«Devo prendere le difese di Georg Ratzinger, perché tutto ciò non ha avuto nulla a che fare con lui. Non ha avuto niente a che fare neppure con la Chiesa Cattolica in sé». Yuliya Tkachova ha intervistato lo storico e biografo Michael Hesemann in rapporto alla relazione sullo scandalo dei Cantori del Duomo di Ratisbona. Ratisbona-Roma (kath.net).
traduzione di Elena Mancini
Non voglio sminuire le ferite che orrore e violenza hanno provocato nelle anime innocenti di bambini. Tutto questo è veramente terribile e io sono contento che finalmente venga affrontato, ma allo stesso tempo devo prendere le difese di Georg Ratzinger, perché tutto ciò non ha avuto nulla a che fare con lui. Non ha avuto niente a che fare neppure con la Chiesa Cattolica in sé. Questi erano metodi educativi che a quell’epoca erano all’ordine del giorno. Possiamo essere solo contenti che questo periodo sia stato da tempo superato.
Così commenta lo storico Michael Hesemann le accuse unilaterali lanciate dai media a riguardo della relazione sui casi di maltrattamento e violenza ai danni dei Cantori del Duomo di Ratisbona, sui quali è stato riferito pubblicamente dalla stessa diocesi di Ratisbona martedì scorso.
Tkachova: Dr. Hesemann, Lei, come storico e biografo di Georg Ratzinger ha già letto il rapporto di 440 pagine riguardo ai (così il titolo) “Episodi di violenza ai danni dei propri protetti presso il Coro del Duomo di Ratisbona [Domspatz]”, che martedì scorso a Ratisbona è stato presentato alla stampa. Sabato prossimo al riguardo Lei pubblicherà un’analisi dettagliata del suddetto rapporto sul giornale “Tagespost” di Würzburg. Già adesso però Lei accusa la stampa tedesca di aver consapevolmente riferito le notizie sul rapporto in modo fuorviante. In base a cosa lo può dichiarare?
Hesemann: In base al fatto che loro sbavano letteralmente per questo sensazionalismo e servono ai propri lettori e telespettatori un misto, all’apparenza inattaccabile, di disgusto e violenza del quale nei consumatori rimane impressa solo una cosa: che Georg Ratzinger, il fratello del papa emerito Benedetto XVI, abbia a che fare qualcosa con la vicenda, perché il suo nome viene citato nel rapporto. In un modo veramente perfido, il sospetto, con la sua acidità, inizia a corrodere fino ad arrivare poi al suo famoso fratello. In tutto questo si evita però regolarmente di far riferimento alla cosa più importante: e cioè che il rapporto scagiona esplicitamente il maestro di cappella Georg Ratzinger.
Tkachova: Non la fa troppo facile? La rivista BILD cita addirittura le vittime con le parole «Ratzinger era notoriamente un “picchiatore”» e quindi ne deduce: «Il fratello del Papa abusava dei cantori».
Hesemann: Vede, questo invece è proprio un esempio perfetto. Perché questa citazione non si trova in nessuna delle 440 pagine del rapporto. Risale invece alle dichiarazioni di un uomo che oggi vive del fatto di aver fallito il suo percorso fra i cantori del Duomo, Alexander Propst, di 57 anni, e che nel frattempo deve fare la sua comparsa in tutti i talkshow tedeschi: in fondo deve vendere il suo libro! Si intitola “Abusato dalla Chiesa”, ovviamente, perché questo fa vendere: si deve parlare di “Chiesa”, niente di meno di questo! Anche ad Amburgo, Colonia, Berlino si deve parlare solo di Chiesa, dove invece nessuno altrimenti si interesserebbe delle condizioni nei collegi bavaresi. Propst è furbo, sa come si ottengono i titoli in prima pagina, tipo accusare Georg Ratzinger, il quale invece non è altro che una vittima di tutto ciò e che a 93 anni non si metterà certo ad intraprendere un processo per calunnia. Il fatto che il rapporto presenti la posizione del maestro di cappella in tutt’altro modo evidentemente non interessa alla rivista BILD.
Tkachova: Che cosa c’è scritto quindi nel rapporto?
Hesemann: L’intero studio dovrebbe constare in realtà di due parti distinte, perché riguarda due tipi di reato totalmente diversi, che però nell’uso e nel linguaggio comune dei media vengono fatti rientrare di buon grado sotto il termine generico “abuso”. Già questo è perfido, perché di solito il lettore con il termine “abuso” capisce per prima cosa quello sessuale, il che porta a gonfiare ovviamente i numeri. Quello che invece si intende con questo termine sono però entrambi i tipi di abuso, da una parte quello sessuale, che è un crimine orrendo, dall’altra i metodi di educazione brutali, che ovviamente ricoprono un grande spettro di atti, dalle frustate con la canna di bambù alle sberle. A questa categoria appartengono, nel rapporto, il 91% dei casi.
I casi documentati di abusi sessuali sono 67 e furono perpetrati da nove elementi del corpo insegnante nell’arco di tempo che va dal 1945 al 2015, la maggior parte dei quali presso la scuola preparatoria dei Domspatzen (Passeri del Duomo) di Ratisbona ad Etterzhausen e Pielenhofen, che non erano mai state sotto la sfera di influenza di Georg Ratzinger. Due colpevoli avevano lavorato al Ginnasio del Coro del Duomo a Ratisbona nel primo periodo del suo operato e di questi uno si era licenziato dopo solo due anni. Quindi alla fine solo uno dei criminali, il direttore del ginnasio, era stato a lungo in servizio nel luogo dove Ratzinger iniziò la sua attività. Venne licenziato nel 1971. Però nel rapporto si esclude categoricamente che Ratzinger possa essere venuto al corrente degli attacchi, dal momento che le vittime si vergognavano talmente tanto dell’accaduto, che non l’avevano raccontato neppure ai propri genitori. Il vero problema nelle indagini sugli abusi sessuali è sempre quello che la maggior parte delle vittime tacciono per vergogna. Come avrebbe potuto Ratzinger intervenire o – per quanto mi riguarda – anche consapevolmente girarsi dall’altra parte, se non sapeva niente? Nei primi anni del suo impiego come maestro di cappella del Duomo Ratzinger, venuto da una provincia dell’Alta Baviera, viene guardato con diffidenza dall’establishment di Ratisbona e si sente «sotto pressione sia dal punto di vista artistico che umano» – come racconta lui stesso nel libro “Mio fratello, il Papa”. Dopo il 1972, quando cominciò lentamente a consolidarsi a Ratisbona nella sua posizione di maestro, non si è verificato neppure un solo episodio di attacchi sessuali al ginnasio di Ratisbona, e questo fino ad oggi. Ciò si ricava chiaramente dal rapporto. Per questo Georg Ratzinger è da dichiararsi libero da ogni accusa di connivenza e di comportamento scorretto in questa questione così scandalosa e non esiste alcun motivo per mettere in relazione il suo buon nome con alcuno di questi delitti schifosi, come invece è successo purtroppo a causa della stampa.
Tkachova: E che cosa ci può dire degli eccessi di metodi violenti?
Hesemann: Anche qui bisogna distinguere tra la scuola preparatoria e il ginnasio. Soprattutto però bisogna stare attenti a non inciampare nella “trappola dell’anacronismo”, cioè nell’errore di giudicare avvenimenti del passato con il metro della morale odierna. Certamente il periodo passato alla scuola del collegio dei Domspatzen a Etterzhausen e a Pielenhofen è stato per molti giovani parecchio traumatico. Tuttavia bisogna con onestà aggiungere, che lì le cose non andarono in modo diverso da come andarono in innumerevoli altri collegi tedeschi fra gli anni ’40 e ’70, in cui allo stesso modo si applicavano punizioni e vessazioni. Tutto ciò è orrendo, è deprecabile, ma i fatti sono questi. La cosa diventa ingiusta, quando si prende un collegio e se ne fa un penitenziario, mentre tutti gli altri sarebbero delle case-vacanza. Certo però è anche questo: Georg Ratzinger non ha mai insegnato in queste scuole. Conosceva gli studenti solo quando arrivavano al ginnasio a Ratisbona. E lì – su questo sono unanimi praticamente tutti gli intervistati – si procedeva in modo molto diverso, molto più umano. Infatti anche il rapporto conferma che praticamente tutti i testimoni citati trovarono il passaggio dalla scuola preparatoria al ginnasio di Ratisbona come una vera liberazione. In relazione al nome di Ratisbona nel rapporto si possono leggere concetti come “paradiso”, “una passeggiata”, “un mondo migliore” e “cielo”. Solo uno su centinaia di testimoni era di parere opposto. E in questo ambiente lavorò il maestro di cappella Georg Ratzinger.
Tkachova: I ragazzi non gli hanno confidato le proprie sofferenze?
Hesemann: Ma lui veniva visto come parte del sistema! Per di più era nato nel 1924 e quindi proveniva ovviamente da un periodo in cui le punizioni corporali erano generalmente accettate. Quindi era veramente difficile capire, per la sensibilità di allora, se certi confini fossero stati davvero travalicati. Infatti il rapporto nomina solo due momenti in cui degli studenti l’abbiano messo al corrente degli eccessi di violenza a Etterzhausen: la prima volta nel 1970/71, quando aveva appena iniziato a consolidarsi nella sua carica e non voleva sapere niente delle pratiche in una scuola, in cui non aveva né influenza né responsponsabilità – così dice il testimone – e poi soltanto di nuovo nel 1993. Ma nel frattempo gia nel 1989 aveva scritto una lettera al direttore del Ginnasio dei Domspatzen, che il rapporto riporta fedelmente. In questa lettera Ratzinger avvisa il direttore che «nella scuola preparatoria si continuano a praticare punizioni corporali». Già allora di fronte al pericolo di dichiarazioni pubbliche della stampa gli consigliò di intervenire urgentemente. Questo avvenne ovviamente in un periodo in cui c’era chiarezza dal punto di vista legislativo e le punizioni corporali erano già da tempo vietate anche in Baviera. Prima degli anni ’80 invece queste punizioni avvennero in un periodo grigio di poca chiarezza che tutti noi – io sono del 1964 – ancora ci ricordiamo. Non si può dire, in ogni caso, che abbia sempre guardato dall’altra parte, questo è semplicemente falso.
Tkachova: Un intero capito del rapporto sembra che si occupi delle sue stesse violazioni ai danni dei cantori…
Hesemann: Anche questa è un’invenzione della stampa, perché semplicemente non è vero. Sono a malapena otto pagine che si occupano di lui e cioè un excursus alla fine del terzo paragrafo del quinto capito della seconda parte, secondo la suddivisione ufficiale quindi: “2.5.3.3. Excursus; Maestro di cappella R.”. Nonostante nella rappresentazione del suo personaggio sia da notare la spasmodicità con cui si cercano in lui delle azioni riprovevoli, la grande maggioranza dei suoi studenti hanno dato una testimonianza quanto mai buona. Viene descritto come «onesto, competente e comprensivo», «gentile, premuroso», «molto affettuoso», «molto amato», «severo, giusto ma bonario» e «stimato da tutti i ragazzi». Descritto come uno che tutti i pomeriggi «condivideva con i cantori i pezzi di torta, i biscotti e le caramelle che gli erano avanzati». «I bambini gli sono sempre andati incontro senza paura, era sempre assediato da grappoli di bambini». Oltre a ciò sembra essere stato però anche un «assoluto perfezionista», che «si esaltava sempre con la musica, quella era la sua vita» e stava «sotto la pressione di dover mantenere il livello di qualità del coro». E comunque: «grazie alle sue prestazioni i Cantori di Ratisbona non vennero mai scalzati dalle posizioni di punta dei cori a livello mondiale». Di negativo spiccavano una forte emozionalità e una certa irascibilità, un’indole a volte collerica che però riusciva anche altrettanto velocemente a calmarsi. Ciò veniva visto anche a ragione come un «effetto passionale» e un perfezionismo, ovvero «le esplosioni di un artista, alle quali immediatamente dopo le prove, seguivano delle maniere gentili, affettuose, che non serbavano rancore». Perché anche questo va detto: senza questo perfezionismo, senza l’esigenza di disciplina incondizionata, non gli sarebbe quasi stato possibile formare, da quel coro che fino ad allora era più o meno conosciuto solo a livello locale, un’istituzione di livello mondiale, un vero ambasciatore della cultura europea e della sua tradizione musicale, che riuscì ad andare in tourné due volte negli USA (1983 e 1987) e due volte in Giappone (1988 e 1991). Solamente con biscotti e caramelle non si fanno di bambini riottosi dei grandi cantanti e alla base di ogni successo ci stanno pur sempre, non importa in quale ambito, disciplina, passione e autocontrollo.
Tkachova: Quali metodi disciplinari deve aver messo allora in pratica?
Hesemann: Se ci limitiamo al rapporto ufficiale e lasciamo da parte le smisurate esagerazioni della stampa scandalistica, non ha fatto niente di ciò che ciascuno di noi che siamo nati prima del 1968 non conosca dai propri tempi della scuola. Anche gli stessi suoi “accusatori” più accesi (che sono una minoranza visto che dei 124 a cui è stato chiesto, hanno riportato qualcosa di negativo su di lui solo 55) descrivono semplicemente le misure disciplinari che allora erano purtroppo all’ordine del giorno, da forti schiaffi, tirate di capelli, lancio di diapason o della bacchetta di direttore, del mazzo di chiavi, fino a quello, una volta, di una sedia. Invece all’uso della canna di bambù, che invece era usuale da parte del corpo insegnante della scuola preparatoria, Ratzinger aveva rinunciato senza eccezioni. Quando nel 1980 nelle scuole bavaresi vennero proibite le punizioni corporali, vi si attenne strettamente. Così ammette anche la relazione: «Tuttavia colpisce, a differenza di numerose altre persone sotto accusa, che le vittime in generale stimavano l’umanità di R.(Ratzinger) e quindi in molti casi nonostante (sic!) la violenza, rimangono di lui ricordi positivi».
Anche già per questo gli avvocati che hanno svolto le indagini, Weber e Baumeister, giungono alla conclusione che Ratzinger si possa al massimo accusare di «scarse reazioni nel prendere atto degli episodi di violenza corporale».
Tkachova: Qual è quindi la sua conclusione nell’analisi del rapporto?
Hesemann: Mi lasci citare liberamente il poeta Orazio: la montagna partorì il topolino! Lo dico ancora una volta: non voglio sminuire le ferite che orrore e violenza hanno provocato nelle anime innocenti di bambini. Tutto questo è veramente terribile e io sono contento che finalmente venga affrontato, ma allo stesso tempo devo prendere le difese di Georg Ratzinger, perché tutto ciò non ha avuto nulla a che fare con lui. Non ha avuto niente a che fare neppure con la Chiesa Cattolica in sé. Questi erano metodi educativi che a quell’epoca erano all’ordine del giorno. Possiamo essere solo contenti che questo periodo sia stato da tempo superato. Ma è estremamente ingiusto fare di un uomo, solo perché questo è famoso e ha un un fratello ancora più famoso, un agnello sacrificale mediatico. Dietro a questo si nasconde un intento crudele, anche troppo evidente. Perché il rapporto che è stato appena pubblicato lo scagiona. Invece buona creanza vorrebbe, che un uomo di 93 anni, che si è meritato grandi benemerenze e senza il quale è fuori di dubbio che nessuno conoscerebbe i Cantori di Ratisbona fuori dalla Baviera, venisse lasciato finalmente in pace.
Tkachova: Grazie, Dr. Hesemann
Di’ cosa ne pensi