
“Il pane non mi mancherà in nessuna parte del mondo!”. Così Dante scrisse all’amico fiorentino, rifiutando l’offerta del Comune di Firenze che gli prospettava il ritorno in patria dietro il pagamento di un’ammenda e dopo un atto di pubblica penitenza. Nella stessa lettera Dante scriveva: “Non potrò forse contemplare da ogni altro luogo il sole e le stelle? Non potrò forse ovunque sotto la volta celeste riflettere sulle dolcissime verità?”.
Con queste parole Dante indicava ciò che era essenziale: la ricerca della verità e della bellezza, che egli riassume nel termine “stelle”, che per lui era sinonimo del Mistero infinito di Dio, tanto da apporlo come una firma alla fine delle tre cantiche della Commedia.
Ora, siccome a influenzare gli esseri e le vicende terrene, sono, secondo l’astrologia, proprio gli astri del cielo, cioè stelle e costellazioni, per approfondire questo tema nella Divina Commedia occorre innanzitutto farsi un’idea di come era rappresentato l’universo geocentrico dantesco, che è poi quello del Medioevo cristiano, che a sua volta l’aveva ricevuto, “battezzandolo”, per così dire, da Aristotele e dall’antica astronomia greca (Ipparco e Tolomeo) e ancor prima babilonese ed egiziana.
Diamo un’occhiata a questo schema:
La Terra è immobile al centro dell’universo, circondata prima dalle sfere dell’acqua, dell’aria (… in circuito tutto quanto / l’aere si volge – Purgatorio 28, 103-104), del fuoco, e poi da nove sfere concentriche o cieli costituiti di etere, materia trasparente e invisibile, chiamata anche “quinta essenza” (dopo i quattro elementi di terra, aria, acqua, fuoco).
Perché gli antichi introdussero queste sfere, che in realtà, naturalmente, non esistono?
La risposta è semplice. Si chiedevano: perché i pianeti e le stelle non cadono sulla Terra?
Non conoscendo la legge di gravitazione universale di Newton, immaginarono queste immense sfere come i sostegni materiali e invisibili di pianeti e stelle su di essi “incastonati”.
Ecco perché, per esempio, chiamiamo ancora oggi “sfere” anche le lancette dell’orologio, che non hanno nulla di sferico: “sfere” perché seguono la sfera del Sole, sul cui movimento è misurato il tempo degli uomini.
I cieli danteschi si susseguono secondo il seguente ordine:
- Cielo della Luna con le sue “macchie”
- Cielo di Mercurio
- Cielo di Venere
- Cielo del Sole raggiante
- Cielo di Marte con la croce dello scudo dei crociati, fra cui il trisavolo Cacciaguida
- Cielo di Giove con l’aquila disegnata dalle anime
- Cielo di Saturno con la scala di Giacobbe
- Cielo delle Stelle fisse, cioè delle Costellazioni dello Zodiaco, “cui tanti lumi fanno bello” (Paradiso 2, 130)
- Primo mobile o Cielo Cristallino, senza corpi celesti “incastonati”.
“Fuori di tutti questi (cieli) – spiega lo stesso Dante in Conv. II, III, 8 – li cattolici pongono lo cielo empireo che è a dire cielo di fiamma o vero luminoso”. È il Paradiso vero e proprio: un cielo di
luce intellettual, piena d’amore;
amore di vero ben, pien di letizia,
letizia che trascende ogni dolzorePd XXX, 40-42
Non gira (… non è in loco e non s’impola – Pd XXII, 67) e si mostra a Dante prima come “miro gurge”, un fiume di luce, che poi diventa un lago, su cui si innalza, come su una corolla, la “candida rosa”.
Dante chiama anche la luna e il sole “pianeti”, dal greco planètes, cioè “errabondi” rispetto alle stelle fisse, cioè al disegno delle costellazioni che rimane costante.
Il Primo mobile era necessario immaginarselo: oltre al movimento periodico da ovest a est degli astri c’è il moto diurno delle 24 ore: tutti i corpi celesti si alzano a oriente (per noi dell’emisfero boreale), girano verso sud e poi tramontano a ovest. Noi sappiamo che è la Terra a girare, ma gli antichi pensavano che fosse tutto il Cielo a ruotare intorno alla Terra da est a ovest in 24 ore, trascinato dal Cielo Cristallino, chiamato da Dante “lo real manto di tutti i volumi” (Pd XXIII, 112).
Il moto del Primo Mobile, da est a ovest, è quello disegnato lungo l’equatore celeste, mentre il moto planetario è complessivamente quello disegnato lungo l’Eclittica (l’orbita descritta dal sole intorno alla Terra lungo lo Zodiaco) e taglia obliquamente il primo da ovest a est.
I due opposti moti circolari, lento quello planetario (simbolo dell’umano), travolgente quello del Primo Mobile (simbolo di Dio), si incrociano con un incontro quasi nuziale nei punti equinoziali γ e ω.
Ora raccogliamo l’invito di Dante a guardare in cielo “quanto per mente” (quella delle intelligenze angeliche) nello spazio (per loco) “si gira”:
Leva dunque, lettore, a l’alte rote
meco la vista, dritto a quella parte
dove l’un moto e l’altro si percuote.
Vedi come da indi si dirama
L’obliquo cerchio che i pianeti porta”.Pd X, 1-15
Dante sottolinea l’importanza di quel punto in cui il sole entra in Ariete e dà inizio alla primavera, determinando una situazione astrologica ricca di favorevoli influenze:
Surge ai mortali per diverse foci
la lucerna del mondo; ma da quella
che quattro cerchi giugne con tre croci,con miglior corso e con migliore stella
esce congiunta, e la mondana cera
più a suo modo tempera e suggella.Pd X, 37-42
Ed eccoci al punto che ci riguarda in questa ricerca su Dante e l’astrologia.
Con piacere leggo questo testo del prof. Fiorito! Benvenuto! Io sono un frequentatore del blog “Breviarium” e sono di Subiaco, dove varie volte ho assistito a suoi incontri su Dante, sempre in occasioni legate alla memoria, viva, del nostro amato Don Paolo Pecoraro. Da oggi un altro motivo, semmai ce ne fosse bisogno, per vivere questo spazio di vera fede che si fa cultura. Buon inizio!
Su DANTE –
GRAZIE PER L'ATTENZIONE.
1 – INTERVISTA fatta da Umberto Cecchi a Giovangualberto Ceri su DANTE ALIGHIERI andata in onda a TV. Canale 10 – Firenze – il Martedì 11 Marzo 2008 alle ore 12h. e poi riprodotta per intero da Ruggero Sorci.
2 – DISCUSSIONE su DANTE ALIGHIERI, con Giovangualberto Ceri, del Venerdì 25 Marzo 2022 – insieme alle classi III, IV e V del Liceo linguistico, di san Benedetto del Tronto, guidate dalla Professoressa PAOLA SGUERRINI : https://www.youtube.com/watch?v=gu_iPZCw7fI
3 – Il CIDA (Centro Italiano di Astrologia) su Dante Alighieri – ANNA MARIA MORSUCCI intervista Giovangualberto Ceri su DANTE il 16/05/2021 a Roma: https://www.youtube.com/watch?v=TR2Jc11HVJ0&t=51s
Lettera aperta di Giovangualberto Ceri ai tutori del patrimonio culturale di DANTE ALIGHIERI.
– All’Ill.mo Signor Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella.
– All’ Ill.ma “Società Dantesca Italiana” di Firenze.
– All’Ill.ma “Accademia della Crusca” – Via di Castello, 46 / 50141 – Firenze
– All’Ill.ma “Casa di Dante in Roma“ Piazza Sidney Sonnino, 5. – 00153 Roma (RM).
– All’Ill.ma “Accademia Nazionale dei Lincei” -Via della Lungara, 10, 00165 Roma (RM).
– All’ Ill.mo Istituto d’Istruzione Superiore “Augusto Capriotti” di San Benedetto del Tronto per il suo interessamento alle mie scoperte su Dante. Prima fra tutte il giorno di nascita di Beatrice personaggio della Commedia e della Vita Nuova corrispondente alla festa dei ss. Angeli Custodi del Venerdì 2 Ottobre 1265 (cfr. Par. XXII, 110 – 117; Vita Nuova, II, 1 – 2): festa rimessa in vigore nel medioevo da san Bernardo di Chiaravalle, il maestro più qualificato di Dante.
PREAMBOLO.
La lettera annuncia una inattesa e rivoluzionaria scoperta, rigorosamente scientifica, sulla COMMEDIA di DANTE. Tale scoperta conferma il viaggio della Commedia avvenuto nel 1301 ed esclude inequivocabilmente la possibilità del viaggio nel 1300: quello fino a oggi quasi generalmente accolto. Dante ci mette in grado di fare la verifica dell’anno giusto attraverso il corretto ragionamento e semplice controllo scientifico dei versi 79 - 81, del canto X, dell’Inferno che così recitano:
“Ma non cinquanta volte fia raccesa / la faccia” de la donna (la Luna) che qui regge (dunque questi noviluni, non possono essere numericamente superiori a quarantanove), / che tu saprai quanto quell’arte (il tentativo di Dante e dei suoi compagni di ritornare a Firenze che finirà nel giugno del 1304) pesa” (sarà impossibile).
Ebbene, la Tradizionale Critica Dantesca, interpretando questa terzina ha sempre concordemente sostenuto che essa indica il viaggio nella primavera del 1300 poiché, di noviluni, per lei se ne contano meno di cinquanta: e per cui il 1300 verrebbe approvato e sarebbe fuori discussione.
Se andiamo però a controllare, ossia a contare sulle dita questi noviluni, il loro numero risulta essere, de facto, superiore a cinquanta: con ciò escludendo la possibilità del viaggio nel 1300: e per cui non resta in piedi che il 1301.
A mio giudizio Dante ha composto la nostra terzina (Inf. X, 79 - 81) proprio per lasciare un chiaro indizio circa l’anno giusto: il 1301. Anno giusto del viaggio nel 1301 che però si evince scientificamente anche dai versi 34 – 39, del canto XVI, del paradiso, “Da quel dì che fu detto «Ave» / …”. Questi versi infatti, indicando l’inizio dell’èra cristiana a Firenze in base alla presenza, durante l’anno, di Marte nel segno del Leone, fanno iniziare l’èra cristiana un anno dopo che Dionigi il Piccolo, Bonifacio VIII, e noi oggi col nostro computo storico, o odierno. Dionigi il Piccolo, eccetera!, facendola infatti iniziare, come noi, dal 1° Avanti Cristo, o 753 ab urbe condita, in cui mai abbiamo Marte in Leone; i Fiorentini e Dante invece dal 1° Dopo Cristo, o 754 ab urbe condita, in cui abbiamo Marte in Leone dalla domenica 3 luglio, al venerdì 19 agosto del 1° Dopo Cristo. Conseguentemente gli stessi Fiorentini e Dante hanno il loro anno 1300, se espresso sul nostro computo odierno, nel nostro 1301, poiché 1° Dopo Cristo (da dove contavano i Fiorentini), più 1300 anni, uguale 1301. Ed è un’indicazione che Dante, intende difendere a scanso di pericoli, creando anche la nostra terzina (Inf. X, 79 - 81): i diversi inizi dell’anno in base alle festività religiose non incidendo sul nostro computo.
Ebbene, se la critica tradizionale avesse asserito viaggio nel 1301, per diverse ragioni, tutte scientifiche, la Commedia sarebbe apparsa un’altra cosa, più profonda, interessante e utile: perciò da fare meglio imboccare alla gente la “diritta via”: quella di una pace fra gli uomini culturalmente fondata.
Titolo della lettera aperta
“DANTE SOTTO I RIFLETTORI ”
(In attesa che qualcuno la pubblichi)
REFERENZE.
1) “ITALINEMO”, Riviste di Italianistica nel mondo diretta da Gianfranco Crupi. Cfr., a cura di Barbara Manfellotto, “L’Alighieri”, anno 2000, n. 15 – Annata: XLI. Mese: gennaio-giugno. Autore articolo: Giovangualberto Ceri. Titolo articolo: “L’Astrologia in Dante e la datazione del ‘viaggio’ dantesco”. Angelo Longo Editore, Ravenna, pp. 27 – 57.
2) Giovangualberto Ceri, “Dante e l’Astrologia”, – con presentazione di Francesco Adorno – ed. Loggia de’ Lanzi, Firenze, 1995, pp. 111.
3) Intervista del Direttore de “LA NAZIONE” di Firenze Umberto Cecchi a Giovangualberto Ceri su DANTE andata in onda, su T.V. “Canale 10”, il Martedì 11 Marzo 2008 alle ore 12.00’. cfr: https://www.youtube.com/watch?v=H7w8NGdsDaM
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Festa del “DANTEDÌ” del Martedì 25 Marzo 2025
Gentili Signore e Signori e cari Amici,
Dante, con i versi 79 - 81 del canto X dell’inferno da me appena esposti nel “preambolo”, del tutto intenzionalmente ha voluto mettere in guardia la critica, l’ascoltatore, il lettore, circa la datazione del viaggio della Commedia. L’anno giusto emergerà dopo aver proceduto al controllo scientifico della terzina in questione (Inf. X, 79 – 81) che perentoriamente indicherà l’anno 1301.
La Tradizionale Critica ha invece sempre commentato questa terzina facendole erroneamente indicare l’anno 1300, forse anche perché corrispondeva all’anno del Giubileo di papa Bonifacio VIII. Ma da qui il sorgere, se io mai avessi ragione!, di un grosso problema per la tradizionale critica poiché, con il viaggio nel 1301, su Dante risulta quasi tutto, e non solo per senso, da rifare.
Scusate, con beneficio d’inventario, la mia presunzione; nonché se ripeterò alcuni concetti, in quanto, in sette secoli di esegesi, il senso di questa fondamentale terzina (Inf. X, 79 – 81) è sfuggito a tutti. Dunque qualcosa di assai difficile da capire, o vincere, dovrebbe fra le sue righe pur esserci stato.
La formulazione della nostra terzina da parte di Dante anche perché, seguendo le mie scoperte e ricerche, è intuibile che lui già avesse fin dai suoi tempi intuito che la santa Inquisizione (per esempio nella figura dell’inquisitore di Firenze Accursio Bonfantini, quello che poi fece condannare al rogo anche Cecco d’Ascoli il 16 settembre 1327, in piazza Santa Croce e che per primo aveva commentato la Commedia nella cattedrale di Santa Reparata), una volta che Dante stesso fosse “dipartito da noi”, ne avrebbe commentato l’Opera mai e poi mai facendo emergere quello che lui autenticamente aveva in mente, a cominciare dall’anno giusto del viaggio, il 1301. Perciò assistiamo al fatto che, mentre l’Inquisizione faceva mettere in bocca a Dante l’errato commento della nostra terzina (Inf. X, 79 – 81) facendole erroneamente e furbescamente esclamare anno 1300, la lungimiranza dello stesso Dante l’aveva però preceduta. Lui la compose in maniera tale che, se poi un commentatore fosse stato sufficientemente attento e dunque non avesse tralasciato alcun particolare, come sostiene anche Cartesio quando siamo alla ricerca di verità scientifiche, ebbene l’importante messaggio in essa contenuto sarebbe certamente, prima o poi, venuto a galla: il viaggio della Commedia nel 1301. Ed è importantissimo che risulti 1301 per tre grosse ragioni.
Prima. Poiché Dante intendeva, attraverso la Commedia, divulgare le dieci scienze medievali gerarchicamente costituite (Convivio, II, XIII, 7 – 30; II, XIV, 1 – 20) sotto cui il suo medioevo aveva racchiuso, o sussunto come sotto un cappello, tutto il mondo, tutta la realtà, anche al fine di poterla conoscere; mentre, per poter raggiungere questo scopo, aveva scelto di descriverle, di esporle, nel viaggio della Commedia sul 1301. Sicché, qualora si fosse invece detto 1300, soprattutto riguardo alla conoscenza delle quattro più gradi et ultime scienze, quelle maggiormente magnificenti l’essere umano, il traguardo a cui mirava Dante assai appassionatamente, non avrebbe potuto più essere raggiunto: queste quattro sarebbero risultate irraggiungibili.
Seconda. Poiché Dante era dell’opinione che ogni persona avrebbe potuto essere messa in grado di arrivare alla propria salvezza, cioè la propria “perfezione e felicitade”, esclusivamente dedicandosi alla ricerca scientifica (Convivio, I. I. 1). Ma se le scienze di cui doversi impadronire per incamminarsi verso tale mèta erano comprensibili solo immaginando il viaggio nel 1301, se qualcuno avesse sostenuto viaggio nel 1300, avrebbe tarpato ai lettori le ali, le proprie penne, cioè per volare verso il X cielo Empireo per emulazione di Dante. Ebbene, a tale mutilazione ci pensò sempre nei secoli l’Inquisizione: e bastò sostenere viaggio nel 1300.
Terza. Poiché tale anno 1301 è in grado, se analizzato con convinzione è guardato controluce, di dimostrare anche che a Firenze, a chiusura del XIII secolo fiorentino, si voleva celebrare un giubileo “a nativitate Domini” in base al proprio calendario “ad Incarnatione”: dunque analogamente a come l’aveva proclamato Bonifacio VIII l’anno prima, nel 1300.
L’Inquisizione, per far raggiungere la salvezza, indicava: un sincero pentimento; di confessare i propri peccati; di chiedere perdono a Dio per così venire assolti da un sacerdote per infine presentarsi al sacramento della Comunione.
Dante però non la pensava affatto così. Lui era convinto, che per mettersi sulla strada della Comunione, cioè della salvezza, della “perfezione e felicitade” di ognuno, e perciò della pace nel mondo, bisognasse per prima cosa buttarsi a praticare, a ricercare, come ho già fatto presente!, le dieci scienze medievali gerarchicamente costituite (Convivio, II, XIII, 7 – 30; II, XIV, 1 – 20) e, fra queste dieci, buttarsi soprattutto sulle quattro ultime e più gradi. Che in Dante il raggiungimento di tale mèta sia legato alla ricerca scientifica non ci sono dubbi poiché viene subito stabilito nell’Incipit del Convivio in cui questo troviamo sentenziato.
Tutte le cose create, proprio perché la loro stessa natura è stata così provvidenzialmente “impinta” dalla divina Provvidenza al momento della loro creazione, vengono tutte spontaneamente inclinate a raggiungere la loro propria “perfezione e felicitade”: essere umano compreso. Quindi analogamente a come già notiamo avvenire naturalmente nei semi delle piante messi sotto terra. E siccome Dante a conclusione dell’Incipit sentenzia che “la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade ( ed è questo anche il motivo per cui) tutti (gli esseri umani) naturalmente ( cioè spontaneamente) al suo desiderio (quello del sapere scientifico sono ) subietti”, cioè soggetti (Convivio, I. I. 1), ecco allora come lui ci fa chiaramente, oggettivamente sapere che la salvezza è raggiungibile solo, o soprattutto, per scienza. Infatti, se la natura può essere indagata solo dalla scienza; e se dentro di essa, in potenza, in embrione, c’è già tutto quello di cui essa stessa ha bisogno per crescere, per raggiungere la propria “perfezione e felicitade”, essere umano compreso, allora il mezzo, lo strumento necessario a salvarsi, non potrà essere costituito che dalla conoscenza scientifica.
Comunque, se non bastasse tale incipit a convincerci che in Dante è soprattutto “scienza”, ebbene a rafforzare tale indirizzo leggiamo anche che, “nel desiderare de la scienza, successivamente finiscono li desideri e viensi a perfezione” (Convivio, IV, XIII, 5). Dunque nient’affatto con il pentimento, la confessione, l’assoluzione dai peccati e la Comunione, come pretendeva, imponeva, l’Inquisizione.
Ma se l’Inquisizione mai poteva accettare che la gente, i cittadini, potessero raggiungere la loro propria “perfezione e felicitade” dedicandosi alla ricerca scientifica (Convivio, I. I. 1), anche perché essa sarebbe rimasta tagliata fuori, avrebbe avuto ben poco da aggiungere, ebbene la stessa Inquisizione dimostrava tutto questo suo diverso indirizzo salvifico attraverso i contenuti stabiliti dal “Credo”: il simbolo del cristianesimo.
Orbene a ulteriore dimostrazione che Dante si oppone all’Inquisizione si potrà osservare, che pur lui mettendo nella Commedia ben quaranta passi della nostra sacra Teologia Liturgica quale “Divina Scienza” del X e ultimo cielo, l’ Empireo, la stesso “Credo” del tutto intenzionalmente non ce lo mette (cfr. Mons. Dante Balboni del Vaticano, “La «Divina Commedia» poema liturgico del primo Giubileo”, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1999, pp. 45 – 48). Bella ed eclatante dimostrazione specialmente se ci riconduciamo, con la nostra immaginazione, a quello che poteva succedere, con la recitazione del “Credo”, nei tribunali dell’Inquisizione.
Orbene, se sosteniamo viaggio avvenuto nel 1300, la Commedia non può risultare altro che un’opera di grandissima poesia e altissima e meravigliosa fantasia: e c’è chi si accontenta.
Se sosteniamo invece viaggio nel 1301, nulla togliendo alla grandiosità e fascino della sua poesia e fantasia, emerge in più che Dante ha inserito nella stessa Commedia tutte le dieci scienze gerarchicamente costituite (Convivio, II, XIII, 7 – 30; II, XIV, 1 – 20) che serviranno a salvaci e, tanto più, le ultime quattro e più grandi.
Anzi Dante espressamente maledice quei cristiani presuntuosi che non hanno voluto imparare dai pagani come fare a salvarsi per via scientifica, cioè nell’intraprendere la retta via della “perfezione e felicitade”. Dante mette in evidenza questa realtà quando fa gli elogi degli Epicurei, Stoici e Peripatetici facenti parte delle “Atene celestiali” (Convivio, III, XIV, 15), la cui scienza corrisponde, più ampiamente, alla scienza della “Metafisica” comparabile all’VIII cielo delle Stelle Fisse. Epicurei (p.e. Farinata degli Uberti, l’Imperatore Federico II di Svevia), Stoici (p.e. Catone l’Uticense) e Peripatetici (p. e. Virgilio) che vengono poi da lui addirittura paragonati alle tre Marie, cioè a “Maria Maddalena, Maria Iacobi e Maria Salomé (che) andaro per trovare lo Salvatore (Gesù Cristo sepolto) e quello non trovaro”; però poterono poi annunciare “a li discepoli suoi e a Piero che elli (Gesù Cristo) li precederà in Galilea” (Convivio, IV, XXII, 14 – 15). Ed è proprio perché Dante pensa, a ragion veduta, che l’Inquisizione era contraria agli Epicurei, Stoici e Peripatetici, così come anche ai Pitagorici la cui scienza è paragonabile al IX Cielo, cristallino, aqueo e di Maria (Convivio, II, XV, 1 – 12) che pronuncia la sua famosa maledizione contro la stessa Inquisizione; poiché tale contrarietà impediva al Vangelo di poter essere capito e fruttuosamente praticato.
Iuxta sententiam Dantis leggiamo infatti: “E oh stoltissime e vilissime bestiuole (gli appartenenti all’Inquisizione), che a guisa d’uomo voi pascete, che presumete contr’a nostra fede (quella nel Vangelo) parlare e volete sapere, ciò che Iddio con tanta prudenza hae ordinato (per aver fatto precedere l’annuncio del Vangelo a epicurei, stoici, peripatetici e pitagorici, dunque sulla via della Galilea)! Maledetti siate voi, e la vostra presunzione, e chi a voi crede!” (Convivio, IV, V, 9).
Di conseguenza la “lupa” dell’inferno; la “bestia sanza pace” (Inf. I, 58); la “bestia, per la qual tu gride” (Inf,. I, 94); la “bestia (che) fa tremar le vene e i polsi” (Inf. I, 90); la “bestia (che) non lascia altrui passar (epicurei, stoici , peripatetici e pitagorici) per la sua via, ma tanto lo ‘mpedisce che l’uccide” (Inf. I, 94 – 96); la “lupa, che di tutte brame sembrava carca ne la sua magrezza, e molte genti fe’ già viver grame” (Inf. I, 49 – 51), in senso “litterale” non potrà allora che corrispondere alla santa Inquisizione, come del resto sostiene anche Ugo Foscolo.
Le scienze in questione, quelle più “grandi et ultime” che non possono essere colte nel viaggio del 1300 poiché Dante, nella Commedia, le ha tarate per il 1301, sono le seguenti. L’ “Astrologia” del VII cielo di Saturno; la “Metafisica” dell’ VIII cielo delle Stelle Fisse; la “Morale Filosofia” (quale scienza pitagorica sessualmente fondata) del IX Cielo cristallino, acqueo e di Maria; la “Divina Scienza”, corrispondente alla sacra “Teologia Liturgica” di tutte le religioni autentiche, del X e ultimo cielo, l’Empireo.
Orbene, Dante permette di capire che la sacra Teologia Liturgica del X cielo Empireo, “quieto e pacifico”, il “quale non soffera lite alcuna d’oppinioni, o di sofistici argomenti, per la eccellentissima certezza del suo subietto, lo quale è Dio” (Convivio, II, XIV, 19 – 20), corrisponde a quella di tutte le religioni autentiche, e non solo quella del cristianesimo, nel punto in cui sentenzia: che “Dio non volse religioso di noi se non lo cuore” (Convivio, IV, XXVIII, 9). E siccome anche un ateo, un epicureo, eccetera, può avere un “cuore religioso”, come anche un ebreo, o islamico, o buddista, ecco allora come quest’uomo, avendo adempiuto col suo cuore religioso alla volontà di Dio, ha per Dante, un posto, anche lui, nel X Cielo Empireo, la cui scienza, cioè ad esso stesso comparabile, è, appunto!, la sacra Teologia liturgica di tutte le religioni autentiche fatta della consegna della parola sacra, di inni e canti, dolci sinfonie di paradiso, e danze, a gloria della Divinità.
Orbene, per l’idoneità all’anno giusto del viaggio nel 1301 in conseguenza della nostra terzina (Inf. X, 79 - 81) non ci sono dubbi, problemi: è idoneo. Tale anno è infatti giusto in quanto, per arrivare al giugno 1304, di noviluni se ne contano ovviamente assai meno di cinquanta e anzi direi soltanto quaranta.
Nel caso invece del viaggio nel 1300, se prendiamo come inizio del computo:
A) sia il giorno indicato, ideale, dalla recente festa del “DANTEDÌ”, che vuole l’inizio del viaggio stesso il Venerdì 25 marzo del 1300;
B) sia quello dei giorni intorno alla Pasqua cadente la domenica 10 aprile 1300, com’era sempre avvenuto nei precedenti e plurisecolari commenti;
C) ebbene, nei due casi, per arrivare al Giugno 1304 di noviluni ne incontriamo oggettivamente, come già ricordato, più di cinquanta e perciò questo stesso anno 1300 è assolutamente da respingere. Ed ecco subito il relativo elenco scientifico dei NOVILUNI in questione.
Per notizia nell’anno 1300 il PLENILUNIO si dette, come tutti sanno, poche ore prima che Dante iniziasse il viaggio con “Temp’era dal principio del mattino, … ” (Inf. I, 37 – 43): e dunque con plenilunio (“ e già iernotte fu la luna tonda: / ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque / alcuna volta per la selva fonda.” – Inf. XX, 127 – 129) verificatosi alle ore 05h.13’ circa del martedì 5 Aprile 1300 su Gerusalemme. A Monspessulanus, l’attuale Montpellier, alle ore 03h.08’, e T.U. alle 02h.53’, del martedì 5 Aprile 1300, come già evidenziato nel mio volume “Dante e l’Astrologia”, con presentazione di Francesco Adorno (Ed. Loggia de’ Lanzi, Firenze, 1995, pp. 44 – 45).
Conseguentemente il precedente NOVILUNIO si era dato a Firenze il Lunedì 21 Marzo 1300 alle ore 22h. circa che perciò è da escludere dal computo poiché giorno precedente anche all’attuale festa del “Dantedì” che indica, pretende, l’inizio del viaggio il Venerdì 25 Marzo 1300, se pur al di fuori, ovviamente!, di ogni controllo scientifico e perciò appellandosi ad una idealità e alla pura fantasia.
Orbene per l’anno 1300, successivamente al ricordato NOVILUNIO NON VALIDO perché si era dato il Lunedì 21 Marzo 1300 alle ore 22h. circa, abbiamo a Firenze il primo NOVILUNIO VALIDO, da cui dobbiamo iniziare a computare per arrivare a non più di 49 noviluni, alle ore 19h.35’ circa del Mercoledì 20 Aprile 1300. Per notizia, tanto cara a Dante, con Discendente, o orizzonte occidentale, a 16°.07’ nel segno del Toro; con Luna a 17°.25’ in Toro e dunque visibile sull’orizzonte occidentale per trovarsi circa un grado e 18 minuti sopra tale stesso orizzonte; e con Sole a 08°.10’ nel segno del Toro, e dunque con Sole otto gradi circa sotto l’orizzonte occidentale e perciò già tramontato: dunque in maniera tale che i raggi della Luna risultino concretamente visibili. Vi Ricordate…? “li raggi di ciascun cielo sono la via per la quale discende la loro vertude in queste cose di qua giù” (Convivio, II, VI, 9. Questa la situazione oggettiva del primo novilunio valido.
Tutto ciò precisato, ecco qui di seguito in stretta successione il computo su Firenze dei NOVILUNI a datare dall’inizio del viaggio nel 1300 fino ad arrivare al Giugno del 1304 in cui DANTE fu costretto, giocoforza!, a smettere di lottare, unitamente ai suoi compagni, per ritornare nella sua Firenze.
ELENCO dei NOVILUNI incontrati dal 25 Marzo 1300 al Giugno 1304.
Il 1° Novilunio, si verificò il mercoledì 20 Aprile 1300. Rilevamento: ore 19h.35’.
Il 2° Novilunio il giovedì 19 maggio 1300. – Rilev. 18h.00’
Il 3° Novilunio il sabato 18 giugno 1300. – Rilev. 12h.00’
Il 4° Novilunio la domenica 17 luglio 1300. – Rilev. 12h.00’
Il 5° Novilunio il lunedì 15 agosto 1300. – Rilev. 18h.00’
Il 6° Novilunio il mercoledì 14 settembre 1300. – Rilev. 12h.00’
Il 7° Novilunio il giovedì 13 ottobre 1300. – Rilev. 22h.00’
L’ 8° Novilunio il sabato 12 novembre 1300. – Rilev. 18h.00’
Il 9° Novilunio il lunedì 12 dicembre 1300. – Rilev. 12h.00’
Il 10° Novilunio il mercoledì 11 gennaio 1301. – Rilev. 06h.00’
L’ 11° Novilunio il venerdì 10 febbraio 1301. – Rilev. 12h.00’
Il 12° Novilunio il sabato 11 marzo 1301. – Rilev. 12h.00’
Il 13° Novilunio il lunedì 10 aprile 1301. – Rilev. 12h.00’
Il 14° Novilunio il martedì 09 maggio 1301. – Rilev. 12h.00’
Il 15° Novilunio il giovedì 08 giugno 1301. – Rilev. 06h.00’
Il 16° Novilunio il giovedì 06 luglio 1301. – Rilev. 21h.00’
Il 17° Novilunio il sabato 05 agosto 1301. – Rilev. 05h.00
Il 18° Novilunio la domenica 03 settembre 1301. – Rilev. 21h.00’
Il 19° Novilunio il martedì 03 ottobre 1301. – Rilev. 06h.00’
Il 20° Novilunio il giovedì 02 novembre 1301. – Rilev. 06h.00’
Il 21° Novilunio il venerdì 01 dicembre 1301. – Rilev. 21h.00’
Il 22° Novilunio la domenica 31 dicembre 1301. – Rilev. 12h.00’
Il 23° Novilunio il martedì 30 gennaio 1302. – Rilev. 12h.00’
Il 24° Novilunio il mercoledì 28 febbraio 1302. – Rilev. 18h.00’
Il 25° Novilunio il venerdì 30 marzo 1302. – Rilev. 12h.00’
Il 26° Novilunio il sabato 28 aprile 1302. – Rilev. 21h.00’
Il 27° Novilunio il lunedì 28 maggio 1302. – Rilev. 06h.00’
Il 28° Novilunio il mercoledì 27 giugno 1302. – Rilev. 06h.00’
Il 29° Novilunio il giovedì 26 luglio 1302. – Rilev. 06h.00’
Il 30° Novilunio il venerdì 24 agosto 1302. – Rilev. 06h.00’
Il 31° Novilunio il sabato 22 settembre 1302. – Rilev. 22h.00’
Il 32° Novilunio la domenica 21 ottobre 1302. – Rilev. 22h.00’
Il 33° Novilunio il martedì 20 novembre 1302. – Rilev. 12h.00’
Il 34° Novilunio il giovedì 20n dicembre 1302. – Rilev. 06h.00’
Il 35° Novilunio il venerdì 18 gennaio 1303. – Rilev. 21h.00’
Il 36° Novilunio la domenica 17 febbraio 1303. – Rilev. 18h.00’
Il 37° Novilunio il martedì 19 marzo 1303. – Rilev. 12h.00’
Il 38° Novilunio il giovedì 18 aprile 1303. – Rilev. 06h.00’
Il 39° Novilunio il venerdì il 17 maggio 1303. – Rilev. 22h.00’
Il 40° Novilunio la domenica 16 giugno 1303. – Rilev. 12h.00’
Il 41° Novilunio il lunedì 15 luglio 1303. – Rilev. 22h.00’
Il 42° Novilunio il martedì 13 agosto 1303. – Rilev. 22h.00’
Il 43° Novilunio il giovedì 12 settembre 1303. – Rilev. 06h.00’
Il 44° Novilunio il venerdì 11 ottobre 1303. – Rilev. 22h.00’
Il 45° Novilunio la domenica 10 novembre 1303. – Rilev. 12h.00’
Il 46° Novilunio il lunedì 09 dicembre 1303. – Rilev. 22h.00’
Il 47° Novilunio il mercoledì 08 gennaio 1304. – Rilev. 06h.00’
Il 48° Novilunio il venerdì 07 febbraio 1304. – Rilev. 06h.00’
Il 49° Novilunio il sabato 07 marzo 1304. – Rilev. 12h.00’
Il 50° Novilunio il lunedì 06 aprile 1304. – Rilev. 12h.00’
Il 51° Novilunio il martedì 05 maggio 1304. – Rilev. 22h.00’
Il 52° Novilunio il venerdì 05 giugno 1304. – Rilev. 20h.30’
Ebbene, siccome la Tradizionale Critica Dantesca sostiene da sempre, o lascia capire in sordina, ripeto!, che a datare dal viaggio nel 1300, di noviluni, o di pleniluni (e perciò ad iniziare a computare dal marzo-aprile 1300, fino ad arrivare al giugno 1304) ce ne sono MENO di cinquanta come richiesto da Dante (Inf. X, 79 – 81), quando invece, a conti fatti, risulta il contrario poiché, di noviluni, ma anche di pleniluni, se ne contano ben 52 (cinquantadue), cosa concludere…? Che qui c’è un errore dalle conseguenze incalcolabili.
Riporto alcuni commenti significativi alla terzina in questione dei più accreditati esegeti della Commedia.
PRIMO. Anna Maria Chiavacci Leonardi, scrive: “… non passeranno cinquanta mesi che tu saprai a tue spese come sia difficile l’arte del ritorno (a Firenze). Dante ruppe nel giugno del 1304, mentre il viaggio è immaginato nell’aprile del 1300: giusto un tempo di cinquanta mesi” (Dante Alighieri, “La Divina Commedia”, inferno, commento di Anna Maria Chiavacci Leonardi, ed. Oscar Mondadori, Milano, 2005, p. 321).
Mio chiarimento. Va bene, sì! Dunque 12 mesi a datare dall’aprile 1300 fino ad arrivare all’aprile 1301. Poi c’è l’anno 1302 – 1303 e 1304. Perciò 12 mesi per quattro anni = 48 mesi, e siamo all’aprile 1304; più il mese di maggio e quello di giugno 1304 in cui Dante perse ogni speranza di tornare a Firenze, e siamo a “giusto un tempo di cinquanta mesi” come ricordato dalla Chiavacci a pag. 321. Però questi mesi sono mesi solari, e non mesi lunari come Dante esige. E siccome in un anno solare ci sono 12 mesi lunari con un avanzo di circa 11 giorni solari, in quattro anni solari avanzano 44 giorni con in più almeno i 31 giorni del mese di maggio 1304. Totale uguale avanzo di 75 giorni in cui sono però possibili due mesi lunari mezzo circa. E per cui da 50 mesi solari, passiamo ad almeno 52 mesi lunari. Ma quelli lunari non avrebbero dovuto risultare meno di 50 e cioè non più di 49...? Del resto anche quelli solari, risultando “giusto un tempo di cinquanta mesi”, sono già anch’essi fuori tempo massimo. L’anno 1300 è perciò da escludere: mentre Dante è quello ch si aspetta.
Poi cfr. della Chiavacci, anche ivi!, a p. 37, per il suo insistere nella validità, per me sbagliata, del viaggio nel 1300 con diversi episodi.
Però, in generale, bisogna dire questo.
a) Dopo che i versi della terzina qui presa in esame indicano meno di cinquanta noviluni (Inf. X, 79 – 81) per arrivare al giugno 1304 e perciò escludono recisamente il viaggio nel 1300.
b) Dopo che i versi 34 – 39, del canto XVI, del paradiso, “Da quel dì che fu detto «Ave» / …”, per avere ricordato che l’anno fiorentino di inizio dell’èra cristiana è quello in cui c’è Marte nel segno del Leone, conseguentemente indicano che a Firenze si datava dall’anno 754 “ab urbe condita” corrispondente al nostro 1° anno Dopo Cristo. Purtroppo e per inciso,, commentando questi versi, gli esegeti si sono sempre limitati a calcolare quanti anni solari si contano i 580 anni di Marte, e hanno sorprendentemente ignorato la qualificantissima indicazione che, nell’anno in cui a Firenze si iniziava a computare, ci deve essere Marte nel segno del Leone.
c) Ebbene da tutto ciò consegue che, per Dante e i Fiorentini, la chiusura del loro XIII secolo si dava il sabato 25 marzo 1300 del loro calendario corrispondente al primo giorno del viaggio della Commedia. Ma siccome questo giorno è espresso in anni fiorentini, cioè a datare “ab Incarnatione” dal 754 “ab urbe condita”, o 1° anno Dopo Cristo, se questo stesso giorno lo spostiamo sul nostro calendario odierno che data dal 753 “ab urbe condita” e dunque dal 1° avanti Cristo, esso passa ad essere, dal sabato 25 marzo 1300, al sabato 25 marzo 1301.
Allora…?! Infatti non è per caso che nella Commedia tutte le longitudini dei pianeti indicano che il viaggio è avvenuto nel 1301 del nostro compiuto odierno, come diversi autori hanno già controllato, fra cui spicca, in età moderna, Filippo Angelitti. Ma proprio perché esso è avvenuto nell’anno 1300 del Calendario stile antico fiorentino: calendario che è andato però in disuso durante il XIV secolo poiché, da allora in poi, si è inteso, si è preferito, per “Calendario stile fiorentino” quello che semplicemente datava dal 25 marzo, cioè “ab Incarnatione, ma dal 753 “ab urbe condita, cioè del 1° Avanti Cristo, come Dionigi il Piccolo: anche perché quello era l’anno giusto di inizio dell’èra cristiana indicato da papa Bonifacio VIII. Un anno però, appunto! che non aveva Marte nel segno del Leone come Dante esige, ripeto!, quando recita, con i versi 34 – 39, del canto XVI del paradiso, “Da quel dì che fu detto «Ave» / …”.
Tuttavia, se così, allora anche a tutte le altre date riguardanti fatti e personaggi della Commedia dovrà sempre essere aggiunto un anno per poter passare dall’anno antico fiorentino, al nostro computo odierno: e faccio subito un esempio.
Prendiamo il caso della morte di Guido Cavalcanti.
Se corrispondesse al vero che “Guido, figlio del signore Cavalcante dei Cavalcati”, per quello che viene certificato nel “Registro Obituario di santa Reparata” – segn. I. 3.6. – a carte 41/recto, risulta morto, come già notato da Isidoro del Lungo, nell’agosto del 1300, adottando però questo stesso “Registro Obituario” l’anno fiorentino che parte da Marte in Leone, ebbene la morte di Guido Cavalcanti sarebbe allora avvenuta, se espressa sul nostro computo odierno, nell’agosto del 1301. Tale notizia non dovrebbe dunque più essere portata per negare il viaggio nel 1301 poiché Guido era “co’ vivi ancor congiunto” ( Inf. X, 110 – 111) il sabato 25 marz0 1301 in quanto morì nell’agosto del 1301.
Anzi, a stare a Francesco Velardi, uno dei più approfonditi conoscitori di questo problema e che ha pubblicato anche sulla rivista “Sotto il Velame” di Torino diretta da Renzo Guerci, il “Guido Cavalcanti” dei tempi di Dante sarebbero addirittura due e sempre entrambi figli di due diversi Cavalcante dei Cavalcanti. Sempre seguendo il “Registro Obituario di santa Reparata”, il Velardi ha scoperto che il Guido Cavalcanti amico di Dante era soprannominato “il cavicchia” per un difetto alle caviglie che gli davano un’andatura ondeggiante, a papero, mentre di lui non sappiamo, non risulta, quando sia morto. Conseguentemente la sua data di morte ( Inf. X, 110 – 111) non può esserci utile nello stabilire l’anno del viaggio dantesco com’è successo finora. Comunque, per il viaggio 1301, si tratta di quello già decretato anche dalle longitudini di Luna (Inf. XX, 127 – 129) Venere (Pur. I, 19 – 21) Saturno (Par. XXI, 13 – 15) ) e anche del Sole ( Inf. I, 37 – 43 ), a patto che si ricorra alla “precessione degli equinozi” con utilizzo della “costante di moto” del “cielo stellato” di Claudio Tolomeo pari ad un grado in cento anni ( Convivio, II, XIV, 11). E queste sono longitudini celesti che non temono smentita: insomma diversamente che i registri, gli atti notarili e le opere di autori.
A questo punto è importantissimo anche rendersi conto che a Firenze si voleva fare un giubileo in base al proprio calendario: e come avrebbe potuto essere diversamente per l’importanza che allora si dava al senso pitagorico dei numeri…??? Dunque non a datare dal 753 ab urbe condita come Bonifacio VIII, ma dal 754 con Marte nel segno del Leone. Però anche quello fiorentino doveva essere un giubileo “a nativitate Domini” come quello di Bonifacio VIII, pur adottando i Fiorentini il calendario “ad incarnazione Domini”. Da ciò allora consegue: che il periodo, dal sabato 25 marzo 1301 e inizio del viaggio dantesco, alla fine del viaggio stesso all’ora nona temporale del Venerdì Santo 31 marzo 1301, rientra nel più vasto arco dell’anno giubilare fiorentino “a nativitate Domini” che andava, dalla Domenica 25 dicembre 1300 al Lunedì 25 dicembre 1301: mentre credo che questa notizia, o mia scoperta, ai Fiorentini non dispiaccia.
A conferma di quanto affermato possiamo notare allora e finalmente, che quando l’angelo nocchiero inizia ad imbarcare alla foce del Tevere le anime “con tutta pace”, ed era l’inizio “a Nativitate” del giubileo fiorentino e dunque era la domenica 25 dicembre 1300, se aggiungiamo a questo giorno di apertura del giubileo fiorentino, i tre mesi di attesa sofferti da Casella “con tutta pace” alla foce del Tevere (Pur. II, 98 – 99) prima di venire imbarcato anche lui dall’Angelo, arriviamo puntualmente al sabato 25 marzo 1301 e inizio del viaggio dantesco: ovviamente se espresso sul nostro odierno calendario poiché, per i fiorentini, tale giorno corrispondeva, ripeto!, al sabato 25 marzo del loro anno 1300. Infatti anno 754 ab urbe condita e anno zero dei fiorentini, più XIII secoli, uguale anno 1300 fiorentino che, espresso sul nostro odierno calendario che data dal 753 ab urbe condita, diventa 1301. Insomma, e per meglio chiarire oggettivamente, “ab urbe condita” l’anno in cui Dante fa il viaggio corrisponde scientificamente, all’anno 2054 poiché questo è l’anno in cui abbiamo Marte nel segno del Leone. Infatti: 754 + 1300 = 2054. Ma qualora e per errore indicassimo il viaggio nel 1300 odierno, come quasi tutti oggi fanno, questo corrisponderebbe al 2053 ab urbe condita. Infatti: 753 da cui datiamo noi oggi, più 1300, uguale 2053 in cui però il 753 ab urbe condita non ha Marte nel segno del Leone.
La questione di un giubileo fiorentino “a Nativitate”, per la cronaca, è andata così: e scusatemi la ripetizione poiché serve a fornire una prova concreta.
Siccome e per la lo cultura numerologico-pitagorica (cfr. Convivio, II, XIV, 4) l’anno centesimo esigeva per Dante e i fiorentini di celebrare un giubileo, era venuto a loro stessi in mente di doverlo celebrare concretamente. L’ antico calendario “ab incarnazione Domini” stile fiorentino, faceva iniziare l’èra cristiana, come già detto, il VENERDÌ 25 marzo del 1° anno Dopo Cristo del nostro computo storico, o odierno. Conseguentemente con natività di Cristo la successiva DOMENICA 25 dicembre del 1° Dopo Cristo: come del resto già messo lodevolmente in luce in chiusura della “Quaestio de aqua et de terra”, che sia opera di Dante, o meno. Ed è proprio aggiungendo 1300 anni a questa Domenica 25 dicembre del 1° Dopo Cristo, in cui per Dante e i Fiorentini Gesù Cristo era nato, che abbiamo, il Lunedì 25 dicembre del 1301 la chiusura del giubileo fiorentino “a Nativitate”. Dunque con precedente apertura la Domenica 25 dicembre del 1300 e perciò nel momento in cui Bonifacio VIII chiudeva invece il suo. Com’è ben noto il giubileo romano, cioè quello di Bonifacio VIII, era stato invece fatto iniziare dal sommo Pontefice stesso, il Venerdì 25 dicembre del 1299.
Orbene, ed eccoci al punto in cui si doveva arrivare. Siccome papa Bonifacio, nella bolla di chiusura “non bullata” del suo giubileo “a Nativitate” della Domenica 25 dicembre 1300, fa espresso divieto che venga celebrato a ruota un giubileo fiorentino (dunque “a nativitate Domini”, ma espresso su un calendario “ab Incarnatione” che, per esclusione, non poteva essere che quello fiorentino) con tale stesso divieto il sommo Pontefice finiva per ammettere, ovviamente ed ufficialmente, di tale Giubileo fiorentino, l’esistenza. Insomma la concreta volontà di farlo.
Si legge infatti nella bolla “non bullata” di Bonifacio VIII del 25 dicembre 1300 in chiusura del suo giubileo: “Declarat insuper idem dominus noster summus Pontifex, quod annus iste jubileus trecentesimus hodie (domenica 25 dicembre 1300) sit finitus. Nec extendatur ad annum incarnationis secundum quosdam”: cioè come avevano richiesto i Fiorentini e Dante (Odorico Raynaldo, “Annales Ecclesiastici, tomus XIIII, Jesu Christi Annus 1300, Bonf. VIII PP. Annus 6, I. W. Friessem, 1692, p. 540).
Dunque è chiaro che a Firenze nel 1301 avrebbe dovuto esserci un Giubileo fiorentino “a Nativitate” in base al proprio calendario “ab Incarnatione”. Conseguentemente non meraviglierà allora se Dante fa il viaggio della Commedia nel 1301 e se tutto torna sostenendo: viaggio con inizio per la festa dell’Annunciazione a Maria e incarnazione di Cristo del Sabato liturgico 25 marzo 1301, e con termine all’ora nona “temporale” della festa del Venerdì Santo del 31 marzo 1301. E si tratta di quell’ora nona “temporale” (cfr. Convivio, IV, XXIII, 15) in cui Cristo muore in croce per la salvezza del genere umano. Dunque con termine della Commedia nel momento del “quos pretioso sanguine redemisti (“Te Deum” di ringraziamento, v. 22). E siamo qui al “Sacro Graal”: quello che andavano cercando i crociati a cominciare da Cacciaguida e dai Cavalieri Templari. Se però sbagliamo l’anno del viaggio sostenendo erroneamente 1300, tutta questa scena svanisce nel nulla. Da qui tutta l’importanza dell’accertamento della verità riguardo alla nostra terzina (Inf. X, 79 - 81) che, recisamente escludendo il 1300, induce ad applaudire al viaggio nel 1301.
SECONDO. Vittorio Sermonti, nella sua trasmissione per la RAI, questo argomenta: Fino ad arrivare al Giugno del 1304 “non saranno trascorsi 50 pleniluni” dal viaggio della Commedia” ( Vittorio Sermonti, “L’inferno di Dante”, con supervisione di Gianfranco Contini - “Radio Televisione Italiana” - RAI radio TRE - anno 1987, nastro magnetico numero “6 A”, Canto X). Ed ancora: “che l’anno di grazia sia il 1300 è sicuro… probabile in prossimità dell’equinozio di primavera” (Vittorio Sermonti, “L’inferno di Dante”, nastro magnetico numero “1 A”, Introduzione).
Mia pronta domanda. Per me “che l’anno di grazia sia il 1300” non è affatto sicuro: tutt’altro! E sarebbe bastato andare a controllare se i pleniluni, o meglio se i noviluni, erano effettivamente meno di cinquanta, non dando per scontato che, qualcun altro, sia andato a controllare anche per noi. Ringrazio comunque Vittorio Sermonti per il suo biglietto da visita che gelosamente conservo, da lui gentilmente consegnatomi quando gli dissi che il viaggio era invece avvenuto nel 1301: forse mettendolo un po’ in imbarazzo. Avrebbe voluto discuterne, ma poi faceva sempre un passo indietro.
TERZO. In Giovanni Andrea Scartazzini (1837 – 1901) e Giuseppe Vandelli (1865 – 1937), troviamo scritto: “Non passeranno cinquanta pleniluni, cioè quattro anni e due mesi, che tu sperimenterai quanto è penoso e difficile il ritornare a Firenze a chi ne è stato bandito.” (cfr. “Testo critico della “Società Dantesca Italiana”, riveduto da Giovanni Andrea Scartazzini e poi rifatto da Giuseppe Vandelli, Ulrico Hoepli Editore, Milano, 1989, Inf. X, p.79). Ma in quattro anni e due mesi solari, come abbiamo già dimostrato, non abbiamo affatto meno di cinquanta pleniluni, bensì cinquantadue. Dunque anche i commenti dello Scartazzini-Vandelli sono da riformulare.
QUARTO. Natalino Sapegno così commenta (Inf. X, 79 - 81): “non ritornerà piena cinquanta volte la luna, non passeranno cinquanta mesi”…” che tu saprai quanto quell’arte pesa. […] “Il periodo indicato di quattro anni e due mesi ci porta al maggio del 1304” (Dante Alighieri, “La Divina Commedia”, Inferno, a cura di Natalino Sapegno, ed. La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1991, p. 119).
Però, anche qui!, questi “cinquanta mesi” del Sapegno risultano essere mesi solari e non mesi lunari come indicato da Dante; mentre in cinquanta mesi solari abbiamo cinquantadue mesi lunari, cioè di quella “la donna (la Luna) che qui (all’inferno) regge” (Inf. X, 79 - 81). Un errore che ovviamente è in contrasto ai tanti meriti che ha il Sapegno e alle tante soddisfazioni che i suoi commenti ci hanno permesso di avere, unitamente anche a tanti altri commentatori, per la loro devozione a Dante, per la fatica da loro durata senza la quale anch’io non avrei saputo come fare ad andare avanti: una encomiabile loro fatica per risolvere tante questioni storiche che però resta ancora molto inadeguata, cioè insufficiente.
QUINTO. Nel suo volume “L’uomo nel cosmo”, che sta alla base dell’attuale festa governativa del “Dantedì” che pretende che nella Commedia sia tutta alta poesia, meravigliosa fantasia, e niente dall’Astrologia in su, Patrick Boyde, “Serena Professor of Italian Language and Literature in the University of Cambridge, in riferimento alla nostra terzina (Inf. X, 79 - 81), scrive che qui è “chiara l’intenzione simbolica di Dante nell’indicare l’ «ora infernale» in riferimento alla Luna” (Patrick Boyde, “L’uomo nel cosmo”, Bologna, il Mulino, 1984, p. 272). Dunque, siccome si tratta di una cosa simbolica, la Luna anche per Boyde non dovrà servire a fornirci dati matematici per risolvere i problemi: ma è una pretesa errata perché al di fuori della mentalità, tutta rigorosamente scientifica, di Dante.
Orbene, a mio giudizio è stata proprio la mentalità assai poco scientifico-medievale con cui è stata commentata anche la nostra terzina (Inf. X, 79 - 81) che, commentandone altre con la medesima mentalità (antiscientifico-superiore) la tradizionale critica ha ottenuto analoghi e inaccettabili risultati: cioè sbagliati. Ricordiamone, “en passant”, alcuni fra i più significativi.
Per esempio Dante personaggio della Commedia e della Vita Nuova, diversamente da come la pensa la tradizionale critica. è sicuramente stato fatto nascere, dal Dante autore, il Martedì 2 Giugno 1265 (Par. XXII, 110 – 117), cioè nel giorno che poi diventerà quello della Repubblica Italiana: meraviglioso!, per il Poeta della patria.
Sì, sì!, è nato proprio in questo giorno; poiché queste “gloriose stelle pregne di gran virtù”, con dichiarata longitudine nel segno dei Gemelli, come dai vv. 110 – 117, del canto XXII, del paradiso, non possono essere altro, per esclusione!, che due: a) la “virtuosior” stella “Betelgeuse” (alfa Orionis); b) la gloriosa stella “Polare” (alfa Ursae Minoris). Dopo di che, se mettiamo il Sole nel segno dei Gemelli di quando Dante si è fatto nascere per fare della Commedia un’opera rigorosamente scientifica, in stretta congiunzione con queste due stelle (“Betelgeuse” e “Polare”), anch’esse longitudinalmente ubicate nel segno dei Gemelli, viene allora fuori automaticamente il Martedì (giorno dedicato a Marte) 2 giugno 1265: cioè il giorno di nascita di Dante personaggio. Questo poiché la “Betelgeuse” si trovava allora a 18°.30’ in Gemelli e la “Polare” a 18°.20’ in Gemelli: e se mettiamo il Sole in congiunzione stretta con queste due ha la longitudine di 18°.01’ circa in Gemelli che, nel 1265, corrispondeva al Martedì 2 giugno 1265.
Dopo di che, conosciuto il giorno di nascita di Dante personaggio, potrà essere finalmente risolto, dopo sette secoli di affanni, anche il famoso enigma posto da Dante nell’Incipit della “Vita Nuova” al fine di legittimare il lettore ad andare avanti nel leggerla e commentarla: e mai successo fin’ora. Vi ricordate...? “Nove fiate già, appresso lo mio nascimento (quello di Dante), era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve”…”, eccetera, eccetera, cioè Beatrice (Vita Nuova, II, 1).
Ebbene, la risoluzione di tale enigma, partendo da Dante nato il Martedì 2 giugno 1265, conduce necessariamente a sostenere che Beatrice personaggio è necessariamente nata il Venerdì (giorno dedicato a Venere) 2 Ottobre 1265 e festa dei ss. Angeli Custodi, mentre poi fu vista, cioè apparve a Dante per la prima volta come gli angeli sempre appaiono!, il Venerdì (giorno ugualmente dedicato a Venere), 2 Febbraio 1274 e festa della presentazione di Gesù bambino al tempio in braccio alla Madonna per essere posto nelle mani del vecchio Sacerdote Simeone (come allo stesso Simeone gli era già stato profetizzato in sogno) il quale reciterà il suo famoso “Nunc dimittis, secundum verbum tuum in pace: Quia viderunt oculi mei salutare tuum”. Ma siamo in presenza anche di quel famoso ““Nunc dimittis servum tuum Domine …” che reciterà anche Dante alla vista, per la prima volta, di Beatrice.
Invece quando Dante verrà per la prima volta salutato da Beatrice personaggio esattamente nove anni dopo (Vita Nuova, III, 1), e “quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi”, quegli di Dante personaggio, era di necessità il Martedì (giorno dedicato a Marte) 2 Febbraio 1283. Ebbene Dante aggiungendo, che “L’ora che lo suo dolcissimo salutare (del Martedì 2 febbraio 1283), mi giunse, era fermamente nona di quello giorno” (Vita Nuova, III, 2), intende mettere in luce: a) - che per l’ora “di quello giorno”, si tratta dell’ora “temporale”, cioè “liturgica” della Chiesa, che varia ogni giorno di ampiezza (Convivio, IV, XXIII, 15); b) - mentre per “l’ora fermamente nona”, noi già sapendo che si tratta di un’ora “temporale”, cioè “liturgica” della Chiesa, allora questa stessa “ora nona” non potrà che corrispondere a quella della morte di Gesù in croce per la salvezza dell’Umanità, cioè a quella in cui lui terminerà il viaggio della Commedia corrispondente all’ora nona del Venerdì Santo 31 marzo 1301. Ciò vuol dire, che nell’ora nona in cui Cristo salva col suo prezioso sangue l’Umanità, nell’ora nona Beatrice, salutando Dante per la prima volta, gli preannuncia, o profetizza che, nel nome di Cristo, Lei potrà salvare Lui.
Dopo di che e infine, alla luce di quanto da me ricordato, sette secoli di commenti su Dante ritengo a questo punto che vadano sostanzialmente rimeditati e notevolmente approfonditi: insomma come del resto aveva già previsto, intuito, anche Giovanni Papini in “Dante vivo” (Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1933, pp. 10 – 11).
Con un cordiale saluto a tutti.
Giovangualberto Ceri