«Bene», disse il medico. E il paziente morì.
Era una boutade farsesca, oggi è una nota di cronaca all’indicativo.
Sabato pomeriggio abbiamo accompagnato al cimitero la persona scrivendo della quale cominciai questo post. Appena due giorni prima l’Ufficio delle Letture riportava il passo dell’Ecclesiaste in cui si legge:
Meglio entrare in una casa in lutto che in una casa in festa,
perché quella è la sorte del vivente,
e l’uomo assennato vi rifletterà.Eccl. 7,2
In questo carnevale di sangue, in cui un’Italia impazzita dà dello sciacallo a chi lancia l’allarme contro la deriva e onora come un salvatore chi lucra carriere sulla morte dei deboli, mi pare tanto più necessario tornare alle parole di Simone Weil che riportai in chiusura di quest’altro post:
La nozione di obbligazione ha il primato su quella di diritto, che a quella è subordinata e relativa. Un diritto non è efficace in sé stesso, ma solamente in forza dell’obbligazione alla quale esso corrisponde.
L’adempimento effettivo di un diritto proviene non da colui che lo possiede, ma dagli altri uomini che si riconoscono obbligati a qualcosa verso di lui. L’obbligazione è efficace dal momento in cui essa è riconosciuta.
Un uomo, considerato in sé stesso, ha solamente dei doveri, tra i quali ve ne sono alcuni verso sé stesso. Gli altri, considerati dal suo punto di vista, hanno solamente dei doveri. Egli a sua volta ha dei diritti quando è considerato dal punto di vista degli altri, che si riconoscono delle obbligazioni verso di lui. Un uomo che fosse solo nell’universo non avrebbe alcun diritto, ma avrebbe delle obbligazioni.
Gli uomini del 1789 […] hanno cominciato dalla nozione di diritto. Ma al contempo hanno voluto porre dei principî assoluti. Questa contraddizione li ha fatti cadere in una confusione di linguaggio e di idee che si ritrova in buona parte nella confusione politica e sociale attuale.
Simone Weil, Les besoins de l’âme, Paris 2007, 7-8
Adesso che le povere spoglie di Fabiano Antoniani sono fredde possiamo dire qualcosa anche qui. Anzitutto che definire se lo sventurato sia stato “un eroe” o “un vile” è cosa totalmente irrilevante: né più né meno che battere sui tasti di una console dopo la fatale scritta “game over”. Adesso
A Dio solo il giudizio,
a noi la vergogna sul volto.Dan. 9,7
A proposito di vergogna, c’è anche chi non ne ha mai. Penso a monsignor Vincenzo Paglia, che sembra ritenere un imperativo categorico il prestarsi a qualunque intervista gli venga proposta.
È vero che Paglia non dice né più né meno di quanto dispone la dottrina cattolica sul fine-vita; è vero che il ddl sulle DAT non parla di eutanasia o suicidio assistito, ma di sospensioni delle cure, ed è vero che Paglia si riferisce direttamente a quel testo quando usa la parola “disposizioni”.
Per contro sono vere altre due cose:
- Che i giornali non sono testi di giurisprudenza, dunque il riferimento alle DAT non sarà colto dal lettore per cui il giornale è confezionato;
- Che il dolo non sta nel titolo o nella redazione del testo, ma nella domanda stessa: si parla di Welby e di Dj Fabo (neanche del caso Englaro, che nella fattispecie sarebbe più controverso) – il “biotestamento” è una parola-civetta per parlare di eutanasia.
Allora Paglia avrebbe opportunamente potuto replicare osservando che la domanda era fuori luogo e tendenziosa, perché si stava parlando d’altro. Ma d’altro, appunto, si voleva parlare. E a noi viene da rimpiangere i tempi in cui a nessuna virtù, neanche teologale, i prelati erano formati come alla prudenza. Ma ricordiamo che Paglia è quello che non riconobbe il finto Renzi al telefono, e che ebbe la sconsiderata idea di farsi registrare dicendogli: «Oh, Matteo, complimenti per tutto!» (anche senza essere un Merry del Val, qualunque prete minimamente assennato non avrebbe detto cose simili neanche al vero Renzi, non al telefono).
Ma lasciamo perdere queste miserie clericali. Mi rende inquieto l’isteria collettiva che ha accompagnato il caso DJ Fabo ieri, con la secrezione di una quantità industriale di bile sui social: è proprio il sonno della ragione a ringhiare in questa gente che filosofeggia a colpi di “a me mi pare” e di “chi sei tu per giudicare?”. Mi ricorda uno dei versi più ermetici di De André (scritto per tutt’altre faccende):
…e le regine del “tua culpa”
affollarono i parrucchieriFabrizio De André, La domenica delle salme
Penso alla deriva in corso, alla trappola telefonica tesa da Cruciani e Parenzo a Enrico Coveri di “Exit-Italia”, alle parole criminali di quest’ultimo, che illustrava al disperato (finto, per sua fortuna) come tutto si potesse risolvere con appena 10mila euro (viaggio escluso!), purché imbrogliasse lo psichiatra incoraggiandolo ad andarci giù pesante sulla relazione col dirgli che verrà impiegata «per motivi assicurativi».
Penso a Pier Delle Vigne e alla selva dei suicidi, che sarebbe inondata di disgusto al vedersi riempita da pezzi di una società così marcia che ai violenti contro loro stessi neanche lascia la spina dorsale necessaria a uccidersi.
Io sentia d’ogne parte trarre guai,
e non vedea persona che ’l facesse;
per ch’io tutto smarrito m’arrestaiIf. XIII, 22-24
Il problema di questa società è che a nulla vale “visitare una casa in lutto”, come dice l’Ecclesiaste, se si vive un’interiorità dissipata ed euforica, di cui il morto carnevale di questi giorni è macabra icona. Oggi tutta Italia è una casa in lutto, e non lo sa, perché
Il cuore del saggio è una casa in lutto
mentre quello dello stolto è una casa in euforiaEccl. 7,4
«Fortuna che c’è la Quaresima», direbbe don Fabio Bartoli. E da domani la polvere torna alla polvere per davvero
grazie per il testo di Simone Wieil……….
Se la tecnica medica ti offre molte cure per sostenere la vita, in molti casi manca amore e compassione. Viviamo in una società di libero mercato e di edonismo sfrenato con tutto quello che comporta e allora il modo migliore di tagliare le spese è morire.
Ricordiamoci che il buon Samaritano paga….. e riprende la sua vita.
Ottimo Giovanni! Non ho modo di commentare in modo “articolato”, ma vorrei proporre un paio di link. Questo parla di un film del 1941. Titolo azzeccatissimo: Io accuso (cioè accuso chi non mi consente di porre fine alle mie sofferenze). Trama: Una giovane donna, moglie di un brillante medico e scienziato, si ammala di sclerosi multipla e chiede che le sia data la morte prima che il decorrere della malattia la renda completamente paralizzata e ritardata. Il marito, che ha cercato invano un rimedio per la malattia, decide di accogliere il desiderio della moglie e viene quindi accusato di omicidio. https://it.wikipedia.org/wiki/Io_accuso
Qui, invece, un bell’articolo molto documentato su come si iniziò a parlare diffusamente di “vite non degne di essere vissute”. http://invisibili.corriere.it/…/vite-non-degne-della…/
Infine, qui ci raccontano – oltre a molti altri riferimenti storici – come in Germania tra il 1933 e il 1937 “venne varata una intensa campagna di propaganda destinata a convincere il popolo tedesco della giustezza della sterilizzazione e dell’eutanasia: film, grandi mostre, periodici vennero diffusi capillarmente e la pretesa necessità di eugenismo fu prudentemente accettata dal resto della popolazione” http://www.anffas.net/…/lasciateci-uccidere-i-bambini…