di Lucia Scozzoli
Alla vigilia dell’Assunta (per lei di Ferragosto), la Boldrini ha dichiarato in un post su Facebook che passerà alle vie legali per difendersi dagli insulti che riceve in sovrabbondanza, non tanto per tutelare se stessa quanto piuttosto per dare il buon esempio: non si possono tollerare le intimidazioni degli haters del web come un’inevitabile tempesta, bisogna mostrare che esistono strumenti giuridici per difendersi e che sono efficaci.
https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=1320307754746086&id=325228170920721
Il discorso non fa una piega, soprattutto mi auguro che sia reale, cioè che davvero denunciare un hater molesto possa sortire qualche effetto più vasto della sospensione del profilo del soggetto, il quale, se è convintamente malintenzionato, ci mette due secondi a farsi un altro profilo e tornare ad insultare.
Dietro il proclama della Boldrini si agitano però più questioni: primo, l’individuazione in modo inequivocabile dei veri soggetti verbalmente violenti sul web; secondo, l’analisi dei motivi per i quali alcuni personaggi suscitano tanto livore.
Io non condivido nulla del Boldrin-pensiero, capisco chi interviene sotto i suoi post digrignando i denti, tuttavia non condivido a priori i toni eccessivamente aggressivi: dare della prostituta (e sinonimi) o augurare vari tipi di morte violenta non aggiunge convinzione ad un pensiero contrario, bensì lo squalifica, declassando la manifestazione del proprio sacrosanto dissenso a insulto da spam e perdendo ogni (pur flebile) possibilità di suscitare un breve esame di coscienza.
Naturalmente nessuno è tanto illuso da pensare che personaggi con dieci centimetri di pelo sullo stomaco come la Boldrini possano prendere in considerazione una critica sotto un post, ma certo si interviene per creare un dibattito tra sostenitori e detrattori, per tirare gli uni verso il versante degli altri e viceversa. Un commento che tracima odio e livore forse può creare gratificazione in chi si trova dallo stesso lato della barricata, ma viene saltato piè pari da tutti gli altri. Quindi a conti fatti è inutile.
È anche vero che gli haters non sono trattati dal sistema tutti con la medesima severità: sappiamo ormai che bestemmiare o augurare malanni truci a personaggi invisi al mainstream non procura nemmeno un buffetto, un’ammonizione, un invito alla moderazione dei toni. Anche aprire pagine segrete su cui esibire alla pubblica gogna ignare e incolpevoli vittime non è un reato per Facebook: Selvaggia Lucarelli passa le sue giornate a dire frivolezze radical chic e a denunciare questi insultatori depravati e osceni, non sortendo però grandi risultati. Ha sempre qualche causa aperta in tribunale, non si fa scrupolo nemmeno di rintracciare personalmente alcuni vigliacchi, per poi telefonare persino al loro datore di lavoro per procurare loro qualche grana, magari un licenziamento. Va in giro pure a tenere conferenze ai ragazzi delle scuole sul cyber bullismo, salvo poi ritrovarsi messa alla gogna in diretta su quelle stesse pagine che denuncia perché nella platea c’è qualcuno che fa parte della cricca dei bulli che la fotografa e la dileggia.
https://twitter.com/stanzaselvaggia/status/897800427323785217
Insomma, il fenomeno della violenza sul web esiste, è reale, grave, vasto e fuori controllo, e non riguarda solo i personaggi famosi, sui quali si può al limite invocare l’argomento della notorietà a vaga giustificazione. Ma fa francamente ridere l’improvvisa levata di scudi della Boldrini, che si autoelegge a paladina della buona educazione invocando il ricorso a mezzi legali che, almeno per i comuni mortali, si sono finora dimostrati del tutto insufficienti e inefficaci.
L’unica censura che su Facebook funziona alla grande è quella messa in atto contro la fantomatica omofobia o la novella islamofobia, con qualche punta di ridicolo per quanto riguarda il nazismo (per cui basta postare una foto di Hitler per essere ammoniti). La politica, molto più che la difesa della sensibilità degli utenti, guida la mannaia degli standard della comunità: bambini morti sono ok se sono vittime dei raid russi in Siria, invece sono da rimuovere se si tratta di piccoli cristiani trucidati in Medio Oriente. I fondoschiena esposti ai gay pride sono arte, mentre i nudi di quadri famosi sono intollerabili. Gli insulti alla Boldrini sono oscene offese sessiste, quelli ad Adinolfi sono lecite manifestazioni di dissenso.
La libertà di espressione in questi social liberali si esprime spesso in prone sequele ai nuovi miti di progresso: in nome di nobili fini, che nobili non sono, diventano leciti anche mezzi osceni e si finisce per rispondere pan per focaccia.
Su questo ambiente guastato dalla scurrilità, ha non poco peso pure la povertà lessicale che ormai ci pervade: ci mancano le parole per esprimere con ironiche perifrasi l’equivalente cortese di un vaffanculo, o per rendere efficace la nostra contrarietà mantenendo al centro del discorso il tema in questione e non le qualità estetiche di chi lo sostiene.
Incidere in modo rilevante su tale sistema è difficile, forse un’utopia: siamo costretti a fare lo slalom tra improbabili standard della comunità per trovare uno spazio di diffusione per idee scomode sebbene più che ortodosse. Nonostante la differenza di pesi e misure sulle idee, però, credo che sia importante, per ogni singola persona, restare sinceramente ben educata e non cedere alla tentazione di usare armi improprie, nemmeno negli interstizi bui dove sono tollerate. Vomitare odio contro una persona, per quante cose orribili possa incarnare, ci lascia addosso un’amarezza tenace, che ci avvilisce, a volte ci resta appiccicata anche fuori dal web. Ed io non credo proprio che sia il caso di dare a personaggi come la Boldrini il potere di guastarci pure l’anima. Come quel prigioniero, raccontato da Primo Levi, che nel campo di concentramento si lavava con convinzione sebbene senza alcun effetto, per rimarcare la differenza tra se stesso e le bestie, così anche noi dobbiamo restare cortesi ed educati, anche con chi proprio non se lo meriterebbe, anche se intorno ci sono solo bestie. È da fare per noi, è una questione di umanità.
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