di Claudia Cirami
È un trovarsi per poi perdersi. È di nuovo ritrovarsi e perdersi ancora. L’amore disegnato dall’artista messicana Chiara Bautista (che di sé dice poco) scaturisce da un universo interiore dove si incontrano lupi stellati, ragazze-coniglio, uomini con il cranio di uccello e altre figure (che spesso hanno un corpo femminile ma elementi tratti dal mondo animale). In questo universo, vita e morte sono presenti in un continuo rimando. La parziale incomprensibilità delle sue illustrazioni surreali diviene possibilità di una compenetrazione tra il suo mondo simbolico e quello di chi si trova di fronte ai suoi lavori: ciò che sfugge è completato dall’ interiorità di chi osserva.
La maggior parte dei suoi lavori ci conduce davanti ad una lettura dell’amore umano. Anche quando pienamente ricambiato, non è mai proprietà che ci appartiene, ma rimane altro da noi. Anche quando fedele, è tradito nelle minuzie: un’esitazione, un malumore, un gesto tenero non ricambiato. Anche quando l’altro è al nostro fianco, noi vorremmo tenere il suo cuore in mano, nella speranza di non perderlo.
L’amore disegnato da Chiara Bautista ricorda, per certi versi, quello che Hans Urs von Balthasar, il celeberrimo teologo svizzero, scriveva ne Il Cuore del mondo sull’amore tra gli esseri umani:
Se questi esseri per di più si amano, e da quell’isola all’altra che essi sono si lanciano cenni, quando tentano di scambiarsi la propria solitudine e di farne una illusoria unità, tanto più dolorosa li coglie ben presto la delusione quando tocca loro urtare contro le invisibili sbarre, contro il gelido vitreo cristallino su cui picchiano come uccelli imprigionati. Nessuno riesce ad abbattere la propria prigione, nessuno sa chi sia l’altro.
C’è un ulteriore aspetto che è possibile cogliere in alcune illustrazioni della Bautista: il richiamo al religioso (naturalmente rielaborato in una visione laica, che può anche suscitare sentimenti contrastanti). L’artista, in una delle rare interviste, lo ha spiegato con il rimando a quella religiosità che pervade il Messico e che fa parte del suo immaginario. Anche Frida Kahlo, altra nota artista messicana, non sfuggì del tutto, nella sua produzione artistica, alle suggestioni religiose del suo paese. Al di là di ogni tentativo “apologetico” delle scelte di tanti artisti (certe volte una loro difesa è insostenibile ed è inutile spacciare alcuni artisti come religiosi), quando non c’è un chiaro intento di strumentalizzazione della religione, richiamarsi al sacro sembra alludere a qualcosa di profondo. È come se frammenti del discorso su Dio – di quella domanda che è presente nel cuore dell’uomo e si apre alla trascendenza – rimanessero impigliati anche nelle opere d’arte di chi non necessariamente si professa credente o si dedica all’arte sacra.
Perché l’amore umano – per quanto saldo – ha in sé quel limite che è legato alla nostra creaturalità. Il suo incanto risiede nell’essere riflesso dell’Amore divino. L’Unico Amore che può colmare la nostra sete inesauribile e di cui anche i disegni di un’artista messicana, svelandoci bellezza e limiti di quello umano, sembrano recare la nostalgia.
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Sono azzardato se leggo in queste tavole, almeno quelle che hai pubblicato, un sottile legame tra eros e thanatos, amore e morte?
D’altronde sarebbe molto coerente con la cultura ispanica e messicana in particolare…
Sì. C’è anche questa possibile lettura, che si può applicare anche ad altre sue illustrazioni.