di Liz Else1New Scientist, 7 gennaio 2012, p. 25. Traduzione di Emiliano Fumaneri.
Roger Scruton crede che un ambientalismo centrato sull’amore per la casa ci riporterebbe al significato originario dell’economia. Come un filosofo conservatore pensa di sottrarre l’ambientalismo ai verdi radicali e alla sinistra.
Di solito non mettiamo in relazione conservatorismo e ambientalismo. Dovremmo farlo?
Nel mio libro Green Philosophy [Filosofia verde] cerco di ricollocare il programma ambientalista là dove deve stare: nella tradizione conservatrice dell’Europa. Edmund Burke, un filosofo del XIX secolo e fondatore del conservatorismo moderno, vedeva la società non come un contratto tra i vivi ma come un sodalizio che unisce i vivi, i nascituri e i morti. Un fatto che ha enormi implicazioni per l’ambientalismo.
Cosa c’è di differente nel suo approccio?
Siamo abituati a sentir accusare il conservatorismo di parlare solo di affari e di mercato e purtroppo spesso sembra proprio così. Ma le persone votano conservatore perché vogliono conservare i propri valori, la propria casa, la propria famiglia. C’è una ragione nascosta che chiamo oikophilia, che in greco vuol dire amore per la casa. Conosciamo l’oikos attraverso le parole “economia” e “ecologia”. L’enfasi conservatrice sull’economia è più sensata se riportiamo l’oikos nell’economia. Io credo che il problema ambientale nasca nel momento in cui la gente cessa di vedere l’ambiente circostante come una casa.
È forse per il fatto che molti conducono delle vite mobili?
Fa parte del problema ambientale: l’instabilità dell’umanità è più distruttiva ancora del big business. Fare da contrappeso, stabilirsi in un posto, prendersene cura, tutto questo fa parte di una tendenza umana che si oppone all’entropia. È stato spesso osservato che il conservatorismo è una lotta contro la seconda legge della termodinamica. Lo considero come un tentativo di prendere sul serio quella legge, per sradicarla dalle cose che ci stanno a cuore.
I governi non vedono le cose in questa maniera.
Abbiamo visto nascere una classe politica instabile, individualistica, ostaggio dei grandi affari e dei gruppi di interesse. Ma nella vita umana c’è bisogno di sistemarsi, non di avere e spendere. C’è stato un tempo in cui i politici lo sapevano.
Quindi come facciamo a ridurre il nostro impatto sul pianeta?
Una cosa fondamentale è insegnare ai figli a farsi carico dei costi che producono senza trasferirli ad altri. I problemi ambientali nascono principalmente perché i costi vengono esternalizzati. Prendete i supermercati, che esternalizzano i costi della distribuzione del cibo confezionando ogni cosa nella plastica e con installazioni fuori città. Una fonte di danno ambientale potrebbe essere contenuta consentendo alle merci di essere vendute senza imballaggio e garantendo che le aree fuori città obbediscano alle stesse norme urbanistiche delle zone centrali. Lo stesso vale per i trasporti, dove i costi energetici non devono ricadere sui consumatori. Dobbiamo restituire loro i costi sostenuti con tasse sul chilometraggio o sul carbone.
Che ruolo dovrebbe svolgere lo stato a questo riguardo?
Questo è un tema che ci preoccupa tutti, a prescindere dall’ideologia. In maniera saggia, i padri fondatori americani hanno ritenuto che i poteri dello stato dovessero essere accordati e limitati dal popolo. A questo mirava la Costituzione. Tuttavia anche negli USA vediamo lo stato impadronirsi delle attività di domani per finanziare gli sprechi di oggi. Ogni democrazia tende a derubare i nascituri poiché questi non possono votare. Ma le famiglie e le piccole associazioni possono guardare al passato e al futuro dando così voce ai nascituri. Lo stato dovrebbe restituire il potere ai piccoli gruppi. In questo modo i problemi si troverebbero nelle mani di coloro che hanno una buona ragione per risolverli.
Note
↑1 | New Scientist, 7 gennaio 2012, p. 25. Traduzione di Emiliano Fumaneri. |
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