di Benedetto XVI
(traduzione di Emiliano Fumaneri)
Quando nel 1950 lessi per la prima volta le Lettere di s. Ignazio di Antiochia fui particolarmente colpito da un passaggio della sua Lettera agli Efesini:
È meglio restare in silenzio ed essere [un cristiano] che parlare e non esserlo. Insegnare è una cosa eccellente, a patto che l’oratore metta in pratica quanto insegna. Ora, c’è un Maestro che parlò e tutto si realizzò. E anche ciò che operò nel silenzio fu degno del Padre. Colui che ha realmente fatto proprie le parole di Gesù è anche in grado di udire il Suo silenzio, in maniera tale da poter essere perfetto; così che da poter agire con la parola e poter esser riconosciuto dal suo silenzio.
(15, 1f.)
Cosa significa udire il silenzio di Gesù e conoscerlo attraverso il suo silenzio? Sappiamo dai Vangeli che Gesù passava di frequente “sulla montagna” notti solitarie in preghiera, a conversare col Padre. Sappiamo che la sua predicazione e la sua parola discendono dal silenzio e solo nel silenzio potevano maturare. Così è ragionevole pensare che la sua parola possa essere compresa correttamente solo se anche noi ci addentriamo nel suo silenzio, se impariamo a intenderla a partire dal suo silenzio.
Certamente, per interpretare le parole di Gesù è necessaria la conoscenza storica che ci insegna a capire il tempo e il linguaggio di quel tempo. Ma da sola essa non è sufficiente per capire il messaggio del Signore nella sua reale profondità. Chiunque oggi legga gli abituali commenti ai Vangeli rimane deluso alla fine. Egli, certo, impara molto di utile riguardo quei giorni e apprende molte ipotesi che, in ultima istanza, ad altro non contribuiscono se non alla comprensione del testo. In definitiva si percepisce che in tutto quell’eccesso di parole manca qualche cosa di essenziale: addentrarsi nel silenzio di Gesù, dal quale si è generata la sua parola. Se non sappiamo entrare in questo silenzio udiremo sempre e soltanto la parola in superficie senza così poterla realmente comprendere.
Mentre leggevo il nuovo libro del Cardinal Robert Sarah tutti questi pensieri si sono riaffacciati nel mio animo. Sarah ci insegna il silenzio, ci insegna a stare in silenzio con Gesù, il vero silenzio interiore, e allo stesso modo ci aiuta a penetrare di nuovo nella parola del Signore. Egli naturalmente non parla quasi mai di se stesso, ma di tanto in tanto ci fa intravedere degli sprazzi della sua vita interiore. In risposta alla domanda di Nicolas Diat («In qualche momento della sua vita ha mai pensato che le parole stessero diventando troppo ingombranti, troppo pesanti, troppo noiose?») egli risponde:
Nella preghiera e nella mia vita interiore ho sempre avvertito il bisogno di un silenzio più profondo, più completo… I giorni di solitudine, di silenzio e di assoluto digiuno sono stati un grande sostegno. Sono stati per me una grazia senza precedenti, una lenta purificazione e un incontro personale con […] Dio. […] I giorni di solitudine, il silenzio e il digiuno, nutriti della sola Parola di Dio, permettono all’uomo di basare la propria vita su quel che è essenziale.
Queste frasi svelano la fonte di cui il cardinale vive e che conferisce forza interiore alla sua parola. Dal suo punto di osservazione privilegiato egli può allora avvistare i pericoli che continuamente minacciano la vita spirituale, anche dei sacerdoti e dei vescovi, mettendo così in pericolo anche la Chiesa stessa, dove non è infrequente che alla Parola si sostituisca una verbosità che va ad annacquare la grandezza della Parola. Vorrei citare soltanto una frase, che potrebbe diventare l’esame di coscienza per ogni vescovo:
Può accedere che un bravo e devoto sacerdote, una volta elevato alla dignità episcopale, cada rapidamente nella mediocrità e nella ricerca del successo mondano. Sopraffatto dal peso dei doveri incombenti su di lui, preoccupato del suo potere, della propria autorità e delle necessità materiali legate al suo ufficio, finisce per perdere gradualmente vigore.
Il Cardinale Sarah è un maestro spirituale che parla a partire dal silenzio col Signore, a partire dalla sua intima unione con Lui. E perciò ha davvero qualcosa da dire a ciascuno di noi.
Dovremmo essere grati a Papa Francesco di aver nominato un simile maestro spirituale a capo della congregazione responsabile per la celebrazione della liturgia nella Chiesa. È vero: anche in campo liturgico, come nell’interpretazione della Sacra Scrittura, una conoscenza specialistica è necessaria. Ma è altrettanto vero che nella liturgia la specializzazione rischia di oscurare la cosa essenziale se non si basa su una unione intima e profonda con la Chiesa orante che continuamente apprende dal Signore stesso cosa voglia dire adorare. Col Cardinale Sarah, un maestro del silenzio e della preghiera interiore, la liturgia è in buone mani.
Ed ecco l’entusiastico riscontro di un noto esperto: http://confini.blog.rainews.it/2017/05/19/ratzinger-rinuncia-alla-rinuncia-la-fine-di-un-mito-intervista-ad-andrea-grillo/