E così, cari “bergogliani”*, avete sistemato anche Monsignor Negri. Gli avete detto il fatto suo. Lo avete ridicolizzato, insultato, vilipeso. Lo avete esortato, anche con fare intimidatorio, a starsene in silenzio o a ritirarsi in privato. È nemico del Papa, è immisericordioso, avete sentenziato senza appello. Me ne compiaccio.
Cari “bergogliani”, è ammirevole il vostro zelo per il papato. Ma mi chiedo se crediate davvero di dare testimonianza a Cristo con questa caccia alle streghe “antibergogliane”. Cari “bergogliani”, non vi avvedete di tradire Cristo mentre credete di difendere Pietro? Voi mettete mano alla spada per difendere Pietro, ma cosi facendo dimenticate che fu Cristo stesso a impedire a Pietro una simile difesa. Non c’è tradimento peggiore che tradire Cristo nel nome di Pietro.
La vostra mancanza di carità, cari “bergogliani”, rivaleggia ormai con la ferocia degli “antibergogliani”** – che conosco bene, avendola sperimentata più di una volta sulla mia pelle. Cari “bergogliani”, non vi posso perdonare di aver lentamente trasformato la Chiesa di Cristo in una versione 2.0 del Pcus: un campo di battaglia straziato da una stagione delle purghe permanente. Non vi avvedete di tradire Francesco e la sua visione della Chiesa come ospedale da campo?
Non spetta a voi, cari “bergogliani”, sentenziare sull’ortodossia altrui. Come non spetta a voi stilare liste di “cattivi” e “buoni”. Ma soprattutto non vi è lecito trasformare nessuno, nemmeno il peggiore dei nemici di Francesco, in una “non-persona” ecclesiale. Vi devo ricordare che la categoria del “nemico oggettivo” discende da una mentalità totalitaria ed è, pertanto, quanto di più antievangelico si possa dare?
Vi devo proprio ricordare, cari “bergogliani”, che anche la scomunica è una forma di carità? Che anche la correzione fraterna, come direbbe san Tommaso, è una elemosina spirituale? Che l’annientamento del nemico ideologico non appartiene alla morale evangelica?
Cari “bergogliani”, voi idolatrate papa Bergoglio ma disattendete il suo magistero. Altrimenti avreste scolpito nel vostro cuore le parole con cui la Evangelii Gadium mette in guardia contro il «neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme» [come chi ad esempio si crede superiore agli altri in forza di una presunta fedeltà senza se e senza ma al papato; NdC]. Costoro, prosegue Francesco, finiscono per cadere in un «elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare».
Queste parole, cari “bergogliani”, non sono rivolte soltanto ai cattolici tradizionalisti. Sono tentazioni dell’animo umano. E in quanto tali coinvolgono tutti. Ognuno di noi è a rischio. Siamo tutti coinvolti.
Benedetto XVI ha detto che l’unica apologetica efficace, cari “bergogliani”, è quella della bellezza e della carità. E non ne vedo affatto nei vostri commenti. E ve lo dice uno che accetta tutto il magistero di Francesco, dalla Laudato si’ alla Amoris laetitia. Ma non mi riconosco affatto nella vostra volontà malvagia di annientare il prossimo.
Giocare a fare i “guelfi” impegnati a fare tifo per il Papa non equivale a essere cristiani. Al massimo rende clericali. Ma essere discepoli di Cristo non vuol dire militare in qualche partito ecclesiale, fosse anche il partito di Francesco. La sequela non consiste in una esaltazione infantile della figura del Papa. Senza contare, cari “bergogliani”, che in molti di voi il “papismo” scorre a corrente alternata. Più di un “bergogliano” esalta Francesco nella stessa misura in cui prima disprezzava Giovanni Paolo II o Benedetto. Mi chiedo allora cosa sia il Papa per questi “bergogliani”. Il Vicario di Cristo o un capo-tribù da acclamare soltanto quando è considerato espressione del proprio partito ecclesiale? Devo ricordarvi cosa dice Paolo ai cristiani di Corinto sui partiti ecclesiali?
C’è una “bontà”, cari “bergogliani”, a cui un cristiano dovrebbe guardare con orrore: quella percezione autocompiaciuta della propria rettitudine che rende letteralmente inconvertibili. Ma a tal proposito non saprei dire parole migliori di quelle di Thomas Merton, uno dei grandi americani celebrati da Francesco nel suo viaggio statunitense.
È relativamente facile convertire il peccatore, ma i buoni sono spesso inconvertibili semplicemente perché non vedono la minima necessità di convertirsi. […] Veramente il grande problema è la salvezza di coloro i quali, essendo buoni, pensano di non aver più bisogno di essere salvati e immaginano che loro compito sia rendere gli altri buoni come loro. […] Come cattolico io mi attengo saldamente a quanto insegna la Chiesa in merito alla giustificazione e alla grazia. Non si può essere giustificati da una fede che non compie le opere d’amore, perché l’amore è testimonianza ed evidenza del «nuovo essere» in Cristo. Ma appunto questo amore è in primo luogo opera di Cristo in me, non semplicemente qualcosa che scaturisce dalla mia volontà e viene poi approvata e ricompensata da Dio.
È la fede che apre il mio cuore a Cristo e al suo Spirito, affinché egli possa operare in me. Nessuna delle mie opere può chiamarsi «amore» in senso cristiano se non viene da Cristo. Ma i «buoni» sono tentati di credere unicamente nella loro bontà e nella loro capacità di amore, mentre chi comprende la propria nullità è molto più pronto ad arrendersi interamente al dono dell’amore che egli sa non poter venire in alcun modo da lui.
È con questa mentalità che, nel capitolo successivo, considererò le ambiguità del «fare il bene», sapendo che quando uno è fermamente persuaso della sua rettitudine e bontà può perpetrare senza scrupolo la più spaventosa malvagità. Dopo tutto non sono stati gli uomini retti, i santi, i «credenti in Dio» che hanno crocifisso Cristo? E non l’hanno fatto in nome della rettitudine, della santità e di Dio stesso (Gio 10, 32)?
Si noti che uno dei più profondi motivi psicologici dell’antisemitismo cristiano è, a parer mio, un tentativo di evadere da questo fatto. Il vangelo ci insegna precisamente che la santità e la bontà umana non possono impedirci di tradire Dio e che i «buoni» che crocifissero Cristo sono il modello di tutti i «buoni» la cui «bontà» è nient’altro che fedeltà a prescrizioni etiche.
Ma per sfuggire alle conseguenze di questo fatto noi abbiamo cambiato le cose interpretandolo in questo modo: Cristo fu crocifisso da uomini cattivi e senza fede i quali amavano il peccato precisamente perché erano ebrei e maledetti da Dio. Questa interpretazione trascura i seguenti fatti: gli ebrei erano e sono il popolo particolarmente eletto e amato da Dio; i farisei erano uomini austeri e virtuosi, dediti con tutte le loro forze a fare il bene come essi lo intendevano. Studiavano devotamente la parola di Dio con profondo interesse per la venuta del Messia.
L’antisemitismo conviene ai cristiani che si reputano austeri, virtuosi, interessati a fare il bene e a obbedire a Dio, eccetera, per evitare ogni occasione che possa far capire come essi siano l’esatta riproduzione degli antichi farisei. Quando impareremo che «essere buoni» può significare facilmente avere la mentalità di «uccisori di Cristo»?(Thomas Merton, Diario di un testimone colpevole, tr. it. Garzanti, Milano 1968, pp. 167-169)
Piccolo lessico fondamentale
* Bergogliano
Il “bergogliano” è colui che milita nel “partito di Bergoglio” credendo, così facendo, di servire la Chiesa. All’atto pratico il “bergogliano” si dedica alla compilazione di liste di proscrizione di “nemici di Francesco” senza curarsi troppo dei frequenti richiami pontifici alla misericordia. Il “bergogliano” ha pensato anche a questo elaborando una autentica ideologia della misericordia: il misericordismo, che consiste nel trattare senza misericordia alcuna coloro che a suo insindacabile giudizio sono da considerare come “immisericordiosi”. Il bergogliano misericordista esibisce così una bizzarra misericordia allo stadio sadico-orale. Il suo grande vanto è di aver inventato una misericordia crudele e persecutoria.
** Antibergogliano
L’antibergogliano è colui che, al contrario del bergogliano, milita nel partito opposto a papa Bergoglio con metodi analoghi a quelli del partito “bergogliano”. L’antibergogliano, per un malinteso spirito di reazione, inclina a confondere misericordismo e misericordia, a cui contrappone la sua personalissima idea di “verità” e “giustizia”.
Liste più o meno accurate di “antibergogliani” compaiono periodicamente sui quotidiani nazionali grazie alla solerte opera di catalogazione di alcuni giornalisti “bergogliani”.
Non semplficherei il problema del discorso di mons. NEGRI in questi termini. Alcune critiche entrano nella questione della opportunita’ di un discorso del genere a poche ore da quelle morti di bambini e adolescenti che assistevano a un concerto. Quandò e’ morto, a una eta’ diversa e di morte naturale, Gianni Agnelli, nessuno si sognò di cogliere l’ occasione per fare una tirata contro l’uso della coca di cui era noto consumatore. Non è corretto in queste circostanze citare l’ invito di Paolo a annunciare il Vangelo sia quando è opportuno sia quando non è opportuno. Non ho il titolo per fare l’esegesi di quel passo, ma ritengo che il discorso di mons Negri sia stato del tutto stonato rispetto al momento in cui e’ stato pronunciato. E qui non centra essere bergogliano o antibergogliano
Mi trovo invece d’accordo su diversi punti dell’ articolo. La polemica continua sul Papa distoglie molti internauti (speriamo una minoranza rispetto ai credenti cattolici) dalla meditazione sulla Parola di Dio, dalla preghiera e dalle letture di approfondimento dei grandi temi della fede oltre che dall’esame di coscienza
Caro Andrea, senza addentrarsi troppo nel merito di questioni esegetiche (peraltro “opportune et importune” è il titolo della rubrica di Mons. Negri su Studi Cattolici), per me il registro dell’intervento di Monsignor Negri è quello della provocazione la quale, per definizione, è sempre inopportuna. L’inopportunità è come l’aria per la provocazione. Una provocazione “opportuna”, ne converrai anche tu, sarebbe ben poco “provocatoria”…
Personalmente tendo a dare una diversa interpretazione. Nel discorso del vescovo Negri io leggo un invito forte e accorato alla conversione. Senza radici vere, senza un ancoraggio nell’infinito l’uomo non fruttifica (ecco perché spreca la vita: non la realizza appieno) e si disperde.
Nel deserto spirituale del nichilismo gaio è la domanda di infinito del cuore dell’uomo (concetto caro a don Giussani) a essere azzerata. “Nichilismo gaio” è un’espressione di Augusto Del Noce. Per Del Noce non esiste solo un nichilismo disperato, ma anche un nichilismo “sazio e non disperato”. Un nichilismo senza inquietudine, che ti porta ad accontentarti di ciò che sei, un nichilismo “anestetizzante” che soffoca ogni domanda nel cuore dell’uomo, ogni ricerca del vero, del buono e del bello. Don Giussani insisteva tantissimo su questo. È il nichilismo di oggi, che non cerca tanto di soffocare la verità, ma la ricerca stessa della verità. Soffoca, prima ancora che l'”offerta”, la “domanda” di verità. Che un discepolo di don Giussani sia particolarmente sensibile a questo tentativo di “sradicamento” non mi stupisce per nulla. E spegnere questo desiderio in un cuore giovane, dandogli bevande non solo insufficienti, ma perfino nocive per la sua sete di infinito, non è forse un delitto ancor più grave?
Una delle più grandi sante di sempre, santa Teresa di Lisieux, parlava dell’immane spreco che gli esseri umani fanno della sofferenza. Quando la sofferenza umana non diventa un mezzo per andare alla radice delle cose, cioè all’amore, essa diventa uno spreco, una passione inutile per dirla con Sartre. Nelle parole di mons. Negri sulle vite sprecate ho visto un messaggio simile, il messaggio per un mondo che non sa dare nessun significato alla sofferenza perché non dà una risposta vera al mistero del male. Come può un uomo di Dio, non gridare di fronte a un simile spreco di sofferenza? Cosa deve dire? Baloccatevi col nichilismo gaio – a intensità variabili – delle pop star? Fatevi narcotizzare col miraggio di una vita “liquida”, dove tutto “fila liscio”?
Questi eventi terribili sono anzitutto un richiamo per ognuno di noi. Ecco perché ho trovato estremamente superficiali e ottuse diverse critiche a Monsignor Negri. Quelle parole sono prima di tutto dirette a noi, a noi che le leggiamo. Siamo noi a essere immersi nel deserto spirituale, siamo noi a doverci svegliare e tornare al “principio e fondamento” di tutte le cose.
È il discorso che troviamo nel libro di Rod Dreher sull’opzione Benedetto. Ne parlerò più avanti.
Ma il punto non è questo. Nel post non sono entrato nel merito dell’intervento. Nulla giustifica lo squadrismo verbale a cui Monsignor Negri è stato sottoposto, questo è il punto. Certamente c’è un legame: Negri parla di radicarsi nella fede per contrastare lo sradicamento e suscita la reazione inviperita di cattolici ben poco radicati nella fede, che vivono lo spazio ecclesiale come un luogo di dominio e potere, che considerano il Vicario di Cristo sempre secondo l’ottica del potere, che riducono la misericordia a ideologia. È il supremo dei tradimenti. La misericordia è una fedeltà liberante, si trova al cuore della fede cristiana, non è quel sentimento talmente vaporoso ed evanescente da poter essere piegato a ogni uso.
fantastico
Naturalmente sui social alcuni di questi falsi amici di papa Francesco accusano questo articolo di essere “pieno di odio ideologico per la Chiesa” e per il Papa. Questa calunnia colossale, quando non è espressione di malafede, è la prova provata dell’ottenebramento provocato da una fede contaminata dallo spirito di fazione.
Caro Giovanni,
riferendosi ai ragazzi che erano al concerto, Mons. Negri fa le seguenti affermazioni:
– Siete venuti al mondo, molte volte neanche desiderati
– nessuno vi ha dato delle «ragioni adeguate per vivere»
– Siete cresciuti così, ritenendo ovvio che aveste tutto.
– E quando avevate qualche problema esistenziale – una volta si diceva così – e lo comunicavate ai vostri genitori, ai vostri adulti, c’era già pronta la seduta psicanalitica per risolvere questo problema.
– Si sono solo dimenticati di dirvi che c’è il Male.
– Figli miei, siete morti così, quasi senza ragioni come avevate vissuto.
– Non preoccupatevi, non vi hanno aiutato a vivere ma vi faranno un “ottimo” funerale
E rispetto alla Chiesa:
– nelle chiese non si fanno più funerali perché, come dice acutamente il cardinale Sarah, nelle chiese cattoliche ormai si celebrano i funerali di Dio.
Questo è il modo con il quale un Vescovo della Chiesa cattolica si rivolge a persone che neanche conosce?
E’ questa la posizione di mons. Negri nei confronti della Chiesa cattolica, tutto da bruciare tranne lui?
Chi scrive non si ritiene né un bergogliano né un antibergogliano, ma uno che ha trovato profondamente sbagliato questo suo intervento, sempre che si possa dire, visto che le truppe negriane (queste si che sono agguerrite) lo ritengono infallibile.
Simone
Gentile Simone, a molte di queste obiezioni credo di aver già risposto nel commento soprastante. Detto in sintesi, il discorso di Negri si rivolge in forma retorica ai ragazzi uccisi per rivolgersi a ognuno di noi con un forte invito alla conversione. Si può non condividere questa lettura e anche la modalità scelta dal monsignore, ma il punto è che anche nell’espressione di un dissenso bisogna, semplicemente, rimanere cristiani. Il fatto che esistano altri “partiti ecclesiali” (di cui nessuno qui fa parte) che difendono fanaticamente i propri idoli non giustifica la creazione di altre fazioni impegnate a emularli in crudeltà e violenza verbale. Questa “trasformazione” è tanto più deprecabile quando si riscontra in chi predica la misericordia ma non la pratica. “Militare” dalla parte giusta non legittima il cybersquadrismo.
Gentile Giovanni, restando in argomento (non mi interessano tutte le altre considerazioni che anche lei fa, la lettura di fazioni in battaglia, di scomuniche e contro scomuniche, etc) il pezzo di Mons. Negri è profondamente sbagliato e se lui avesse pensato prima di scriverlo, tutto il resto non sarebbe accaduto.
Lei dice “si rivolge in forma retorica ai ragazzi uccisi per rivolgersi a ognuno di noi con un forte invito alla conversione” mi permetto di dire: Quale retorica? Le accuse che lui fa sono ben precise e puntuali (come le ho ricordato nel precedente intervento) e affrontano tutto il percorso della vita di una persona dalla nascita alla morte facendo di tutto un gran miscuglio. Per esempio: se lei o io fossimo stati presenti a quel concerto (e non perché sono migliore dei ragazzi presenti), io mi sarei sentito profondamente offeso dal suo giudizio, così sferzante così privo di senno visto che non mi conosce. Inoltre lei pensa che qualcuno abbia recepito quelle parole come un invito alla conversione, io credo piuttosto che siano state parole che hanno allontanato dalla Chiesa perché condannati per una colpa non commessa.
Gentile Simone, non mi chiamo Giovanni ma Emiliano. Che il pezzo di monsignor Negri sia “profondamente sbagliato” naturalmente è una sua opinione e non un dogma di fede, voglio sperare.
Il suo argomento, le faccio notare, è quello degli amici di Giobbe. Se ti è accaduto il male è colpa tua, Giobbe, perché hai peccato. Non è la visione cristiana delle cose. Dio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se legge con attenzione la “Salvifici doloris” se ne renderà conto.
Il punto, torno a ripeterle, è che la violenza e il male non sono mai giustificati e un cristiano deve essere ispirato dalla carità anche quando corregge l’errore, non da uno spirito da “giustiziere della rete”. C’è una curiosa contraddizione in quello che dice: accusa monsignor Negri di aver scrutato i cuori dei giovani uccisi ma poi lei fa lo stesso lanciandosi in supposizioni sulle persone che sono state allontanate dalla Chiesa da quelle parole. Ma lei che ne sa? Può leggere nei cuori di tutti coloro che hanno letto le parole di monsignor Negri? Io ad esempio le ho lette e non mi sono allontanato dalla Chiesa.
Quanto all’allontanamento dalla Chiesa, anche questa sua visione mi sembra discutibile. Fabrice Hadjadj ha fatto osservare che talvolta il rifiuto del vangelo discende non da una sua incomprensione, perché ci è stato presentato male o perché lo abbiamo capito male, ma, al contrario, perché lo si è inteso benissimo ma si rifiuta la radicalità della pretesa cristiana. Ossia che esiste un Qualcuno che essendo “interior intimo meo et superior summo meo” ci conosce meglio di quanto noi stessi ci conosciamo, un Qualcuno da cui noi siamo dipendenti. Per uno spirito orgoglioso e autosufficiente non c’è nulla di più sconvolgente. Dunque il rifiuto e l’allontanamento non sono sempre “colpa” del predicatore. Il Vangelo è sempre ricevuto “ad modum recipientis”, ricorda la parabola del seminatore? Certo, l’accoglienza o il rifiuto rimangono sempre un mistero intimo, personale, sul quale nessuno può giudicare, né in male né in bene. Solo Dio ha accesso al sacrario della coscienza.
Uno degli aforismi più profondi di Gustave Thibon esprime bene questa impossibilità di giudizio per l’uomo: «Quest’uomo è cieco. Come si oserebbe rimproverargli le sue cadute e le sue macchie? Taci. Non giudicare. Anche l’indulgenza è un verdetto. Tu vedi la notte di quest’uomo. Ma non vedi quale luce forse un giorno ha rifiutato. Il suo accecamento, che tu prendi come la causa del suo peccato, non ne è forse che la conseguenza».
Gentile Andreas,
lei ha completamente frainteso le mie parole visto che quello che imputa a me “Se ti è accaduto il male è colpa tua, Giobbe, perché hai peccato.” è esattamente quello che ha detto Mons. Negri riferendosi a quei ragazzi, ai loro genitori ed ai loro educatori, evidentemente.
Per quanto riguarda il fatto dell’allontanamento dalla Chiesa difficilmente (e qui parlo per me) mi sentirei attratto da qualcuno che mi offende e mi condanna.
Concludendo, le mie parole non sono certo un dogma di fede, ma spero anche che non si voglia fare credere che Mons. Negri sia infallibile.
Assolutamente no, è una sua interpretazione. Guardi poi che è stato lei a scrivere che “se lui [Negri] avesse pensato prima di scriverlo, tutto il resto non sarebbe accaduto”. Post hoc ergo propter hoc. Lo ha scritto lei, non io né monsignor Negri.
Sull’allontanamento: Bene, ma in ogni caso sta parlando (astrattamente) per sé, non si metta a giudicare gli altri.
Non essendo scritto da nessuna parte – meno che meno nel post soprastante – che monsignor Negri è infallibile non vedo perché ci si debba preoccupare che qualcuno voglia difendere una tesi così sciocca. D’altro canto nemmeno io o lei lo siamo, no? Ad ogni modo, insisto, il fatto che monsignor Negri possa aver detto qualcosa di inopportuno non giustifica la marea nera di insulti e calunnie che gli viene rivolta. Se su questo ultimo punto non è d’accordo con me, beh, siamo fuori dalla sequela di Cristo, che fino a prova contraria non ha mai comandato di rispondere al male col male.
Non sono stato e non sono un “ciellino” – non ho da difendere un’appartenenza – , ma ho sempre apprezzato il coraggio di dire la Verità di un Giussani e di un Negri. Due testimoni di Cristo che non hanno mai cercato (come troppi altri chierici) il facile consenso…
Ora mi chiedo, capisco che la maggior parte delle persone possa non disporre di una grande dotazione di strumenti linguistici per capire tutta la profondità di un pensiero articolato, e si accontenti di fare osservazioni superficiali, ma per altri normalmente capaci, dev’esserci il peso di un condizionamento ideologico irresistibile per giudicare con tanta temerarietà le parole di un autentico servitore della Chiesa.
Caro Antonio, credo che tu abbia davvero centrato il punto e ti ringrazio di questo spunto molto profondo. Riflettendo sulle tue parole mi è venuto alla mente quanto scriveva nel XIX secolo lo scrittore spagnolo Juan Donoso Cortés. Per Cortés c’è una legge fondamentale della storia: la correlazione inversa tra temperatura spirituale e temperatura politica. Quando il termometro religioso sale quello politico scende, e viceversa. Quando la forza interiore (religione) è bassa allora cresce la forza esteriore (politica), e ciò vuol dire dispotismo, tirannia.
Con l’abbassamento drammatico della temperatura spirituale si perde inevitabilmente il senso di quello che Chesterton chiamava «paradosso cristiano» o «paradosso della carità». In un capitolo mirabile di “Ortodossia” Chesterton scrive infatti che il cristianesimo ha diviso per sempre il peccatore dal peccato. Il criminale va perdonato settanta volte sette, il crimine non deve essere perdonato affatto alla maniera del medico che, se è davvero mosso dalla pietà per il malato, non deve avere alcuna pietà per la malattia che lo consuma. Rispetto al pagano, che non aveva pietà alcuna per il criminale, il cristiano è ancora più intransigente verso il furto ma molto più clemente con i ladri.
Quando si perde la tensione paradossale della fede cristiana una meditazione come quella del vescovo Negri è assolutamente incomprensibile. Difatti i suoi accusatori urlano che “ha giudicato le vittime della strage”, “ha giudicato i genitori delle vittime”, “odia l’Occidente come gli islamisti”. Il sismografo interiore di Negri ha percepito il legame profondo tra la desertificazione spirituale del nostro mondo e la crescita della tirannia – che ha nel terrore islamista una delle sue manifestazioni, ma non certo l’unica. È una questione di fiuto, di occhio clinico, di intuizione. Chi lo accusa di non conoscere una ad una le persone coinvolte ha sostituito lo spirito con la sociologia. Ma da sempre a penetrare lo spirito del tempo sono gli artisti e i mistici, non gli scienziati.
Negri ha diagnosticato una patologia spirituale ed è stato accusato da dei cristiani anestetizzati di non aver avuto pietà delle vittime. È come se a un medico si imputasse di aver causato la malattia per averla diagnosticata. Questo è il dramma. Ma le parole di Negri dimostrano che Dio non ha abbandonato il suo popolo lasciandolo sguarnito di profeti. E questa è la nostra speranza.