Socci & Leonardi, giù le mani da Caffarra

Caro Antonio Socci,
avrei preferito non scrivere questa pagina, e lasciare alla salma del compianto cardinal Carlo Caffarra il tempo di raffreddarsi in quiete – appunto ciò che tu non hai fatto. Ora però mi corre un altro obbligo morale, cioè difenderla, quella salma, da quanti volessero servirsene per ben altri fini che l’estremo saluto. Mi chiama a quest’obbligo il fatto che la mia giornata di oggi sia cominciata con un amico che mi chiedeva un parere sul tuo (rinunciabilissimo) corsivo di ieri e sia terminata con un’amica che mi chiedeva la medesima cosa.

Potrei chiederti quanto sia onesto questo tuo passaggio – ovvero quanto siano in re fundatæ le gravi affermazioni che vi riporti –:

Il sacerdote che ha parlato col cardinale ripete che egli era molto addolorato. Si può forse pensare che sia morto di crepacuore [ti lascio i tuoi grassetti, che ti piacciono tanto, N.d.R.]. Di certo, nel segreto della preghiera aveva offerto a Dio la sua vita per questa povera cristianità smarrita.

Quest’ultima cosa non te l’avrà potuta dire neanche il tuo informatore sacerdote, neppure si trattasse del confessore del Cardinale (e nulla garantirebbe che anche quegli debba disporre di una simile conoscenza); la prima te la potrebbe dire solo il medico che avesse effettuato l’autopsia sul Cardinale. Medico che non mi risulta esista.

Quale Papa?

Ma non voglio perdere tempo con queste sciocchezze, ché potresti appulcrarmi tanto latinorum giornalistico su come si fanno passare le illazioni per fatti – e mi sembrerebbe ancora più offensivo nei confronti del Cardinale. Voglio farti una semplice domanda su un passaggio del tuo scritto (se possibile) ancora più grave, quello in cui dici, stavolta tutto all’indicativo e senza il beneficio di qualche “forse” a sfumare:

Il riferimento di Caffarra a S. Atanasio rimanda al momento più buio della storia della Chiesa. Quando gli eretici ariani nel IV [immagino che qui sia da leggersi “secolo”, N.d.R.presero il controllo della Chiesa.

Quasi da sola si levò la voce del vescovo Atanasio a difesa della verità cattolica. Egli fu scomunicato dal papa e subì quattro volte l’esilio.

Sezione della Tabula chronistorica sæculorum I-V di Gervais Dumeige: lasso relativo alla vita di Atanasio (coi Papi e gli imperatori indicati in alto).

Ora, Antonio, sorvolando sul fatto che per mia valutazione personale spetti allo Scisma d’Occidente il titolo di “momento più brutto della storia della Chiesa”, a te voglio chiedere solo un’altra cosa: quale Papa avrebbe scomunicato Atanasio?

Perché per come la conosco io, quella storia – certo complicatissima e piena di intrighi – non solo nessun Papa scomunicò Atanasio, ma da nessuna parte come a Roma il Patriarca fu al sicuro.

Se ripercorro con la mente la vicenda di Atanasio, che ho avuto la grazia di studiare con Manlio Simonetti e con alcuni dei suoi discepoli, in realtà di esilî ne conto cinque, e non quattro – mi chiedo quale tu abbia deciso di saltare nel tuo novero… –; ma anche questo è secondario, perché sono ancora curioso di imparare quale papa avrebbe scomunicato Atanasio.

Dunque, vediamo: il Sinodo di Tiro, che lo depose (e fu poi Costantino a esiliarlo a Treviri), è del 335. Erano gli ultimi anni del vecchio Silvestro, colui che (non1L’obelisco lateranense celebra il battesimo di Costantino per mano di Silvestro: fantasie propagandistiche. Da Eusebio, ripreso da Socrate, e da Girolamo, sappiamo che il battesimo fu richiesto a Nicomedia, dall’imperatore morente, e lì impartito da un vescovo che Girolamo tramite sue fonti identifica con Eusebio di Nicomedia – filoariano.) battezzò l’Imperatore. Marco avrebbe seduto sulla cattedra romana per neanche tutto il 336. Gli sarebbe succeduto Giulio, il primo dei “papi di Atanasio”. Dopo Giulio troviamo Liberio e Damaso. Quindi, Antonio, ora mi dirai chi di questi tre avrebbe scomunicato Atanasio.

Ascoltiamo un maestro

Ma poiché diventerei pedante (più di quanto non lo sia stato), e poiché entrambi sappiamo bene che nessun Papa scomunicò Atanasio, mai, ti riporto qualche passo istruttivo del già ricordato Simonetti, che sul IV secolo ha già scritto più o meno tutto quello che a oggi si può sapere. Parlando dunque di Papa Giulio e del concilio di Roma del 3412Concilio che Giulio volle appunto per ribaltare il precedente Concilio di Tiro, in cui tutti i vescovi d’Oriente avevano condannato Atanasio, decisione poi ratificata e resa esecutiva mediante l’esilio da Costantino…, Simonetti scrive:

Il concilio di Roma del 431, significando l’attivo intervento dell’Occidente nella controversia ariana, rappresentò un momento decisivo della sua storia, perché d’ora in poi tutto il complesso sviluppo della questione sarà condizionato da questa presenza. Del resto, era inevitabile che l’Occidente, e per esso il vescovo di Roma, non potesse disinteressarsi ancora di una questione che, pur essendo sorta ed essendosi fino ad allora discussa in Oriente, s’incentrava su punti teologici di fondamentale importanza per tutta la cristianità […]3Manlio Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, 150..

Quando la cattedra romana prende una posizione nella vicenda di Atanasio, dunque, la prende in favore di quest’ultimo anche a costo di ribaltare il tavolo – letteralmente – dei vescovi di mezzo mondo. E vediamo rapidamente cosa accadde nel pontificato seguente, quello di Liberio, contemporaneo al regno di Costanzo. Scrive sempre Simonetti:

Liberio non aveva desistito dal suo atteggiamento contrario alla condanna di Atanasio: scrisse una lettera ai tre vescovi esiliati esaltando con eloquenti parole la loro fermezza davanti agli avversari, esortandoli a rendere noto mediante lettera a tutta la cristianità ciò che era avvenuto a Milano, raccomandandosi alle loro preghiere perché anch’egli avesse la forza di resistere ai graviora vulnera che ormai si attendeva di giorno in giorno. Liberio fu facile profeta: venne da lui da parte di Costanzo l’eunuco Eusebio per costringerlo alla condanna di Atanasio sia con le lusinghe sia con le minacce. In un primo momento Eusebio offrì al papa ingenti donativi da parte dell’imperatore, ma Liberio li rifiutò così come rifiutò di condannare Atanasio, rilevando l’irregolarità sostanziale della procedura che era stata messa in opera ai danni di quello e degli altri esiliati e ribadendo la opportunità di riaffermare la validità della formula nicena contro gli ariani. L’eunuco, fallito lo scopo sia con i donativi sia con le minacce, tentò di porre Liberio di fronte al fatto compiuto e di comprometterlo agli occhi del popolo, lasciando i donativi presso il martyrium di S. Pietro. Ma Liberio non si fece sorprendere: redarguito il custode del luogo perché non aveva impedito il gesto di Eusebio, ordinò di gettar via i donativi dell’imperatore in quanto offerta sacrilega: un gesto che si poteva configurare come reato di lesa maestà. In effetto Costanzo, appreso da Eusebio lo svolgimento dei fatti, ordinò di reiterare minacce e pressioni contro Liberio e i suoi sostenitori: questi furono costretti a nascondersi | e a fuggire, e il vescovo fu arrestato e trasportato a Milano nottetempo, per impedire reazioni da parte del popolo, che lo aveva molto caro4Ivi, 221-222.

Ecco come andarono le cose. E se invece alludevi ai fatti degli anni ’50 – al concilio di Sirmio 357 e alle firme estorte ad Ossio e Liberio a forza di violenze… – lì si apre un ginepraio di condizioni per noi neanche lontanamente immaginabili e di ipotesi, molte delle quali storicamente non verificabili. Il punto fondamentale, poi, non è tanto se in questo o quell’atto questo o quel Papa abbiano sottoscritto formule che col senno di poi giudichiamo infallibilmente errate5Si può correttamente osservare che Liberio, da buon occidentale, non sia mai diventato completamente padrone dei termini di una questione che era nata e viveva quasi esclusivamente in Oriente: un simile difetto di cognizione basta per scagionare Onorio, dal sospetto di eresia, e qui vogliamo dare per dato pacificamente acquisito che un Papa abbia sottoscritto la scomunica di un Padre e Dottore della Chiesa? Ma se perfino Eudossio d’Antiochia, nel “suo” concilio, rivendicò il successo del fronte ariano impugnando il cedimento del povero vecchio Ossio, maltrattato da centenario, e non quello di Liberio! Nessuno ha bisogno di un revisionismo apologetico, ma se stiamo ai soli documenti le incongruenze tra le date riportate e le incertezze sulle condizioni ambientali non ci permettono di valutare in via definitiva la qualità del cedimento coatto di Liberio (anche Pio VII firmò documenti in prigionia e poi li ritrattò…) e la sua incidenza reale sulla comunione con Atanasio, già difeso strenuamente in passato. – perché pure alcune delle istanze degli anomei andavano preservate al netto di certe ambiguità che il nudo dettato niceno poteva lasciare (e di fatto lasciava) –; ma che il punto di ricaduta del 381 sia stato qualitativamente diverso da tutta la miriade di concilî del IV secolo per la felice convergenza delle istanze delle diverse fazioni moderate, che fino ad allora non era maturata.

Lasciamo stare Damaso, ché pure i liceali lo conoscono per il Papa della vera svolta, quello che alla morte di Valente ebbe mano libera per integrare le raffinate dottrine dei cappadoci nelle formule nicene, benedire il Concilio Costantinopolitano I e farsi menzionare nell’editto di Teodosio, insieme con Pietro di Alessandria, come il custode de «la fede che Pietro trasmise ai Romani».

«Odi malizia ch’elli ha pensata…»

Ora, tu capisci che se non fossi proprio tu ad aver scritto quelle parole io avrei sorriso del solito buontempone che straparla di Atanasio senza avere idea di cosa furono il IV secolo e la crisi ariana. Ma io non posso pensare questo di te, ché farei torto a te e a me insieme. L’alternativa però qual è, se pongo che chi ha scritto quelle parole non ignori come stiano in realtà i fatti? Mi viene da pensare solo che tu abbia voluto poggiare sull’ignoranza di questo secolo sciagurato – che vive «sazio e disperato» senza sapere cosa sia l’arianesimo di cui ancora porta in sé i bacilli – per attaccare di sponda il vescovo di Roma, il Santo Padre.

Note

Note
1 L’obelisco lateranense celebra il battesimo di Costantino per mano di Silvestro: fantasie propagandistiche. Da Eusebio, ripreso da Socrate, e da Girolamo, sappiamo che il battesimo fu richiesto a Nicomedia, dall’imperatore morente, e lì impartito da un vescovo che Girolamo tramite sue fonti identifica con Eusebio di Nicomedia – filoariano.
2 Concilio che Giulio volle appunto per ribaltare il precedente Concilio di Tiro, in cui tutti i vescovi d’Oriente avevano condannato Atanasio, decisione poi ratificata e resa esecutiva mediante l’esilio da Costantino…
3 Manlio Simonetti, La crisi ariana nel IV secolo, 150.
4 Ivi, 221-222
5 Si può correttamente osservare che Liberio, da buon occidentale, non sia mai diventato completamente padrone dei termini di una questione che era nata e viveva quasi esclusivamente in Oriente: un simile difetto di cognizione basta per scagionare Onorio, dal sospetto di eresia, e qui vogliamo dare per dato pacificamente acquisito che un Papa abbia sottoscritto la scomunica di un Padre e Dottore della Chiesa? Ma se perfino Eudossio d’Antiochia, nel “suo” concilio, rivendicò il successo del fronte ariano impugnando il cedimento del povero vecchio Ossio, maltrattato da centenario, e non quello di Liberio! Nessuno ha bisogno di un revisionismo apologetico, ma se stiamo ai soli documenti le incongruenze tra le date riportate e le incertezze sulle condizioni ambientali non ci permettono di valutare in via definitiva la qualità del cedimento coatto di Liberio (anche Pio VII firmò documenti in prigionia e poi li ritrattò…) e la sua incidenza reale sulla comunione con Atanasio, già difeso strenuamente in passato.
Informazioni su Giovanni Marcotullio 297 articoli
Classe 1984, studî classici (Liceo Ginnasio “d'Annunzio” in Pescara), poi filosofici (Università Cattolica del Sacro Cuore, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, PhD RAMUS) e teologici (Pontificia Università Gregoriana, Pontificio Istituto Patristico “Augustinianum”, Pontificia Università “Angelicum”, PhD UCLy). Ho lavorato come traduttore freelance dal latino e dal francese, e/o come autore, per Città Nuova, San Paolo, Sonzogno, Il Leone Verde, Berica, Ταυ. Editor per Augustinianum dal 2013 al 2014 e caporedattore di Prospettiva Persona dal 2005 al 2017. Giornalista pubblicista dal 2014. Speaker radiofonico su Radio Maria. Traduttore dal francese e articolista per Aleteia Italiano dal 2017 al 2023.

7 commenti

  1. Intanto, grazie per la sintetica ed efficace ricostruzione storica della faccenda Atanasio: lo stare ai fatti (e alla loro intricata complessità) è sempre opportuno e salutare. Ma questa ricostruzione finisce, paradossalmente (ma la realtà è spesso paradossale), per accentuare invece che sminuire il focus socciano. Perché, dato che ammp il card. Caffarra è (ben aldilà dei “dubia” e della “questione amoris laetitia”) un Atanasio dei nostri giorni, dov’è oggi (qui sulla terra, gerarchia compresa) chi ne prede le difese e lo fa tornare dall’esilio? Per il resto, Abelis non è un capolavoro letterario…

    • La vicenda, purtroppo, è molto più intricata di quanto io abbia anche solo potuto richiamare: data la sede, mi basta aver mostrato la grave inopportunità di parlare di “scomunica di Liberio ai danni di Atanasio”. Il resto merita approfondimenti da fare soprattutto in sede di studio accademico.
      Quanto agli esilî, invece, direi due cose:
      1) Non necessariamente si fa il maggior bene della Chiesa ripristinando una situazione di palese ingiustizia: Agostino nei suoi giorni mostra di sapere di monaci egiziani a Treviri, e le spore di Antonio non sarebbero arrivate fin lassù, insieme con la grande Vita che ne scrisse Atanasio, senza la presenza fisica e ordinatrice del patriarca alessandrino. Non sunt facienda mala ut sequantur bona, certo, ma il mistero dell’Agnello resta il paradigma di tutta la vita ecclesiale in genere e di ogni singolare vita ecclesiastica;
      2) Viceversa, non si sa mai chi sarà a farti tornare dall’esilio: con la morte di Costanzo, per esempio, il trono imperiale finì a Giuliano (l’apostata), e paradossalmente fu proprio lui – al quale dell’ὁμοούσιος fregava meno di zero – a richiamare ad Alessandria Atanasio dal terzo esilio… Vero è che lo stesso Giuliano lo avrebbe di nuovo mandato via non appena avesse visto che Atanasio faceva rifiorire la Chiesa… ma attenzione: come la faceva rifiorire? Cercando formule d’unione coi c.d. “semi-ariani”. Un motivo di più per sorridere di certa storia ecclesiastica ridotta ad aneddotica, ovvero a cartucciera da facile polemica.

  2. Non condivido la linea di pensiero dello scrivente. Al di la’ della ampiamente dichiarata competenza, non entra nel nocciolo della situazione, una possibile comparazione fra i due tempi storici, entrambi pieni di confusione ed incertezze e la grandezza di alcune figure che hanno salvaguardato la fede nel popolo.

    • Gentilissima Maria, grazie del commento. Provo a risponderle. Comparare due tempi storici è cosa sempre insidiosa e difficile, al limite dell’impossibile dati i numerosissimi distinguo che per forza di cose si debbono fare; e tuttavia è cosa che tutti facciamo, stabilendo analogie più o meno ardite. Ora qui abbiamo anzitutto un punto filologico, cioè se abbiamo certezza storica, dalle fonti, di una scomunica di Liberio ai danni di Atanasio – cosa che, malgrado un certo “cedimento” del Papa, le fonti antiche non ci autorizzano a inferire (anzi). In secondo luogo c’è la questione dell’analogia, perché come Atanasio non fu solo contro tutti – benché a Socci piacciano sempre gli eroi solitarî (ma neppure il Frodo di Tolkien è un eroe solitario) – così neanche Caffarra fu solo contro tutti, e l’analogia di Socci verteva chiaramente sul dire che, come Liberio ebbe torto a condannare Atanasio (cosa di cui non v’è alcuna evidenza storica), così Francesco ha torto a non appropriarsi dei Dubia. A Socci dunque contesto due cose: 1) la scorrettezza di piegare univocamente la lettura di un passaggio quantomeno oscuro della storia della Chiesa al servizio della propria (ormai arcinota) tesi; 2) l’inopportunità – errore, questo, che ha in comune con don Leonardi – di occupare la scena, in un giorno luttuoso, perorando la propria causa e non semplicemente ricordando il Cardinale.
      A questo proposito, mi fa piacere rimandare a un bel ricordo di don Samuele Pinna: una dichiarazione di affetto, di stima, di venerazione e di pietà cristiana. Ciò che, nel digrignare di denti di Socci e nelle alzatine d’occhio di sufficienza di don Leonardi, appunto s’era perso di vista.

  3. Condivido l’ultimo pensiero. Hai una cultura immensa ma non una visione profetica della realtà, come si te sfuggisse il nocciolo della questione, appunto.
    Riguardo al fatto che questo cardinale stesse soffrendo leggiti pure le testimonianze dei due autori del blog Isola di Patmos.

    • Gentilissima, grazie del commento (che mi ricorda di rispondere pure a Maria). Che il Cardinale stesse soffrendo è cosa certamente probabile, anzi forse necessaria, «perché a voi – spiega san Paolo – è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). Questo mistero di contraddizione e di sofferenza perdurerà fino alla fine del mondo, anche nella Chiesa, e proprio una visione profetica non può prescindere da tale dato rivelato.

  4. Riguardo al parallelo con l’arianesimo, ritengo illuminante l’articolo di Pierantoni che ti linko.
    http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351421.html
    Poi ripreso nella conferenza riguardo ai Dubia organizzata dalla nuovabussulaq
    http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2017/04/22/dopo-i-quattro-cardinali-parlano-sei-laici-chissa-che-il-papa-ascolti-almeno-loro/
    Questa è una visione profetica!
    Se tutto ciò che sappiamo non ci aiuta a leggere la realtà, siamo fritti! Oppure soffocati dalle troppe nozioni!

Di’ cosa ne pensi