E poi ho ricevuto troppo
dalla delicatezza di tanti invertiti,
specialmente nel dominio della scrittura e dell’arte,
per non sentirmi in debito verso di loro.Fabrice Hadjadj, La profondeur des sexes, 158
Mi è capitata ieri sott’occhio la foto di un paio di pagine di un testo scolastico per le superiori (mi dicono che sia il nuovo Luperini Cataldi, edito da Palumbo): vi leggo un’insolita introduzione al canto XV dell’Inferno dantesco.
È vero che non si legge tutto con chiarezza, come pure che la “scheda critica” (diciamo così) non si esaurisce in queste due pagine, ma vedo ugualmente che si tirano in ballo Freud, Edipo, Platone, l’inquisizione (tutte cose di cui il testo dantesco non parla!)… e soprattutto mi offende la vista dei manifesti del gay pride di Roma (edizione del 2014), che se mai fosse possibile ha a che vedere con la Commedia meno di Freud, Edipo e Platone. E mi cala un velo di sangue sul viso, mentre in modo irriflesso le mie labbra invocano lo spirito di Vittorio Sgarbi perché si impadronisca di me e replichi contro questi vili ciarlatani l’invettiva con cui conciò per le feste Alessandro Cecchi Paone.
Un amico, letterato e figlio di dantista, mi diceva: «Lascia stare Sgarbi, trasformati invece in Checco Zalone». È una parola… un buon consiglio, per carità, ma improvvisarsi intellettuali è relativamente facile:
Per stupire mezz’ora
basta un libro di storia(Fabrizio De Andrè)
Mentre ci vuole del genio vero per sprigionare vis comica come fa Luca Medici. E io sono troppo sconvolto per mettere insieme un’arguzia che faccia alla bisogna: “Omofobia”? Intravedo che c’è una nota sull’“omofobia”! In un commento dantesco! Praticamente prendono la scusa del canto XV dell’Inferno per fare uno spottone omosessualista ai ragazzi dei licei. Capre ignoranti e presuntuose! Se pensassero a leggere e capire Dante, invece che a corrompere le giovani generazioni, capirebbero non solo che non c’è niente di “omofobo”, in Dante, ma soprattutto che niente scongiurerebbe episodî di odiosa discriminazione a danno delle persone omosessuali quanto l’interiorizzazione dei sentimenti del Poeta nei confronti del suo maestro.
«Siete voi qui, ser Brunetto?»
È la domanda piena di doloroso stupore di un alunno devoto che riconosce sempre nell’antico maestro la guida a gettare lo sguardo oltre i confini dell’ignoranza e del vizio.
«Se fosse tutto pieno il mio dimando»,
rispuos’io lui, «voi non sareste ancora
de l’umana natura posto in bando;ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad oram’insegnavate come l’uom s’etterna:
e quant’io l’abbia in grado, mentr’io vivo
convien che ne la mia lingua si scerna.
In verità, non mi sovviene nell’Inferno dantesco una pagina più carica di amore. Per nessuno Dante prova tanta pietà, per nessuno protesta tanto visceralmente amore imperituro: «Bisogna che dalle mie parole tutti sappiano / finché avrò vita, quanto io Vi sia grato». Grato a chi? Al maestro omosessuale.
Ma già, peraltro… dov’è che Dante dice che Brunetto Latini era omosessuale? Da nessuna parte. Dov’è che dice che il III girone del VII cerchio sarebbe dedicato all’omosessualità? Da nessuna parte. Perché? Perché non esiste “l’omosessualità”, per Dante (e per tutte le persone ragionevoli). In quel girone sono puniti i violenti contro Dio, tra i quali evidentemente si annoverano pure quanti hanno praticato la sodomia, il cui appetito di origine viene detto disordinato anzitutto perché, dal punto di vista puramente organico, devasta gli apparati urogenitale e digerente dell’essere umano riempiendo l’uno e l’altro di lacerazioni e infezioni (e non ci può far nulla neanche la Durex, se il retto è fatto per l’espulsione delle feci e non per la penetrazione sessuale).
Che sappiamo dunque di “ser Brunetto”? Da Dante abbiamo solo il ricordo tenerissimo di una gratitudine senza fine. E da altri? Poco di più: è Giovanni Villani che lo definisce “mondano uomo”, ma se sappiamo per certo che nel nostro italiano corrente la parola “mondano” non significa “omosessuale” (anche perché l’omosessualità, va ribadito, non esiste), non per questo abbiamo un’idea di cosa si potesse intendere nella lingua di Villani. Probabilmente era un modo allusivo per dire “la cosa” con una perifrasi: un po’ come quando Gianni Agus e Raimondo Vianello parlavano del “diverso” e dell’“ambiguo” che bisognava a tutti i costi inserire nella trasmissione – perché «piace a un certo pubblico».
Ma c’è di più, quanto al peccato che rese “lerci” i compagni di dannazione di ser Brunetto: è tutta gente “di un certo livello” – intelligencija ecclesiastica e letteraria, diciamo.
«Saper d’alcuno è buono;
de li altri fia laudabile tacerci,
ché ’l tempo sarìa corto a tanto suono.In somma sappi che tutti fur cherci
e litterati grandi e di gran fama,
d’un peccato medesmo al mondo lerci.Priscian sen va con quella turba grama,
e Francesco d’Accorso anche; e vedervi,
s’avessi avuto di tal tigna brama,colui potei che dal servo de’ servi
fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione,
dove lasciò li mal protesi nervi.
Brunetto è, nell’Inferno dantesco, l’unico dannato che conservi un attaccamento alla virtù: se non alla virtù in sé e per sé (cosa che sarebbe contraddittoria) alla virtù quale deposito da lasciare ai proprî discepoli (è già infinitamente di più del solo voler fuggire castighi supplementari). Latini è dannato e ancora insegna: Dante è vivo e va verso il Paradiso, e ancora tiene la fronte bassa di fronte al maestro, dal quale aveva appreso «come l’uom s’etterna». E mentre ai nostri ragazzi dovrebbe essere mostrato questo, nelle scuole, facendoli stare attaccati alla nuda lettera dantesca come a una parete di roccia dolomitica, degli inqualificabili figuri sfruttano l’occasione per propagandare le porcherie oscene di Mario Mieli e dei suoi malsani accoliti.
Ma questo non fa notizia: «In sintesi – spiegava Brunetto a Dante – sappi che tutti furono prelati / o letterati grandi e di grande fama». Che cosa curiosa: nell’Inferno si puniscono i peccatori in base ai vizî, non in base alle classi sociali o professionali di appartenenza (a meno che, come nel caso dei simoniaci, l’appartenere a una determinata classe non sia la conditio sine qua non del peccato punito)! Eppure questo “peccato medesmo” (che rende “lerci”) è in voga nel bel mondo… forse a questo si riferiva l’anodina allusione del Villani…
E perché “saper d’alcuno è buono”, stando a ser Brunetto? Ma perché Dante tiene sempre a sottolineare che un peccato non è mai concluso in sé stesso, e che la corruzione di un vizio s’intesse sempre in una struttura di marciume che coinvolge altre dimensioni. Ecco perché si stigmatizza pure il trasferimento ad altra sede del vescovo di Firenze – sodomita! – che ancora a Vicenza e fino alla morte ha seguitato a “protendere male i suoi tessuti”. Riflettano su questo, gli ecclesiastici che (oggi più apertamente di ieri) auspicano la caduta dell’ovvia condanna dei cristiani alle pratiche sodomitiche. Sono essi i medesimi che da un lato cianciano di “ponti” e dall’altro curano i proprî (sordidi) interessi.
Il ministro dei temporaliin un tripudio di tromboniauspicava democraziacon la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni(Fabrizio De Andrè)
Aggiornamento: un lettore mi manda per intero le pagine della “scheda critica”. Le pubblico a seguire.
“il lettore” sono io.