?», andando nettamente più fuori tema di lui.
Il mio dirimpettaio di tavolo allora, probabilmente piddino, si è avventurato in una timida difesa dell’amministrazione, il suo vicino di posto in una speculare critica, scatenando un improvviso dibattito politico de noiartri, comunque dai toni stanchi e svogliati, che si è concluso con un salomonico “i colori delle amministrazioni locali non contano nulla, tanto fan tutti uguale”.
Ma il ragazzo accanto a me guardava fuori. «Ma io voglio sapere come si vive: la gente sta bene? Traffico? Servizi?».
E tutti un gran “boh, sì, beh, bene, normale dai”.
Allora, sospirando, ci ha spiegato qual era il suo problema: stabilitosi a Roma dopo gli studi, ha sempre lavorato e vissuto una vita da single “maggica” [sic!], tra locali e monumenti. Gli piaceva il caos della capitale, non gli pesava la congestione del traffico, passare ore sui mezzi: tutto era occasione per guardare un pezzo di storia, respirare umanità, godersi la movida. Poi si è sposato, e ancora era divertente. Ma ora gli era nata una figlia, e all’improvviso tutte le priorità erano saltate per aria. Ora pensava a come percorrere i marciapiedi sconnessi col passeggino, ora temeva i ratti dei cumuli di spazzatura, ora cronometrava i tempi di percorrenza da casa al lavoro, da tutti gli asili della zona al lavoro, da casa all’ospedale, per valutare se fosse meglio portare con sé la piccola in un asilo vicino al luogo di lavoro, trascinandosela dietro ogni mattina per un’ora e mezza nel traffico, o lasciarla in una struttura vicino a casa, col rischio di metterci un’ora e mezza a raggiungerla in caso di emergenza. Quella bambina doveva stare al sicuro, qual era la scelta migliore, per il suo bene? Della Roma degli happy hour non gliene fregava più niente, di quel che lo aveva rapito da giovane (da più giovane, diciamo), nemmeno: era nato un padre ora e tutto era cambiato.
Era lì, ad un corso su una norma UNI, a 4 ore di treno da casa, fuori tutto il giorno, e passava la sua pausa pranzo a domandarsi se quella cittadina sarebbe stata un luogo migliore per viverci, per sua figlia.
Mi si è stretto il cuore: povero giovane uomo! Però che fortunata quella figlia, ad avere un papà così, così padre in ogni fibra, in ogni attimo, in ogni pensiero.
Ho pensato ai capi di stato che adesso reggono le sorti dell’Europa: son tutti senza figli. Ma che ne possono capire del cuore di un padre e di una madre, delle loro vere e profonde esigenze, delle necessità che ha una famiglia con figli? Un lavoro vicino, almeno ad uno dei due; orari compatibili con asili e scuole; un alloggio tranquillo, con un po’ di verde nei pressi; momenti settimanali di pausa per tutti, da trascorrere insieme, a casa o a spasso, ma insieme.
Un cuore di padre lo sa, ed è una cosa semplice: la qualità della vita di una comunità si misura sul benessere dei più piccoli.
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