Lei mostra che papa Francesco si inserisce in una tradizione. Tuttavia non possiamo negare che la Laudato si’ costituisce una prima volta e un punto di svolta. Qual è la specificità, l’apporto maggiore di Francesco in materia d’ecologia cristiana?
Non sono la persona più indicata per rispondere a questa domanda. Con questo dossier ho cercato piuttosto di mostrare che tutto ciò che Francesco dice nella Laudato si’ era già stato detto da un altro papa prima di lui, e in maniera più concisa. Eppure l’apporto di papa Francesco non è soltanto quantitativo: dobbiamo constatare che ha saputo maggiormente comunicare. È senza dubbio il peso specifico di una enciclica. Gli altri testi, per quanto ricchi e numerosi, non hanno avuto altrettanta risonanza. La novità di Francesco consiste prima di tutto nel fatto che ha deciso di chiamarsi Francesco e nel fatto che proviene dall’America Latina. Grazie a questo nome ha saputo riunire in sé in maniera semplice e credibile l’amore per i poveri e l’amore per la Creazione incarnati dal Poverello di Assisi, manifestando così fin dall’inizio del suo pontificato che in realtà c’è una sola crisi mondiale socioambientale, come afferma la Laudato si’.
Ma Benedetto XVI l’aveva già espresso alla sua maniera e Giovanni Paolo II nella sua prima enciclica Redemptor hominis o, ancora, nella Laborem exercens. Del resto già con Benedetto XVI o con Giovanni Paolo II si era gridato al «papa verde». Per Jean Bastaire uno dei più importanti atti profetici di Giovanni Paolo II è stato aver proclamato san Francesco d’Assisi patrono degli ecologisti, cosa che ha senza dubbio influenzato papa Francesco. Per la cronaca, sembra che Benedetto XVI avesse già messo in cantiere un’enciclica sull’ecologia affidando al Pontificio Consiglio «Giustizia e Pace» il compito di preparare la prima versione dell’opera. Sappiamo inoltre che aveva sollecitato a più riprese la Pontificia Accademia delle Scienze sulle questioni ambientali. Se non avesse rinunciato al suo incarico Benedetto XVI sarebbe stato quindi il primo a pubblicare una enciclica sull’ecologia. Ma Francesco ha ripreso in mano personalmente il cantiere mettendoci anche del suo, contribuendo così al suo reale successo. Allo stesso modo, diverse formule spesso attribuite a Benedetto XVI provengono in realtà da Giovanni Paolo II; ma è anche vero che esse possono essere state suggerite dal Cardinale Ratzinger… L’apporto specifico di ognuno dunque non è così semplice da determinare. Preferisco mostrare l’unità e la coerenza di questo corpus magisteriale, le sue radici prima di tutto bibliche e patristiche piuttosto che mostrare ciò che spetta a ciascuno. «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?».
Lei vede nella Laudato si’ una «terza generazione di encicliche sociali». Quali sono queste tre generazioni?
La prima generazione è quella della questione operaia posta dalla rivoluzione industriale: il rapporto tra padroni e operai, la giustizia sociale. La seconda discende dalla decolonizzazione e dalla nascita di nuovi stati indipendenti con la conseguente mondializzazione delle questioni della giustizia sociale e della ripartizione delle risorse. Sono i rapporti Nord/Sud e la questione dello sviluppo umano: l’uomo, tutto l’uomo, ogni uomo e tutti gli uomini. La terza generazione appare quando le conseguenze della rivoluzione industriale sommate al consumismo e alla «cultura dello scarto» diventano chiaramente insostenibili per il pianeta e si prende coscienza della necessità di associare da una parte le generazioni future e dall’altra le altre creature con uno sviluppo che deve passare attraverso una certa decrescita, una maggiore saggezza nell’accettazione dei nostri limiti. È la questione ecologica. C’è dunque un nuovo mutamento di scala della giustizia sociale, corrispondente a una nuova universalizzazione che in realtà è duplice: quella del tempo e quella dell’ecosistema mondiale. La concezione di bene comune ne risulta modificata diventando veramente universale con l’integrazione di queste nuove dimensioni (in attesa di prestare attenzione alla sorte di altri pianeti che per ora sfuggono al dominio dell’uomo).
«La questione ecologica obbliga a riconoscere un ordine naturale delle cose», scrive nell’introduzione. Costringendo a un ritorno al reale e a un decentramento nei confronti dell’ethos individualista liberale, l’ecologia può permettere il ritorno, nelle nostre società, di una morale essenziale più conforme alla dottrina sociale della Chiesa?
La questione ecologica in effetti scompiglia le carte del mondo liberale e a mio modo di vedere segna la fine della modernità obbligandoci, volenti o nolenti, a disfarci del paradigma sul quale essa si è fondata: un antropocentrismo deviato che conduce a un dominio sulla natura in nome di una tecnoscienza il cui potere è stato teorizzato come illimitato. In maniera più propositiva, la questione ecologica ci conduce a riconoscere che il cosmos ha un logos (una razionalità, un senso, un ordine ontico) e un nomos (una regola, un ordine etico) da cui deriva un ethos (un comportamento, una saggezza di vita). È sempre stato così, ma ciò che sempre più si manifesta ai nostri occhi è la vulnerabilità crescente di questo mondo, il fatto che esso sia sempre più sottomesso al libero arbitrio dell’uomo mentre in precedenza era piuttosto l’uomo a essere in balia delle forze naturali, giudicate irrazionali da quando sono state demitizzate oppure assurde una volta liberate dal giogo del fatum. Ci può essere allora una possibilità per la dottrina sociale della Chiesa, attraverso un certo ritorno della tanto contestata legge naturale oppure tramite un rovesciamento della situazione che porti a ridefinirne in altra maniera le coordinate.
Tuttavia questo non avverrà senza la ripresa di una vera metafisica, senza la quale la legge naturale non sarà adeguatamente posizionata, e di una teologia della Creazione nella prospettiva del disegno divino benevolente e misericordioso. La battaglia di questo secolo sembra davvero destinata a riunire da un lato coloro che pensano che l’uomo abbia delle leggi proprie, non sempre autoassegnate, che deve rispettare, e ciò vale anche per il resto della creazione, di cui fa parte e con la quale deve vivere in armonia; e dall’altro lato coloro che pensano l’uomo come creatore di se stesso e la natura come un materiale liberamente disponibile plasmabile a piacere, compreso l’umano. Il trans-umanesimo di coloro che in fondo vogliono prendere il posto del Creatore con un peccato radicale e estremo contro la Creazione, come diceva Benedetto XVI. E il sopra-umanesimo di coloro che ricevono dal Creatore l’invito alla vita divina accogliendo da lui la grazia di essere restaurati come uomini e donne creati a immagine e somiglianza di Dio, guardiani del giardino della Creazione.
(23 settembre 2016)
Fonte: Limite – Revue d’Écologie intégrale
[traduzione a cura di Emiliano Fumaneri]
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