Contrastare veramente ed efficacemente la prostituzione si può, quindi si deve. A ricordarselo è stata la deputata Pd Caterina Bini che, nei giorni dedicati da politicanti senza scrupoli alla legalizzazione delle canne ha depositato da prima firmataria una proposta di legge (la n. 3890) volta a istituire il reato di acquisto di servizi sessuali. Il testo è stato concepito e stilato insieme con l’associazione Papa Giovanni XXIII (rappresentata da don Aldo Buonaiuto) e con alcune associazioni scoutistiche impegnate nella lotta alla tratta delle schiave.
La proposta di legge chiede «di modificare la legge Merlin al punto 3 – spiega la Bini – aggiungendo sanzioni per chi si avvale delle prestazioni sessuali delle prostitute». La proposta, quindi, si iscrive perfettamente nel solco della tradizione legislativa e giurisprudenziale italiana, ma non solo: la penalizzazione dell’accesso alla prostituzione è nota nel campo dell’informazione politica come “modello svedese” di contrasto del fenomeno. Questo proprio perché esso è stato pensato e applicato, con celtico rigore, nel Paese scandinavo, il quale ha visto decrescere il fenomeno della prostituzione di un buon 80%. Le cifre hanno impressionato altri governi, a cominciare da Inghilterra, Islanda e Irlanda, che pure hanno adottato la misura. Buon’ultima, per ora, si è accodata la laicissima Francia. Ancora di più, tre anni fa era stato anche l’europarlamento di Bruxelles ad approvare una risoluzione (2013/2103) in cui gli Stati membri dell’Ue venivano incoraggiati a considerare il “modello svedese” nelle loro legislazioni. È quindi l’Europa che ce lo chiede, e una volta tanto nessuno potrà dire che le istanze europeiste indulgono a inclinazioni dissolutorie: anzi si deve ricordare che non pochi tra i partiti antieuropeisti, anche in Italia, si sono fatti alfieri della sciagurata battaglia per la riapertura dei bordelli (e con un piglio degno di migliore causa).
In concreto, la proposta di modifica alla legge Merlin aggiungerebbe alla stessa quanto segue: verrebbero puniti con una multa da 2.500 a 10.000 euro quanti (uomini o donne) venissero sorpresi ad acquistare servizi sessuali, anche mediante terzi; per i recidivi l’inasprimento della sanzione giungerebbe fino al triplo della prima multa. I più ostinati (dalla quarta contestazione) sarebbero esposti a una pena di reclusione da tre mesi a un anno (scontabile anche in lavori di pubblica utilità).
La proposta non è inedita, ma questa volta non sembra destinata ad arenarsi come in passato: l’ultimo inascoltato alfiere di questa battaglia di civiltà fu Gianluigi Gigli, la cui istanza non fu neppure calendarizzata, e che oggi si congratula con la collega dem per aver risollevato la questione dal punto di stallo in cui l’aveva dovuta lasciare lui.
Forte dell’esperienza sul campo dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, Caterina Bini tira dritto anche di fronte alle velate minacce riportate da una mail anonima indirizzata alla deputata: «Sono 9 milioni i clienti di prostitute in italia [correttamente, l’apologeta dell’itaglietta usa la minuscola, n.d.r.] e sono elettori, i voti non arriveranno se portate avanti queste proposte». L’incauto conoscitore di questi dati vergognosi (ammesso e non concesso che di cliente si tratti, e non di pappone – sfruttatori lo sono l’uno e l’altro, e il testo della Bini ha il pregio di denunciarlo) dovrebbe far attenzione a esporli così a un membro della maggioranza di governo: si sa che l’argomento economico raramente trova indifferenti i potenti, sempre assediati dal problema capitale di far quadrare i conti dello Stato. Se quindi i clienti sono nove milioni, le pene irrorate su di loro potranno portare nelle casse pubbliche da un minimo di 22,5 a un massimo di 90 miliardi di euro: davanti a una simile occasione anche il Salvini dell’Eur a luci rosse tornerebbe su più miti consigli.
Non che si voglia vincere la disputa per mezzo di questi argomenti, ma nel momento in cui i propugnatori del papponaggio di Stato agitano in Parlamento il miraggio dell’obolo (tanto pecunia non olet…) si troverà anche nella moneta una leva per sollecitare certe ragioni obnubilate. Come ha ottimamente sintetizzato Fabio Torriero, che pure scriveva a proposito del ddl cannabis: «Come al solito, l’operazione “raffinata” è trasformare un tema etico, valoriale, sociale e civile, in un tema economico (sottraiamo i proventi alla criminalità), col benestare pure dell’Antimafia (che ha preso una grossa cantonata). La criminalità alzerà subito l’asticella […]. Perché non si ha il coraggio di affermare che lo Stato deve fare cassa (sulla pelle dei giovani che si suicidano)? Molto presto, oltre allo “Stato spacciatore” (la storia del metadone di Stato si è rivelato un autentico fallimento), ci ritroveremo uno “Stato pappone” (il futuro appuntamento sarà con le prostitute che pagano le tasse), tutto studiato per irrobustire il Pil. Curiosi questi “liberali-libertari”, che vogliono in economia lo Stato “al minimo” (un vigile urbano che fa passare tutto e il contrario di tutto), e invece, sulla vita dei cittadini, pretendono uno Stato “al massimo”, Stato-pappone, Stato-spacciatore».
Una nota, in tal senso, la de-merita il Movimento 5 Stelle, che si è segnalato come l’unica forza parlamentare che si è astenuta in blocco dall’offrire sostegno alla proposta Bini-Giovanni XXIII. Non ha mancato di sottolinearlo, con un’amara dichiarazione a Intelligonews, Giovanni Paolo Ramonda, che della Papa Giovanni è presidente: «Trovo sia paradossale che un partito che sostiene di voler difendere la dignità e i diritti delle donne e della persona proponga disegni di legge per rendere legale il meretricio. Ci ha stupito in particolare il “no” di alcuni parlamentari che magari, per valori personali e di coscienza e per esperienze personali, ci avrebbero sostenuto e non hanno potuto farlo perché devono soggiacere alla volontà del partito e della rete».
Parole che fanno riflettere. Sul Movimento 5 Stelle anzitutto (e in tal senso non troviamo che conferme alle nostre impressioni, per le quali fummo facili profeti). Ma se riguardo ai grillini si deve osservare che mai, in effetti, si sono segnalati per un riferimento al valore intrinseco della persona umana – ed è forse questo il loro più forte limite teorico – non possiamo trascurare di segnalare una ridondante presenza di argomenti sulla “parità di genere” nel testo della Bini. O meglio, e per essere chiari, si capisce bene che il nucleo filosofico della proposta di legge è nel valore della persona (richiamata in senso stretto per 6 volte in 5 pagine, e 14 in senso lato); desta un certo sconcerto che l’argomento sembri bisognoso di essere come corroborato e avvalorato, e che tale cura consista nella reiterata menzione (3 ricorrenze) della violenza di genere. La quale, semmai, è una circostanza aggravante (come l’età, che però è appena menzionata), ma non coessenziale al fenomeno: se la stragrande maggioranza del fenomeno si profila con un uomo che sfrutta il bisogno economico di una donna, avviene anche il contrario (il “fenomeno coguar” è in crescita); avviene l’abuso di transessuali maschi e femmine, quello di efebi (a Roma i giovani slavi di Piazza Esedra sono il trastullo dei ricchissimi ospiti dei grandi hotel in zona); avviene ogni sorta di depravazione in cui la persona umana è misconosciuta nella sua intimità e umiliata nella sua identità.
Ora, ciò su cui sarebbe auspicabile che il dibattito si concentrasse – almeno secondo noi – è l’affermazione e la difesa del valore assoluto e irriducibile della persona umana, che prescinde da sesso, genere, orientamento e quant’altro. La proposta della Bini ha il lodevole intento di voler «contrastare efficacemente il fenomeno della prostituzione e della tratta di persone ai fini dello sfruttamento sessuale». Sarebbe degno della grande tradizione giuridica e politica del nostro popolo, se riuscissimo a non buttare questo tema capitale nel tritacarne del postfemminismo e dell’antifemminismo. Fin dai tempi di Platone, i politici sono invitati a governare le passioni (private e pubbliche) con la ragione, non a razionalizzare i brontolii dello stomaco e di ciò che vi sta sotto. Interessante la defezione del M5S da questo piano: se i colpi di testa omosessualisti della Appendino a Torino potevano sembrare le uscite personali di una giovane affascinata dal proprio capogabinetto, questo loro imbarazzante silenzio parlamentare consolida il sospetto di un vasto piano volto a “cambiare la realtà” (parole pronunciate a proposito dal nuovo sindaco di Torino). E la realtà è che le persone non sono cose, e che tentare di comprarle non è un crimine meno laido che tentare di venderle.
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