C’è un legame tra postdemocrazia e pornografia?
La postdemocrazia, come abbiamo visto, è quella degenerazione oligarchica della democrazia che tende a minimizzare la partecipazione attiva alla vita politica da parte dei cittadini. La politica diventa così un affare gestito in maniera privatistica da gruppi di potere economici e finanziari sempre più elitari (e in alcuni casi ormai anche più ricchi e potenti di interi stati sovrani).
Nella sua famosa opera La democrazia in America, apparsa tra il 1830 e il 1835, Alexis de Tocqueville aveva visto in agguato, nella spoliticizzazione delle società democratiche, l’ombra di un nuovo dispotismo. Un dispotismo di tipo nuovo, che si porta meglio in società rispetto all’accezzione tradizionale del termine. È un dispotismo confidenziale, ludico, che avvilisce gli uomini senza tormentarli.
È sufficiente leggere le stesse parole di Tocqueville per accorgersi di quanto esse risuonino attuali:
Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria1Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, BUR, Milano 1999, pp. 732-733..
È il ritratto della società opulenta (o del benessere) di oggi: una moltitudine di individui isolati, dissociati, indifferenti al destino comune. Interamente assorbiti dalla cura dei propri affari, non considerano altro che il proprio tornaconto (il proprio particulare, avrebbe detto Guicciardini). E, soprattutto, sono ben disposti a tollerare un pubblico potere che li esoneri da ogni responsabilità pubblica consentendo loro, finalmente, di dedicarsi per intero alle loro attività private: accumulare denaro per divertirsi.
Rispetto al tempo in cui scriveva Tocqueville la cerchia degli affetti privati si è ulteriormente ristretta. Ora è tendenzialmente circoscritta al solo io individuale: i figli sono praticamente scomparsi, gli amici anche. È rimasto solo, se diamo ascolto al filosofo tedesco-coreano Byung-Chul Han, l’homo digitalis: l’individuo solitario disperso nello sciame digitale del web, dove tutti sono qualcuno (con un profilo individualizzato) ma non esiste più alcun noi.
E allora accade quanto aveva “profetizzato” Tocqueville:
Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. È assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere?2Ivi, p. 733..
Ci siamo arrivati, dunque. Siamo finalmente arrivati a un potere immenso e tutelare che concede alla massa di soddisfare liberamente ogni sfizio, presentandosi come un benefattore.
In realtà queste non sono altro che graziose concessioni che mirano a rendere dipendenti i cittadini da un organismo che assomiglia, più che a uno Stato, a quella che Freud avrebbe chiamato una madre castratrice. Lo Stato somiglia a una Grande Madre che lascia i suoi figli (i “mammasantissima”) in uno stato di “minorità politica” arrestando la loro psicologia allo stadio infantile o al massimo adolescenziale3Il mondo oscuro della Grande Madre coi suoi culti ctoni simboleggia gli aspetti più torbidi del principio materno. La Grande Madre infatti, scrive Ernst Bernhard, «vizia per lo più i suoi figli con la massima istintività, e i figli di conseguenza sono esigenti. Ma quanto più li vizia, tanto più li rende dipendenti da sé, tanto più naturale le sembra la propria pretesa sui figli, e tanto più questi si sentono a essa legati e obbligati. A questo punto la buona madre nutrice e protettrice si trasforma nel proprio aspetto negativo, nella cattiva madre che trattiene e divora, e che con le sue pretese ormai egoistiche impedisce ai figli il raggiungimento dell’indipendenza e il rende inermi e infelici». (Ernst Bernhard, Il complesso della Grande Madre, in Mitobiografia, Adelphi, Milano 1969, p. 171)..
Ma perché questa società della Grande Madre tende a diventare, sempre più, una pornodemocrazia o una società pornografica?
Molto prima di Tocqueville lo avevano intuito i Greci, i primi nella storia dell’uomo a leggere il mythos alla luce del logos. Platone fu uno di questi grandi “lettori”. In uno dei suoi dialoghi contro i sofisti (il Protagora), Platone ricorda come Prometeo, per rimediare al guaio combinato dal fratello Epimeteo, avesse furtivamente donato agli uomini le arti – cioè la sapienza tecnica – e il fuoco. L’improvvido Epimeteo infatti, incaricato di distribuire delle “buone qualità” tra gli esseri viventi, aveva esaurito tutte le facoltà per gli animali, lasciando gli uomini sprovvisti di mezzi di sopravvivenza.
Solitamente la narrazione del mito si arresta a questo punto, con Prometeo punito severamente da Zeus per aver ardito tanto. Ma Platone voleva dirci altro. Il mito infatti prosegue: la tecnica consente agli uomini di procurarsi case, vestiario, cibo. L’uomo lavorando (come animal laborans) riesce a sostentarsi e perfino a costruire opere (come homo faber).
È un primo vagito di società opulenta. L’uomo arriva a conseguire una certa prosperità materiale, un certo benessere. Manca però l’attività più caratterizzante di quella che Hannah Arendt avrebbe chiamato vita activa: l’azione politica propria dell’uomo in quanto zoon politikon, l’“animale politico”. La condizione umana si contraddistingue infatti per la capacità di agire collettivamente. È così che gli uomini entrano in relazione tra loro nello spazio pubblico. Ciò che Platone vuole dirci è che la sola potenza tecnica non consente agli uomini di agire assieme per costruire la polis, la città.
Perciò gli uomini, ancora sprovvisti dell’arte politica, vivono sparsi e isolati, incapaci di fare fronte agli attacchi delle bestie che li sopravanzano sul piano delle pura forza. Zeus allora, temendo per l’estinzione della specie umana, fa distribuire a tutti gli uomini il pudore (aίdos) e la giustizia (dίke) «affinché fossero ornamenti e vincoli, d’amicizia conciliatori»4Protagora, 322, 323 c..
Note
↑1 | Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, BUR, Milano 1999, pp. 732-733. |
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↑2 | Ivi, p. 733. |
↑3 | Il mondo oscuro della Grande Madre coi suoi culti ctoni simboleggia gli aspetti più torbidi del principio materno. La Grande Madre infatti, scrive Ernst Bernhard, «vizia per lo più i suoi figli con la massima istintività, e i figli di conseguenza sono esigenti. Ma quanto più li vizia, tanto più li rende dipendenti da sé, tanto più naturale le sembra la propria pretesa sui figli, e tanto più questi si sentono a essa legati e obbligati. A questo punto la buona madre nutrice e protettrice si trasforma nel proprio aspetto negativo, nella cattiva madre che trattiene e divora, e che con le sue pretese ormai egoistiche impedisce ai figli il raggiungimento dell’indipendenza e il rende inermi e infelici». (Ernst Bernhard, Il complesso della Grande Madre, in Mitobiografia, Adelphi, Milano 1969, p. 171). |
↑4 | Protagora, 322, 323 c. |
Grazie per questo approfondimento. Un amico sacerdote commentava l’altro giorno che Gesù è nato in una mangiatoia, un luogo “per animali” per riportarci alla condizione di uomini figlio di un Dio di amore. Questo semplice pensiero mi farebbe riscrivere la frase di Del Noce “Nella Genesi la nascita del pudore è collegata al passaggio dall’animale all’uomo.” in “Nella Genesi la nascita del pudore è collegata al passaggio dall’uomo del progetto originario di Dio all’uomo ferito dal peccato originale, che lo avvicina all’animale” e completarla con la riflessione dell’amico sacerdote su Gesù che ci restituisce la dignità dell’uomo figlio di Dio