di Cristina Marginean Cocis
Bisogna sempre nominare correttamente tutte le cose che ti stanno attorno perché solo così avrai la giusta percezione di quello che ti circonda e non cadrai mai nella tentazione di sottovalutare o di disprezzare niente, per quanto piccolo o insignificante ti possa apparire. Lo riconosco, è una frase che per tanto tempo non ho capito o che peggio consideravo gratuita.
Molto più tardi ho scoperto una cosa meravigliosa: la vita d’oro delle parole – rivelazione di Dio e collaborazione creativa dell’uomo con Dio. Ho scoperto meravigliata che la parola ci rivela non solo la nostra solidarietà con gli uomini, degli uni con gli altri, ma anche con qualcuno oltre a noi. Ho scoperto che parlare non voleva dire solo comunicare voleva dire molto di più, voleva dire nutrire e costruire. Dalla mia passione per le parole ha preso forma un impegno più tangibile e così mi sono dedicata concretamente a loro attraverso il mio lavoro e in questo modo ho scoperto che sono importantissime non solo le parole ma anche il modo di metterle insieme. Se non si sta attenti, specialmente nell’età dello sviluppo, i neuroni costruiscono dei collegamenti sbagliati e ancora di più, non rispettando la grammatica si comincia a pensare in modo caotico, in sequenze mentali eterodirette, e si diventa manipolabili e di conseguenza molto vulnerabili.
Dei vescovi cattolici rumeni ricevettero questa proposta: «Se diventi ortodosso domani riceverai la carica di metropolita o di patriarca a Bucarest della chiesa nazionale»… che modo subdolo e veramente pericoloso di manipolare diventava questo! Ci rendiamo conto di cosa si stava cercando di fare?
Perché il punto non era diventare ortodosso o no! Bisogna denominare in modo concreto e giusto le cose. Il diavolo ha cercato di usare le parole e le denominazioni per distruggere, per confondere o per dividere i cristiani. A loro non era offerta la fede ortodossa e loro non hanno rifiutato l’ortodossia! Loro non hanno accettato qualcosa di molto pericoloso; loro non hanno accettato, a prezzo della loro vita, che l’ortodossia fosse usata come strumento di controllo e di sottomissione del popolo. Loro non hanno accettato che una chiesa sorella in Cristo venisse usata contro di loro, non hanno accettato di collaborare con uno strumento di tortura in nome di Cristo per distruggere Cristo! Loro hanno amato così tanto i loro fratelli ortodossi che non hanno concepito minimamente il pensiero che la storia e il nome della Chiesa ortodossa venisse macchiato di sangue e, per giunta, del sangue di cristiani fratelli, uniti nella medesima fede!
Adesso è chiaro il martirio e diventa ancora più chiaro quando guardiamo veramente dalla loro prospettiva.
Perché la parola “martire” o martirio, allora, che senso ha? E in quella situazione specifica che senso ha acquisito? …che senso profondo! Tante volte mi sono chiesta: «Ma perché questi vescovi hanno accettato di diventare martiri?». Mi chiedo, non sarebbe stato più facile accettare il compromesso continuando a vivere e salvare la loro vita? Può sembrare la via più facile, essi potevano pensare: «Intanto rimaniamo in vita poi vediamo cosa faremo»… eh… ma come sappiamo, la via facile è molto spesso sterile e conduce, non poche volte, in un vicolo cieco.
Martirio… hanno accettato il martirio, sì, sapendo bene cosa stavano per fare, scegliendo la via difficile. Sapevano bene che una volta versato il loro sangue, paradossalmente, questa chiesa non poteva più morire, perché niente nutre come il sacrificio e niente può essere cancellato una volta ricoperto da sangue vivo. Loro hanno assicurato la continuità della loro Chiesa nel modo più sicuro e più vero possibile.
Adesso sta a noi seguire il cammino che loro ci hanno aperto, rispettarlo e onorarlo anche se le comunità greco-cattoliche sono ancora molto fragili e ancora davvero molto vulnerabili perché si trovano nella loro fase di risveglio! Ti credo ben – si direbbe in friulano – Dopo lo sterminio che hanno patito! Vorrei vedere! Queste comunità sono state nutrite con il sangue del sacrificio più puro che c’è, il sacrificio della libertà della fede!
Quando capiamo veramente il significato di qualche parola, il velo che cade dalla cosa ricade su noi stessi e ci copre con la cosa…
Martirio: lasciamoci coprire da questa parola, meglio dire dall’epifania di questa parola, da quello che rivela al nostro intelletto e al nostro cuore, quel cuore che si lascia toccare dall’importanza delle parole perché abbiamo ricevuto la libertà della fede nel modo più semplice possibile, senza sforzi di coscienza o fatiche intellettuali. E quello che mi sembra perfino miracoloso è proprio la semplicità con cui mi basta chiamare Dio. Basta stringere tra le mani una piccola croce, stringerla talmente tanto da sentirla penetrare la pelle e tenerla nell’immediatezza dei pensieri per superare le barriere della razionalità che ferma il dono e lo mette nell’angolo delle cose inspiegabili che noi, arroganti come siamo, riteniamo incompatibili con la nostra umanità.
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