Dopo questo sguardo panoramico sull’astrologia dantesca, offriamo qui di seguito un esempio delle infinite e profonde considerazioni suscettibili dai passi astronomici e astrologici della Commedia dantesca, attraverso un brano di Paolo Pecoraro, autore di un saggio, purtroppo ormai irreperibile, su “Le stelle di Dante”.
di don Paolo Pecoraro
«Con lui vedrai colui che ‘mpresso fue,
nascendo, sì da questa stella forte,
che notabili fier l’opere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella età, ché pur nove anni
son queste rote intorno di lui torte;
ma pria che ‘l Guasco l’alto Arrigo inganni,
parran faville de la sua virtute
in non curar d’argento né d’affanni.
Le sue magnificenze conosciute
saranno ancora, sì che’ suoi nemici
non ne potran tener le lingue mute.
A lui t’aspetta ed a’ suoi benefici:
per lui fia trasmutata molta gente,
cambiando condizion ricchi e mendici.
E porterà ne scritto nella mente
di lui, e nol dirai»; e disse cose
incredibili a quei che fier presente.
Pd XVII, 76-93
È stato già osservato da qualche sagace studioso che nella profezia del Veltro, formulata da Virgilio, il vocabolo “Veltro” è collocato al v. 101, cioè esattamente dopo i primi cento versi dall’inizio della prima cantica, e che la profezia di Beatrice sul Cinquecento Diece e Cinque (Pg XXXIII, 43-45) termina esattamente prima degli ultimi cento versi della cantica seconda; sicché Veltro e DXV si dispongono come due strutture simmetriche, equidistanti dai confini laterali di una scenografia, e così invitano a integrare questa architettura cercando qualcosa che per il suo alto valore debbasi affiancare da quelle simmetriche strutture: ma ciò, trasposto nelle dimensioni di un testo narrativo, conduce a guardare al centro della terza cantica. Il Paradiso conta esattamente 4757 versi, che diviso per due fa 2378,5; i primi sedici canti comprendono 2295 versi; 2378,5 – 2295 = 83,5; perciò il verso centrale del Paradiso è il verso 84 del XVII canto:
in non curar d’argento né d’affanni.
Orbene, le parole di Cacciaguida relative al Novenne vanno dal v. 76 al v. 92, dove il v. 84 è il nono, sia contando in avanti dal v. 76, sia contando a ritroso dal v. 92 (nove, lo si rammenti, è il numero di Beatrice, come dianzi accennavamo); e la intera profezia del Novenne (vv. 76-92) è collocata esattamente al centro del Paradiso. È degno di nota, che la intera profezia del DXV, termina, come si è detto, al v. 45 ma comincia al v. 37, cioè comprende nove versi collocati subito prima degli ultimi cento del Purgatorio; e che la intera profezia del Veltro comincia, come si è detto, dal v. 101, ma termina, sostanzialmente, al v. 109, cioè comprende nove versi collocati sùbito dopo i primi cento della cantica prima.
Tutto ciò non può essere casuale: Veltro, DXV e Novenne sono la stessa persona.
Tralasciando qui di trattare le pur molte e gravi ragioni che dal Veltro e dal DXV conducono al Poeta Profeta, fermiamoci al Novenne.
Il quale non è Cangrande della Scala. Che Cangrande avesse nove anni nel 1300 è stato semplicemente dedotto dal v. 80, tautologicamente. Un anonimo continuatore del Chronicon Veronense fa nascere Cangrande il 9 marzo 1291 : ma è posteriore di mezzo secolo, è tutt’altro che scrupoloso in materia di date, e dev’essere stato influenzato dal testo dantesco.
In realtà Cangrande nacque nell’aprile 1289. In un carme encomiastico, scritto in onore di Cangrande dal poeta di corte Ferreto vicentino, viene indicata per il concepimento di Cangrande una posizione dei pianeti che si accorda con il 15 luglio 1288 e non con il giugno 1290 (come abbiamo controllato mediante le tavole del Tuckerman); nella Historia del medesimo Ferreto, Cangrande è detto “pubescente” e dunque almeno dodicenne, alla morte del padre Alberto (che fu nel settembre 1301 ); e di diciotto anni quando il fratello Alboino acquistò il castello di Brigantino (che fu nell’ottobre del 1306). In una cronica generalmente accurata, le Historiae Cortusiorum, si afferma che Cangrande morì nel quarantunesimo anno di età (e fu addì 22 luglio 1329). Tutto ciò conferma che Cangrande nacque nella primavera del 1289, sicché nell’aprile 1300 non era novenne bensì undicenne. E lasciamo stare diversi altri motivi onde i vv. 76-93 non si addicono a vita e opere di Cangrande.
Per intendere chi sia il Novenne bisogna badare al senso esatto delle parole di Cacciaguida: «pur nove anni / son queste rote intorno di lui torte». Il dimostrativo “queste” fa intendere che trattasi delle rote, cioè delle rivoluzioni, del pianeta in cui si trova la persona che sta parlando; e dunque i nove anni sono nove anni di Marte. Il termine “anno” era già dall’evo antico in uso per indicare la rivoluzione di ciascun pianeta, e non del Sole soltanto: Macrobio (Comment. in Somn. Scip. II xi 5-11) esemplifica esplicitamente chiamando anno la durata di rivoluzione di Marte, Giove, Saturno e perfino della Luna. Lo stesso Cacciaguida inoltre (Pd XVI, 34-39) formula il proprio… certificato di nascita in anni di Marte, precisamente cinquecentocinquanta ab Incarnatione1II calendario ab Incarnatione fu in uso a Firenze per alcuni secoli: faceva cominciare l’anno nuovo al 25 marzo (quel dì che fu detto “Ave”, Pd XVI, 34) anziché al 1o gennaio.: cioè applica il calendario di “stile fiorentino” a un conteggio che non è né fiorentino, né terrestre, ma appunto marziano, come si addice a un buon cittadino tradizionalista della Firenze antica… trasferitosi su Marte.
Il testo astrologico usato dall’Alighieri, quello cioè di Alfragano, al cap. XVII informa che la rivoluzione di Marte si effettua «in anno Persico et decem mensibus et viginti duobus diebus fere». L’anno Persico dura 365 giorni, senza eccezioni, sicché alla rivoluzione di Marte Alfragano attribuisce una durata di 687 giorni, che è appunto la durata esatta, come calcola anche la astronomia moderna. Pertanto nove anni di Marte equivalgono a 6183 giorni terrestri2Cf. Alfragano, II “libro dell’aggregazione delle stelle” a cura di R. Campani – Città di Castello ed. S. Lapi 1910 (versione latina di Gherardo da Cremona), p. 131 e p. 59..
Orbene, 6183 giorni sono precisamente ed esattamente quelli trascorsi dalla sera del 1o maggio 1283 alla sera del 4 aprile 1300, cioè da quando Dante ha la prima rivelazione dei destini drammatici e ultraterreni del suo amore, al momento decisivo in cui egli si ritrova nella selva oscura e inizia l’iter di redenzione.
Note
↑1 | II calendario ab Incarnatione fu in uso a Firenze per alcuni secoli: faceva cominciare l’anno nuovo al 25 marzo (quel dì che fu detto “Ave”, Pd XVI, 34) anziché al 1o gennaio. |
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↑2 | Cf. Alfragano, II “libro dell’aggregazione delle stelle” a cura di R. Campani – Città di Castello ed. S. Lapi 1910 (versione latina di Gherardo da Cremona), p. 131 e p. 59. |
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