Ieri mattina due eventi hanno mostrato le vette e gli abissi dell’anima umana, entrambi sono stati caratterizzati dalla comunicazione in lingua francese e da un nesso col mondo arabo. Il primo è stato l’atterraggio, ad Abu Dhabi (Emirati Arabi), di Solar impulse 2, l’aereo che ha fatto il giro del mondo alimentato unicamente dalla luce del sole: era ancora buio e quel gioiello di tecnologie e di energie rinnovabili (che ha pure imparato a conservare sufficiente energia da restare in volo l’intera notte anche in assenza del sole), pilotato dai due padrini del progetto, planava come una piuma sulla pista d’atterraggio.
Il secondo è stato l’omicidio a Saint-Étienne du Rouvray (diocesi di Rouen) di un anziano sacerdote, nonché il grave ferimento ai danni di un fedele che partecipava alla messa del mattino: era da poco sorto il sole e mentre sull’altare si offriva l’Agnello eterno che si carica addosso il peccato del mondo due uomini hanno fatto irruzione in chiesa, hanno sgozzato il prete e ferito gravemente un fedele (con l’intenzione di sequestrare il piccolo gregge), prima di cadere abbattuti dalle teste di cuoio.
Gli assassini si sono segnalati per berretti tipicamente tunisini, mentre entravano in chiesa inneggiando al califfato di Al Baghdadi; i pionieri del cielo si segnalavano per dichiarazioni in fluent english segnate da marcati accenti francofoni e germanofoni – in effetti sono entrambi svizzeri. I primi hanno agito nel nord della Francia, gli altri negli Emirati Arabi. Nel secondo caso si è visto il potere dell’uomo di coniugare la ricerca e la tecnica per sorvolare i confini e connettere i popoli; nell’altro l’oscura forza devastatrice che invade confini aperti e sfoga ire remote su innocenti inermi.
Non si tratta, si badi bene, di un banale rilievo dell’estrazione occidentale dei piloti del Solar impulse, magari contrapposto a un’ancora più banale osservazione della fede islamica degli assassini: si tratta di un’esemplificazione degli esiti in cui può declinarsi la natura umana. In estremo, certo, ma il caso è tanto più istruttivo in quanto richiama gli archetipi di Apollo e di Dioniso: o ci si eleva al cielo con la scienza e la prudenza di Dedalo (tanti Icari caduti hanno costruito l’esperienza dell’umanità) o ci si abbrutisce in quell’orrido ibrido che è la bestia malvagia. In mezzo c’è il sottobosco dei pavidi, dei portaborse, dei ruffiani e delle mezzecalze, che dissimulano, minimizzano, fanno finta di niente: non sanno gioire della grande impresa del Solar impulse e non sanno piangere per il barbaro assassinio di padre Jacques Hamel. Sono quelli di cui Gesù ha detto: «Siete come quella gioventù bruciata che sta tutto il giorno in piazza, non balla per chi canta e non fa lutto per chi muore». Ma Gesù rifiuta di rinchiudersi nel disfattismo: «Alla sapienza viene resa giustizia dalle sue opere».
E le opere della sapienza brillano a Rouen come ad Abu Dhabi; se qui pare più evidente il trionfo dell’umanità contro l’inciviltà, sappiamo pure che dove una buona idea rischia di fruttare qualche quattrino si affastellano come api sul miele i migliori travestimenti delle medesime brutture dell’estremismo; d’altro canto, anche dove due miserabili assassini hanno sgozzato un uomo anziano, mite, innocente e inerme, la qualità della sua morte fa sì che di fronte ai due lui svetti con la forza del martire. Che non è il contentino del poveraccio finito male perché preso nel momento sbagliato: padre Jacques è finito nel più alto dei modi ed è stato preso nel più giusto e santo dei momenti. Se avesse potuto salvarsi, probabilmente non lo avrebbe fatto: a vent’anni dal glorioso martirio dei monaci di Tibhirine (anche lì un filo di francofonia su di un panno di contesto arabo-islamico) abbiamo visto la testimonianza di un altro uomo che versando mitemente il suo sangue ha ribadito come – sì – ci sia sempre una scelta possibile.
È così possibile che diventa un imperativo morale, nel cattolicesimo (i comandamenti sono vincolanti proprio perché sono possibili – insegna il Deuteronomio): proprio perché Maria è sovranamente libera, all’annuncio dell’angelo, non vede altra risposta che un docile “sì” da dare a Chi le pone davanti una realtà da cui traspare il mistero dell’amore. Questo è il Vangelo della Chiesa, e perciò monsignor Lebrun, arcivescovo di Rouen, ha giustamente (e ovviamente) dichiarato: «La Chiesa cattolica non può prendere altre armi che la preghiera e la fraternità tra gli uomini».
Per curiosa coincidenza, Lebrun era a Cracovia coi giovani della diocesi. Di loro ha detto: «Lascio qui centinaia di giovani che sono l’avvenire dell’umanità, di quella vera. Domando loro di non abbassare le braccia davanti alle violenze e di diventare gli apostoli della civiltà dell’amore».
Ai più potrà sembrare che questa sia mera retorica, che la “forza dei martiri” sia poco più di un grazioso eufemismo per “la debolezza degli inermi”, che l’Isis richieda necessariamente un pugno di ferro. Forse sarà usato, quel pugno di ferro, ma la storia umana non ha mai visto una lite, grande o piccola, terminare con un colpo cui non venga dato un contraccolpo (dal colpito o da un suo vendicatore). La rivoluzione cristiana, la rivoluzione di Gesù, è stata: «Sii tu ad accogliere il colpo senza restituirne un altro, guarda a chi ti uccide pensando a quanto più di te sia ferito l’Onnipotente, che è il creatore di entrambi e di entrambi vuole essere il redentore».
Quando diciamo che occorre una svolta identitaria non intendiamo un motto lepenista-salviniano del tipo “questa è casa nostra, imbracciamo i fucili e buttiamo a mare chi è più scuro del caffellatte (a meno che non si converta alla cristianità, al limite!)”. Intendiamo che la custodia di cui il mondo ha più bisogno, quella in cui si racchiude l’ambientalismo integrato nell’umanesimo integrale, è la custodia del fratello. Di quello ucciso, come ha imparato Caino (Gen. 4,8), e di quello che ha ucciso, come imparano tutti quelli che incontrano Caino (Gen. 4,15): la coincidenza temporale dell’impresa ingegneristica del Solar impulse con il santo martirio di padre Jacques ricorda non solo che restano sempre e sole quelle due possibilità elencate da Agostino – la città di Dio, che è quella in cui ci si serve per tutta la vita, e la città degli uomini, ovvero quella in cui ci si vessa fino alla morte – ma pure che ci sono molti modi di costruire un mondo migliore.
Lo aveva spiegato bene anche padre Jacques, poco più di un mese fa, quando con parole semplici e profonde aveva invitato i fedeli del suo piccolo gregge a cogliere l’occasione umana e spirituale delle vacanze: di seguito propongo una traduzione di quel testo.
La primavera è stata piuttosto fresca. Se il nostro morale è rimasto a mezza strada, come le gemme che vorrebbero dischiudersi ma temono di restare gelate, pazienza – l’estate finirà per arrivare. E anche il tempo delle vacanze. Le vacanze sono un momento per prendere della distanza con le nostre occupazioni abituali. Ma non è una semplice parentesi. È un tempo di distensione, ma anche di ritorno alle sorgenti, di incontri, di condivisione, di convivialità. Un tempo di ritorno alle sorgenti: alcuni si prenderanno qualche giorno per un ritiro o un pellegrinaggio. Altri rileggeranno il Vangelo, da soli o con altri, come una parola che va vivere l’oggi. Altri potranno abbeverarsi al grande libro della creazione ammirandone i paesaggi così differenti e talmente magnifici che ci elevano e ci parlano di Dio. Che possiamo, in questi momenti, intendere l’invito di Dio a prenderci cura di questo mondo, a farne – la dove viviamo – un mondo più caloroso, più umano, più fraterno. Un tempo di incontro, con dei prossimi, degli amici: un momento per prendersi il tempo di vivere qualcosa insieme. Un momento per essere attenti agli altri, così come sono. Un tempo di condivisione: condivisione della nostra amicizia, della nostra gioia. Condivisione del nostro sostegno ai bambini, che mostra quanto contano per noi. Un tempo di preghiera, pure: attenti a quello che accadrà nel nostro mondo in quel preciso momento. Preghiamo per quelli che ne hanno più bisogno, per la pace, per una convivenza migliore. Sarà ancora l’Anno della Misericordia. Facciamoci un cuore attento alle cose belle, a tutti e a ciascuno, e a quelli e quelle che rischiano di sentirsi un po’ più soli. Che le vacanze ci permettano di fare il pieno di gioia di amicizia e di ritorno alle sorgenti. Allora potremo riprendere con miglior lena la strada insieme. Buone vacanze a tutti.
Padre Jacques.
Ora, anche in queste poche righe si dispiega la forza della spiga di grano – immagine carissima a Gesù, che vi presentiva il mistero insondabile della propria discesa agli inferi –, perché il foglietto parrocchiale che le portava sarà stato letto forse da qualche centinaio di persone fino a ieri, mentre oggi viene tradotto in molte lingue e diffuso con molti mezzi, raggiungendo centinaia di migliaia di persone, forse perfino milioni. Ed è “solo” il modesto e discreto augurio di un buon vecchio prete, carico di raccomandazioni come quelle di un padre e di un nonno.
C’è un testamento e un lascito di umanità e di buona volontà, di evangelizzazione e di afflato mistico, che avvicina indefinibilmente il lento incedere di Bertrand Piccard e di André Borschberg sul loro novello flyer e la folgorante ascensione di padre Jacques: il cielo si riempie di segni grandi, in queste giornate di GMG, e l’anelito degli uomini a librarsi «sulle ali dell’aurora» sostenuti dal solo calore del Sole sente di non essere assurdamente destinato alla frustrazione.
Come in cielo, così in terra.
Di’ cosa ne pensi