di Lucia Scozzoli
Subito dopo Facebook, è il turno di Google. A stretto giro dall’annuncio della guida per gli utenti sulle “fake news” messa a punto da Facebook, non si è fatta attendere l’iniziativa di Mountain View. Da ottobre era presente in Usa e Uk per Google News. A partire da oggi l’etichetta Fact Check sarà disponibile in Google News e anche nel motore di ricerca, a livello globale e in tutte le lingue.
Notizia del 7 aprile sul Sole 24 ore (e su molti altri giornali)
Ci dice il Product Manager Justin Kosslyn: «Queste verifiche dei fatti naturalmente non sono effettuate da Google e potremmo anche non essere d’accordo con i risultati, proprio come diversi articoli di fact checking potrebbero essere in disaccordo tra loro». Tuttavia «riteniamo che sia utile per le persone capire il grado di consenso attorno a un argomento e avere informazioni chiare su quali fonti concordano».
A ogni modo, continua il blogpost di Google, «rendendo queste attività di fact-checking più visibili nei risultati di ricerca, riteniamo che gli utenti possano esaminarle e valutarle con maggiore facilità per formarsi così opinioni e pareri informati. Tutto ciò non sarebbe stato possibile senza l’aiuto di altre organizzazioni e senza il sostegno della comunità di fact checking, che è cresciuta fino a includere più di 115 organizzazioni».
Chi sono queste 115 organizzazioni? «Solo gli editori che sono algoritmicamente determinati come fonte autorevole di informazioni si qualificheranno per essere inclusi». Tradotto: le testate giornalistiche che già conosciamo benissimo e dalle quali la gente fugge cercando notizie alternative appunto sul web.
È pure nato un consorzio chiamato News Integrity Initiative: associazione no profit per la lotta alle fake news che include Facebook, Mozilla, Wikipedia ma anche AppNexus, Betaworks, European Journalism Center, Unesco, fondazioni e diversi atenei di giornalismo europei con sede in Germania, Francia e Danimarca.
No profit. Ah davvero? Tra il 2008 e il 2013 le fiamme gialle hanno rilevato un’evasione fiscale da parte di Google di 800 milioni di euro e il colosso si è accordato col nostro fisco per la cifra di 280 milioni per chiudere il contenzioso, con un ragguardevole risparmio di 520 milioni di euro. Anche la Apple Italia è stata multata per 880 milioni di euro e ne ha versati alla fine solo 318.
Insomma, viene il sospetto che i giganti del web siano già stati retribuiti per il loro improvviso ed indefesso impegno contro le fake news, così come richiesto (e imposto, vedi Germania) dai governi nazionali terrorizzati all’idea di non avere più il controllo sull’opinione pubblica.
L’analogia con il Ministero della Verità di orwelliana memoria è immediato: è necessario che ci sia qualcuno che ci dica prontamente cosa è vero e cosa è falso, che spinga il vento delle opinioni in una direzione ben precisa, che bolli con ignominia chiunque osi dissentire.
Questo processo di soppressione della libertà di espressione è partito già da un po’ e assume le forme più disparate ed isteriche: la derisione è il sistema più in voga per zittire le opinioni estreme, mescolandole insieme alla divulgazione di fandonie talmente paradossali da non essere nemmeno considerabili ipotesi. Il gioco sta nel mettere tutto sotto lo stesso titolo di “complottismo” da bollare come idiozia e un lungo ahahah. Così i terrapiattisti si trovano affiancati a documentari dove smentiscono passo passo la ricostruzione ufficiale dell’11 settembre; chi sostiene di guarire i tumori con l’ottimismo accanto a chi discute di effetti collaterali dei vaccini; chi dice che i politici americani sono rettiliani insieme a chi si domanda che accidenti sparano gli aerei che rigano i nostri cieli con scie a scacchiera.
Le domande scomode e lecite che la gente si pone trovano due sole risposte: cavolate galattiche o lo stigma dell’ignoranza. Vietato domandare, vietato essere dubbiosi, vietato mostrare tentennamenti su alcuni temi caldi.
Qualcuno potrebbe dire che evitare di aprire dibattiti su certi temi è più che lecito, persino doveroso, salvo poi trovare qualche difficoltà a dividere gli argomenti “certamente” bufala da quelli solo “forse”. Io personalmente, lo ammetto, ho letto anche le teorie dei terrapiattisti prima di considerarle delle scemenze, perché non si sa mai, magari le cose non stanno come sembrano. Anzi, quasi mai. Non mi sconvolge un’ipotesi fantasiosa, non mi lascia interdetta né scandalizzata: se sono curiosa, approfondisco e giudico, altrimenti salto l’argomento. Non sarà un articolo del fatto quotidaino messo lì per il clickbait a turbare i miei sonni o a portarmi sulla falsa via della menzogna e non so davvero quale povero allocco possa cadere nella trappola di una news inventata di sana pianta per più dei cinque minuti necessari a postarla e farsi ricoprire da commenti di gente un attimino più sveglia che segnala l’evidente bufala.
I sostenitori del sistema di segnalazione fake news sono soliti anche fare un gran pastrocchio di temi (che strano eh, non succede mai di questi tempi) parlando di haters da fermare e di insulti sul web inaccettabili. Il che, ovviamente, è tutto un altro argomento, a meno che non si intenda per haters chiunque manifesti idee un po’ meno politically correct del “love is love” e “salva un agnellino a Pasqua”. Se proclami di mangiare costolette per le feste sei un hater. Anche se dici che secondo te la famiglia è formata da madre, padre e figlioli sei un hater.
Capite come i temi caldi pericolosi da includere nelle fake news si stiano ampliando a macchia d’olio: a Bergamo hanno chiuso il giornalino del liceo perché ha ospitato articoli su gender e aborto (che non hanno nemmeno un nesso tra loro, per altro) dal tono critico rispetto al solito che sentiamo in tv, ed è stato bollato come omofobo. Se sostieni che l’aborto è un male o che la contraccezione non è il massimo, sei omofobo. Il salto logico è notevole, similissimo però a quello che abbiamo già visto accadere col termine complottista.
Per riassumere, direi che ora è fascista chiunque si opponga al globalismo finanziario-liberista, è complottista chiunque avanzi ipotesi di natura scientifica non approvate dal mainstream ed è omofobo chi sostiene idee contrarie alla (a)morale di stato del libertinismo sfrenato.
Anche i toni si stanno alzando: dalla derisione si è già passati all’intimidazione. E così leggiamo su facebook i post di Burioni che insulta i genitori che non vaccinano i figli, imputando loro tutti i mali dell’universo (mentre il rapporto ufficiale dell’ISS riporta i numeri esatti dei casi di morbillo in Italia e si scopre che nel 2013 e 2014 ci sono stati moltissimi casi in più di adesso e nessuno ha gridato all’emergenza epidemia, ma se lo dici sei uno stupido e maledetto antivax, che possano morire i tuoi figli tra atroci dolori). Per quanto riguarda l’immigrazione, beccarsi del fascista è più facile che bagnarsi sotto un acquazzone estivo senza ombrello. Sul tema gender siamo all’indottrinamento coatto di insegnanti e scolaresche, gli insulti sono all’ordine del giorno per chiunque, basta farsi un giro sul web, non c’è bisogno che vi porti esempi che già avete. Sull’aborto, si sta affermando sempre più violentemente la sua natura di “diritto” invece che “extrema ratio” e come tale diventa un ostacolo blasfemo chiunque si frapponga tra la donna e l’eliminazione della sua creatura semplicemente chiedendo di non essere coinvolto mediante l’esercizio dell’obiezione di coscienza.
Le testate giornalistiche principali sono perfettamente allineate in questa omologazione culturale e politica, il web era l’ultima roccaforte di libero pensiero, dove gli utenti potevano cercare e trovare, nel mare magnum libero e fitto, la notizia censurata, il riscontro ad un proprio dubbio, una ricostruzione diversa dal solito. Ora ovviamente cliccare su un link segnalato come bufala sarà meno casuale, richiederà la scelta consapevole dell’utente di ignorare un avviso nella certezza che le proprie navigazioni internet sono tracciate, per cui Google saprà di avere a che fare con un utente pervicacemente indisciplinato.
Il problema non è sapere cosa è vero e cosa è falso (chi può dirlo con certezza, sui milioni di temi di cui può discutere il web, in fondo?), ma sapere se ancora possiamo porci la domanda. Posso chiedermi se esiste una cura alternativa alla chemioterapia per il tumore al pancreas? Posso chiedermi se la Tav aumenterebbe o diminuirebbe l’inquinamento ambientale nella vallata del Brennero? Posso chiedermi se le variazioni delle emissioni di radon sono utilizzabili per predire i terremoti? Posso chiedermi se gli immigrati pagano davvero 2000€ a testa per fare la traversata del Mediterraneo? Posso chiedermi di chi sono le armi chimiche che sono esplose in Siria? Posso chiedermi se la vita nasce nella tuba di una donna o nel suo utero dopo 2 settimane o 5 o 9? Posso chiedermi se ci sono delle differenze percentuali nella diffusione di patologie tra la popolazione omosessuale e quella etero? Posso chiedermi da dove nasce l’attrazione omoerotica? Posso chiedermi che origine ha l’universo e se ci sono dei fondamenti scientifici alla teoria darwiniana che afferma che l’uomo discende dalla scimmia?
La risposta che il sistema globalista vorrebbe darmi è un secco no, mi dicono loro cosa pensare, non mi devo più disturbare ad indagare su nulla.
Io invece ho una curiosità patologica e fatico a rassegnarmi, anzi, quando vedo un particolare accanimento congiunto dei mezzi di informazione in senso unidirezionale su un tema, mi insospettisco tantissimo, sento puzza di bruciato e indago versioni di segno opposto. Soprattutto mi allarmano i toni apocalittici e assolutisti: emergenza epidemia, emergenza omofobia, emergenza femminicidi, emergenza xylella, emergenza olio di palma, emergenza stupidità.
La peste del 1630 a Milano portò la popolazione da 130000 a 60000 individui. Quella era un’emergenza.
Queste dei tempi nostri sono scuse, per manipolare voti e consensi politici o indirizzare i consumatori. Che in un mondo dove l’olio di palma pare il pericolo del secolo (senza uno straccio di prova), ma il glifosato, dichiarato nel 2015 dal IARC cangerogeno, all’alba della fusione Monsanto Bayer per l’OMS non fa più niente, io, come dire, del mainstream non mi fido.
Pienamente d’accordo con la dott.ssa Scozzoli.