Cari disabili… ma quanto ci costate? È ora di fare i conti

Il mondo rotola giù velocemente per la china della dissoluzione degli ideali e l’annientamento nell’immaginario collettivo della virtù, abbracciando con sollievo i propri peggiori vizi e accomodandosi in essi come punto di arrivo da cui non muoversi più.

Studiavamo a scuola con ribrezzo i piani di sterminio nazisti, mirati a eliminare i disabili, i malati mentali, gli ebrei, gli omosessuali e tutti coloro che, secondo il piano hitleriano, potevano ostacolare l’avanzata della inesistente razza ariana. Ma già degli spartani ci dicevano che gettassero giù dalla rupe i bambini handicappati, e ce lo dicevano con disprezzo, perché anche noi studenti imparassimo a detestare la piccineria vigliacca di chi elimina il debole per non sopportarne il peso dell’assistenza e del sostegno.

Da Sparta all’Olanda

Oggi pare tutto ribaltato: su una rivista olandese per bambini, un lettore ha scritto una lettera agghiacciante1Eccola: «Waar Marcel Zuijderland (Belast een kind niet met Down, 8/9) zich voorstander toont van prenatale diagnostiek om ernstig gehandicapte kinderen een leven vol beperkingen te besparen, meent Margot Bos (Brieven, Kind zonder probleem, 13/9) dat het hoogstens de ouders zijn die leed bespaard wordt, gezien het levensgeluk van haar zoon met het syndroom van Down.

In beide bijdragen ontbreekt een derde relevante dimensie, namelijk het belang van de samenleving bij een zo gering mogelijk aantal ernstig gehandicapten, wier opvang en verzorging levenslang hoge kosten met zich meebrengt waar geen economisch rendement tegenover staat.

De keuzevrijheid van ouders om ondanks de beschikbaarheid van prenatale diagnostiek zoals de NIPT een ernstig gehandicapt kind toch geboren te laten worden, is derhalve niet absoluut maar begrensd door de kosten waar zij de samenleving mee opzadelen. Afzien van abortus is in dergelijke gevallen meer dan een particuliere beslissing en zou voor de ouders financiële consequenties behoren te hebben.

».
, in cui sostiene che la libertà di far nascere dei figli con disabilità debba essere limitata perché questi rappresentano un “onere finanziario” per la società. L’autore della lettera sostiene che se i genitori rifiutano l’aborto, nonostante la disponibilità della tecnologia prenatale come il Test Prenatale non invasivo, questo dovrebbe avere conseguenze finanziarie per le famiglie.

Al di là di quel che accade in Olanda, col suo obiettivo zero-down e la martellante proposizione dell’aborto come unica soluzione davanti a diagnosi di tale sindrome, quello che preoccupa, che fa davvero sobbalzare sulla sedia è il fatto che le volgarità bieche del nostro inconscio sono ormai risalite sulle labbra e sulla penna, tanto che se ne può parlare alla luce del sole senza vergogna e teorizzare pure una presunta dignità delle stesse.

Tuo figlio disabile costa alla società: tu che decidi di farlo nascere devi essere punito per questo

Una volta si provava una mesta pietà verso coloro che dovevano portare il peso della disabilità, propria o dei propri cari, in aggiunta alle classiche difficoltà della vita, e verso di loro si manifestava ogni solidarietà possibile. Poi le diagnosi pre natali hanno introdotto l’idea che chi fa nascere un figlio disabile, invece che sfortunato, sia fesso: lo sapevi (o avresti potuto saperlo) e lo hai lasciato accadere lo stesso, quindi non ti meriti la mia pietà, ma la mia disapprovazione. Ovviamente sottesa c’è l’idea tutta distorta che una malattia si curi sopprimendo il malato.

Ma ora c’è un salto ulteriore: non più fesso, bensì colpevole, di costringere la comunità a spendere denaro per l’accudimento, perché si ha avuto l’egoismo di far nascere una creatura dichiarata imperfetta già all’origine, nel presunto contrasto tra bene dell’individuo inferiore in quanto malato e il bene della collettività. La collettività reclama sacrifici umani per la sua propria difesa e sopravvivenza.

A questo punto è davvero fondamentale sgombrare il campo da ogni motivazione religiosa che può portarci a rifiutare l’aborto in generale e tanto più per i soggetti più deboli, perché siamo giunti ad un livello di non-pensiero che richiede un lavoro di logica base prima che di morale, con questa gente non abbiamo più in comune nulla su cui fondare una discussione valoriale. Non basta più trovare motivazioni valide per sé, per agire in un determinato modo, nonostante la corrente fortemente contraria del mondo: qui occorre difendersi su un terreno dove le argomentazioni cristiane non hanno nemmeno diritto di udienza.

Quindi ragioniamo

Il disabile costa allo stato: prima di tutto, ogni persona costa allo stato, in termini di assistenza sanitaria e servizi educativi, in modi non costanti nel corso della sua vita. Si può nascere sani e vigorosi, e poi ammalarsi improvvisamente di qualche patologia cronica, per comportamenti avventati (come fumare o bere troppo, drogarsi, mangiare poco sano) o per puro caso (come di sclerosi, o di simili patologie degenerative di cui non conosciamo i meccanismi di innesco) o diventare disabile per un incidente, di cui magari si è davvero solo vittima incolpevole. Che facciamo? Quando il costo sanitario di una persona supera il valore della ricchezza da lei prodotta, la terminiamo? Questo ragionamento, sul costo sanitario di una persona, ha un punto di inizio ma non di fine: se è lecito (anzi, si sostiene che sia addirittura doveroso) sopprimere una vita umana, perché presumibilmente porterà un bilancio costi-benefici alla collettività negativo, diventa logicamente lecito farlo in qualunque momento della sua esistenza in cui si materializzerà la certezza di questo sconfinamento nella semiretta di sinistra dei numeri relativi. Partiamo coi non ancora nati, poi passiamo agli anziani e arriviamo a chiunque sia troppo malato, per il giudizio di un apposito tribunale deputato a fare questo rigoroso conto.

C’è già chi ha autorevolmente teorizzato questa evoluzione del non-pensiero: è Jacques Attali, filosofo tra le altre cose ispiratore di Macron, il quale già nel 1981 rilasciò un’intervista per un libro di Michel Salomon, L’Avenir de la Vie (Il Futuro della Vita), nella quale Attali spiega la sua visione in merito al futuro dello stato sociale: “Si potrà accettare l’idea di allungare la speranza di vita a condizione di rendere gli anziani solvibili e creare in tal modo un mercato“. Come risolvere il problema? “L’eutanasia sarà uno degli strumenti essenziali del nostro futuro”, spiega, aggiungendo che “in una società capitalista, delle macchine permetteranno di eliminare la vita quando questa sarà insopportabile o economicamente troppo costosa“. In questa foto agghiacciante di Attali, c’è da notare come l'”economicamente troppo costosa”, detto di una vita umana, non è nemmeno parametrizzato alla ricchezza già prodotta da quella stessa vita fino a quel punto del suo cammino, cioè non importa se una persona si è già spaccata la schiena a lavorare per decenni: nel calcolo di convenienza della cura che lo stato dovrebbe fare, conta solo il futuro.

Non solo: le persone non costano semplicemente in termini di spesa sanitaria, ma anche sotto molti altri aspetti. Ad esempio, la collettività investe risorse per l’educazione dei suoi membri, al fine di formarne degli adulti in grado di essere utili inserendosi attivamente nel tessuto sociale e lavorativo del paese. E se uno va male a scuola? Che facciamo con chi è gravemente dislessico, affetto da un qualunque ritardo di apprendimento, tanto da richiedere insegnanti di sostegno, o finire bocciati più volte? Costoro non imparano con la dovuta facilità e velocità prevista dal sistema, appesantiscono le classi con le loro difficoltà, e costano in termini di stipendi alle insegnanti di sostegno. Chiunque necessita di un sostegno all’apprendimento andrebbe dunque eliminato? Facciamo il voto minimo di sopravvivenza?

Diventano quindi cruciali due aspetti: la determinazione del criterio di calcolo dei costi e dei benefici di una persona e il grado di probabilità associato ad una valutazione proiettata nel futuro circa l’evoluzione delle prestazioni di qualcuno.

Lo stato è una struttura organizzativa creata dagli uomini al fine di regolamentare in modo pacifico e armonico la vita delle persone stesse, permettendo loro di realizzare se stesse anche attraverso l’esercizio di una professione che le metta in collaborazione con gli altri e che tramuti l’obiettivo di sopravvivenza personale in ricchezza collettiva.

Lo stato è un concetto formale, non si tocca e non si vede. Lo stato non pensa, non decide e non ha sostanza metafisica. Lo stato siamo noi, che ci rappresentiamo a turno, mediante il meccanismo delle libere elezioni e le procedure della democrazia.

In un’idea del tutto animalesca dell’uomo, in cui egli ha come unico scopo della vita lavorare per procurarsi il cibo da ingoiare e digerire, chi non lavora neppure mangi. Ma l’uomo è molto altro e non da oggi: le prime pitture rupestri risalgono a 40.000 anni fa. L’uomo ha sempre avuto bisogno anche di bellezza, di pensiero, di arte, di poesia, di musica, di amore. E queste cose si monetizzano con molta più difficoltà.

Quanto vale la consolazione di un abbraccio? Negli USA c’è chi vende abbracci per 80 dollari l’ora. Ma, per fortuna, non tutti si fanno pagare. Quanto vale il conforto di una chiacchierata con qualcuno che ci ascolti per davvero? Bisognerebbe chiedere le tariffe degli psicologi, non sono informata. Certo molti si accontentano degli amici per questo servizio. E la contemplazione di un bel dipinto? La meraviglia di una musica che ci entra dentro l’anima? Di un canto che ci trascina?

L’Esserci è valore inestimabile

Non paghiamo tutto ciò di cui godiamo, esiste un mondo dell’ovviamente gratuito che riempie ogni anfratto della nostra esistenza. Possiamo monetizzare quanto consolidi la nostra autostima il poter essere concretamente utili a qualcuno? Mentre diamo, anche riceviamo. Quante volte un “grazie” di cuore ci ripaga molto più del denaro per un lavoro che abbiamo svolto?

Progressista, liberale, tecnocrate, Jacques Attali ha teorizzato (tra le altre meraviglie) la creazione di un “tetto di spesa sanitaria massima” per ogni cittadino, basato sul “suo valore individuale”

Non si può ridurre la società civile intera ad un baratto continuo di do ut des monetizzabili; come dice una nota pubblicità, continuano ad esserci una marea di cose che non hanno prezzo, ma hanno per noi un enorme valore.

L’esistenza di un incontestabile piano, che vorrei chiamare spirituale-emotivo, senza per questo dargli alcuna connotazione di tipo religioso, ma piuttosto psicologico, rende la valutazione del “valore” di una persona un affare piuttosto difficile da portare a termine. Non è possibile stabilire dei criteri secondo i quali sia assolutamente certo che un disabile nella sua esistenza non porterà valore a nessuno. Il semplice fatto di esistere, di essere provocatore e sollecitatore di interventi, di aiuto, di domande e riflessioni, costituisce un fatto importante, che gratifica chi sta intorno, che assegna compiti, dà scopi, crea reti, approfondisce pensieri, genera quindi anche benessere, in termini psicologici ed emotivi e, tutto sommato, anche economici (se monetizzassimo il risparmio in sedute dallo psicologo risparmiate da parte di chi trova gratificante prendersi cura di qualcuno e con questa attività colma il proprio bisogno di essere utile). Senza considerare che, nello specifico scenario della vicenda olandese, i down sono un tipo di “handicappati” assai poco handicappati in molti casi: la loro anomalia genetica può provocare gravi disabilità, ma anche no, ci sono tanti down felicemente inseriti nel tessuto sociale, che pure lavorano e si guadagnano il pane che mangiano in termini proprio assoluti. Voler terminare di default la categoria, senza nemmeno affrontare nel dettaglio le percentuali effettive di queste “costosissime” disabilità è profondamente ingiusto.

E qui arriviamo al discorso delle probabilità: uccidere un essere umano è un atto estremo, è l’ultimo gesto da prendere in considerazione per la difesa della collettività, l’extrema ratio totale. Posso sparare al terrorista che sta falcidiando passanti col mitra. Già in Italia si fanno storie infinite per chi si difende in casa propria reagendo violentemente a chi aggredisce per rubare, ed infatti si parla di legittima difesa che deve essere comunque proporzionale all’offesa.

Ma poi gli “handicappofobi” parlano di aborto

Però si vorrebbe uccidere un bambino perché forse costerà più di quello che produrrà. Omicidio per imponderabili danni economici. Perché dunque non posso uccidere un ladro colto in flagrante? Non solo: prima di un aborto per diagnosi infausta, sarebbe bello conoscere le probabilità di errore degli esami che hanno portato a tale diagnosi. Dal momento che non si tratta di decidere il gusto della bavarese più gradito per il compleanno, ma di eseguire un’azione irrevocabile ed estrema che impedirà ad un essere umano di nascere, sarebbe il caso, almeno, che la questione fosse considerata nella piena conoscenza dei fattori in gioco. In quanti casi si è detto che sarebbe stato malato e non lo è stato? Qualcuno sta tenendo registrazione di tutte le condizioni effettive dei feti abortiti per diagnosi infausta, o piuttosto non finiscono dritti nel bidone dei rifiuti speciali senza essere minimamente analizzati?

Chi ritiene di poter formulare apertamente l’idea che si possa costringere una donna ad abortire se il bambino risulta malato ha messo in conto tutti questi fattori? È in grado di dare risposte certe su tali quesiti?

Se la risposta è no, allora vorrei domandargli da dove gli sorge la bella idea, perché a me viene il sospetto che sia una fobia, bella e buona. Ci hanno fatto una capa tanta con l’omofobia, c’è chi sogna una psico polizia che imprigioni chi ha paura degli omosessuali e per questo li odia. Perché dovrebbe essere reato odiare gli omosessuali e non odiare i bambini disabili? Se davvero volessimo fare un discorso di nudi costi sanitari, ci sarebbe da portare la statistica delle malattie della comunità gay rispetto alla popolazione generale, ma mi sembra di aver già contestato l’approccio in sé, ritenendolo fallace a qualunque categoria esso venga applicato.

Il problema sostanziale è che la paura ci divora, e nella ricerca spasmodica di sicurezza, c’è chi crede che il denaro sia l’unico materiale di cui foderare il giubbotto anti proiettile per superare la vita. Ma questo atteggiamento è vissuto in modo incoerente e irrazionale, isterico addirittura, puntando il mirino contro tutto ciò che “costa” e che ci fanno ipoteticamente pagare senza trarne un direttissimo beneficio. Se ci fermassimo a riflettere un attimo, vedremmo subito che tutte le nostre tasse sono un costo super indiretto, e servono per sostenere ogni cosa intorno a noi, dalle auto blu dei politici, ai super stipendi dei dirigenti pubblici, alle luminarie natalizie delle città, alle conferenze sovvenzionate dal comune su temi di cui non ci frega nulla, alla ricerca in ambiti assurdi, eccetera. Vogliamo eliminare tutto ciò che avvertiamo come un indebito costo indiretto? Perché partire proprio dai bambini degli altri?

Capite che l’odio per i bambini ha motivazioni che sono del tutto irrazionali, questa scusa del costo non sta in piedi sotto alcun punto di vista logico. Esso affonda le sue radici nel sogno antichissimo che l’uomo coltiva di essere padrone della vita, ma, non riuscendoci, si limita ad essere despota della morte.

TSO per ogni “handicappofobo

Ma chi odia l’umanità che avverte come ostile quando è ancora nel grembo materno, ha qualche problema ed è un problema per la collettività, è un pericolo con la sua aggressività che invoca la morte sulle teste altrui, che istiga violenza contro gli indifesi. Per il bene comune e l’incolumità dei cittadini del paese, credo che sarebbe meglio sanzionarli con una bella multa o far fare loro un TSO. O no? Non vi piace il ragionamento fatto alla rovescia?

La libertà di pensiero è una cosa seria. Cerchiamo di non buttarla nel cesso ammantando le isterie inconsce di finti ragionamenti. Ogni vita ha un valore non misurabile, non si può dire di nessuno che egli sia “un costo” e non esistono autorità umane che possano sopprimere un innocente innocuo per un fantomatico bene economico della collettività.

Note

Note
1 Eccola: «Waar Marcel Zuijderland (Belast een kind niet met Down, 8/9) zich voorstander toont van prenatale diagnostiek om ernstig gehandicapte kinderen een leven vol beperkingen te besparen, meent Margot Bos (Brieven, Kind zonder probleem, 13/9) dat het hoogstens de ouders zijn die leed bespaard wordt, gezien het levensgeluk van haar zoon met het syndroom van Down.

In beide bijdragen ontbreekt een derde relevante dimensie, namelijk het belang van de samenleving bij een zo gering mogelijk aantal ernstig gehandicapten, wier opvang en verzorging levenslang hoge kosten met zich meebrengt waar geen economisch rendement tegenover staat.

De keuzevrijheid van ouders om ondanks de beschikbaarheid van prenatale diagnostiek zoals de NIPT een ernstig gehandicapt kind toch geboren te laten worden, is derhalve niet absoluut maar begrensd door de kosten waar zij de samenleving mee opzadelen. Afzien van abortus is in dergelijke gevallen meer dan een particuliere beslissing en zou voor de ouders financiële consequenties behoren te hebben.

».

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